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Terra Nuova, 3 giugno 2019 (Brano tratto dall’articolo “Il bio sotto assedio” di Manlio Masucci, sul mensile Terra Nuova Giugno 2019) | Fonte

Noi siamo il cibo che mangiamo e la connessione fra produzione e consumo dei cibi può essere il luogo in cui reclamare la nostra libertà. La riflessione di Vandana Shiva, presidente di Navdanya International.

Il tour che ho appena concluso in Veneto e in Trentino Alto Adige, organizzato nell’ambito della campagna internazionale di Navdanya International per un’agricoltura e un’alimentazione libera da veleni, ha rappresentato per me una grande occasione di conoscere lo stato di degrado di un immenso territorio attaccato dalle monocolture intensive industriali e al contempo di incontrare tante organizzazioni, agricoltori e cittadini che vogliono opporsi a questa deriva ambientale, sanitaria, paesaggistica, economica e infine democratica.

Le sterminate piantagioni industriali, alle pendici delle bellissime montagne del Trentino, con i loro filari tenuti in piedi da migliaia e migliaia di pali di cemento, danno l’impressione di un immenso cimitero. Una sensazione deprimente, in un angolo di mondo così naturalmente bello. E non ho visto alberi ma rami mutilati e senza foglie che non sarebbero in grado di tenersi in piedi da soli.

Le comunità locali mi hanno parlato dell’utilizzo massiccio e sregolato di fitofarmaci per sostenere queste monocolture. La preoccupazione delle persone è giustificata.
L’attuale epidemia di malattie croniche è infatti anche il risultato della diffusione di sostanze tossiche nei nostri sistemi alimentari. Siamo la prima generazione costretta a guardare i nostri figli ammalarsi più di noi, in particolare di cancro. Sappiamo che solo il 5% dei tumori è di origine genetica, il restante 95% è dovuto alla tossicità dell’ambiente circostante mentre un rapporto delle Nazioni Unite ha stimato in 200.000 i decessi annuali a causa dei pesticidi.

Non dobbiamo mai dimenticarci che noi siamo il cibo che mangiamo. E il cibo, o distrugge la nostra salute o ci nutre. Credo che la connessione fra produzione e consumo del cibo sia il luogo in cui possiamo tornare a curare la terra e a reclamare la nostra libertà. Noi non siamo consumatori, siamo parte della rete alimentare. Possiamo scegliere. Mangiare diventa un atto politico. Di sicuro è un atto economico, perché ciò che mangiamo sostiene un sistema o l’altro. Non sapere cosa stiamo mangiando non significa solo vivere nella peggiore ignoranza, significa essere schiavi.

Non bisogna temere le grandi sfide perché anche le piccole realtà locali possono innescare il cambiamento. Tutto ciò che vive inizia nel piccolo. Il cibo stesso inizia con un seme, che è molto piccolo. Abbiamo trilioni di batteri nel nostro intestino che cooperano creando tutto ciò di cui abbiamo bisogno. Se pensiamo come un batterio nell’intestino capiamo che come comunità abbiamo reale potere. Le regioni più piccole hanno, allora, grande capacità di successo nei momenti di transizione perché le persone hanno la possibilità di lavorare insieme molto più da vicino.

Ognuno di voi si chieda come vorrebbe vedere il proprio territorio fra due anni e cosa deve fare per promuovere quel cambiamento. Nella consapevolezza che, ad oggi, siamo in balia di un sistema di sviluppo disumano, che ruba dalla natura e dagli uomini e che è responsabile di ecocidio e genocidio.

Ma la salute della Terra e la salute delle persone sono una cosa sola. Le alternative esistono e si basano sulla rigenerazione dei suoli tramite l’agroecologia, la salvaguardia della biodiversità, la promozione della filiera corta e di sistemi alimentari a km 0. Ciascuno di noi può invertire l’attuale tendenza disastrosa con le proprie piccole grandi scelte quotidiane: possiamo cambiare il mondo ad ogni boccone, ad ogni abito, ad ogni viaggio, ad ogni acquisto. Dobbiamo riprenderci il diritto di conservare i semi e la biodiversità. Il diritto al nutrimento e al cibo sano. Il diritto di proteggere la terra e le sue diverse specie. Dobbiamo fermare il furto delle multinazionali ai danni dei poveri e della natura.

La democrazia alimentare è al centro dell’agenda per i diritti umani, per la sostenibilità ecologica e la giustizia sociale. Non abbiamo mai avuto una situazione del genere nella storia dell’umanità: sappiamo esattamente cosa succederà fra 100 anni ma per cambiare rotta, per evitare la nostra stessa estinzione, abbiamo solo 10 anni!