L’Extraterrestre, settimanale ecologista de Il Manifesto, 10 aprile 2025 | Fonte
Con circa 1.200 fiumi, 1.500 laghi, e una superficie bagnata dal mare di oltre 7.000 chilometri, l’Italia potrebbe a buon ragione definirsi un paese con una relazione speciale con l’acqua. Eppure questa relazione non è sempre idilliaca.
Falde acquifere inquinate da agenti chimici e rifiuti, prelievi illegali dai grandi bacini idrici, processi indotti di eutrofizzazione, interi paesi lasciati senza acqua potabile. Certo, la gestione poca attenta delle risorse idriche non è un tema solo italiano.
Non è un caso che da diversi anni è attivo, a livello internazionale, il movimento delle Blue Communities, lanciato da Maude Barlow insignita del Right Livelihood Award nel 2005 per aver ottenuto, in veste di relatrice speciale delle Nazioni Unite, il riconoscimento dell’acqua come diritto umano.
Il concetto alla base delle Blue Communities è semplice: è necessario prenderci cura dell’acqua, fermare l’estrazione incontrollata e gli abusi, smettere di inquinarla, garantire il diritto all’accesso all’acqua pulita per tutti. L’unico modo di affrontare e risolvere la crisi globale dell’acqua è quello di mantenere l’acqua nel dominio pubblico mettendola a riparo dagli interessi speculativi.
La proposta di Maude Barlow è stata accolta da città quali Parigi, Berlino, Bruxelles, Monaco di Baviera, Montreal, Vancouver e Los Angeles che si sono dichiarate Blu Communities. E l’Italia? Come spesso accade il nostro paese si trova a rincorrere ma le prime comunità dell’acqua potrebbero presto sorgere anche grazie al progetto “Blue Communities”, cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo sviluppo. Il progetto, iniziato nel gennaio del 2023 e conclusosi nell’aprile del 2025, ha coinvolto centinaia di giovani dai 14 ai 30 anni in Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Sicilia al fine di promuovere la mobilitazione per il supporto alla creazione delle comunità dell’acqua.
Nell’ambito dell’evento di chiusura, il coordinatore del progetto, Marco Iob (CeVI), ha illustrato alcuni risultati concreti come l’impegno del Comune di Udine nell’accessibilità all’acqua potabile durante eventi pubblici, attraverso l’installazione di distributori collegati all’acquedotto, e come l’iniziativa di una scuola superiore, che ha deciso di intraprendere il percorso per diventare Blue Community. Questo percorso include la formazione di tutti i docenti della scuola sul tema dell’acqua, basandosi sul corso realizzato nell’ambito del progetto.
Antonella Litta, di Isde (Medici Internazionali per l’Ambiente), ha illustrato invece la grave situazione del Lago di Vico, un’area protetta che è stata compromessa dall’agricoltura industriale intensiva dedicata al nocciolo. Nonostante i tanti allarmi lanciati negli anni, l’uso indiscriminato di diserbanti, pesticidi e fertilizzanti chimici ha portato alla proliferazione di alghe tossiche, rendendo l’acqua dell’area non potabile. Litta ha evidenziato come questa situazione sia il risultato di scelte politiche che hanno privilegiato il profitto economico a scapito della salute e dell’ambiente. Un leit motiv che le Blue Communities intendono contrastare.
Manlio Masucci, Navdanya International
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