Di Nadia El-Hage Scialabba – Estratto dal rapporto di Navdanya International Il Futuro del cibo – Biodiversità e agroecologia per un’alimentazione sana e sostenibile – novembre 2019
“Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci.” (Mahatma Gandhi)
Premessa
Finalità. In questo capitolo si intende ripercorrere lo stato dei fatti nel campo dell’alimentazione e dell’agricoltura a partire dagli anni ’90, dopo il Summit della Terra del 1992 e la Conferenza mondiale sulla sicurezza alimentare del 1996, in occasione delle quali i governi del mondo si impegnarono per un’agricoltura sostenibile al fine di rimediare ai fallimenti del passato. Ironia della sorte, quegli anni invece aprirono le porte alle multinazionali e agli interessi dei privati che presero il controllo delle istituzioni, dei cittadini e del pianeta. Nel frattempo, l’agricoltura biologica e l’agroecologia[1] emersero dalla “nicchia”, ma con il solo sostegno della base popolare, i cui sforzi sono stati costantemente compromessi al fine di prevenirne l’espansione e mantenere il primato dell’agricoltura industriale. Sfortunatamente, la discussione odierna sull’alimentazione e l’agricoltura è intrisa di disinformazione e in gran parte affetta da una “sindrome di cecità mentale”. Questo capitolo ha lo scopo di svelare ai lettori di mentalità più aperta, che una maggiore diffusione del modello agricolo industriale non condurrà l’umanità verso la sostenibilità e la sicurezza alimentare e nutrizionale, e che il nostro futuro comune non potrà essere sano e sicuro, a meno che non si adotti un modello agroecologico e un sistema di produzione alimentare che condivida lo stesso approccio.
L’illusione della Rivoluzione Verde. Negli anni ’60, ricercatori, politici, agricoltori e cittadini credettero nei “semi miracolosi” che permettevano di trasformare gli input industriali in cibo. Questo sviluppo basato sui combustibili fossili rappresentava infatti una novità nel settore agricolo. A partire dagli anni ’70, le pratiche e le conoscenze agricole tradizionali sono state quindi sostituite da “pacchetti tecnologici” di sementi, irrigazione, fertilizzanti sintetici e pesticidi. Nonostante l’enorme aumento dei raccolti, i limiti della promessa della Rivoluzione Verde divennero evidenti a metà degli anni ’80, quando uno studio della Banca Mondiale[2] concluse che “un rapido aumento della produzione alimentare non comporta necessariamente una diminuzione del fenomeno della fame nel mondo”. La nuova ricerca storica sostiene addirittura che la Rivoluzione Verde non ha svolto alcun ruolo nello sforzo globale di impedire le carestie[3]. Inoltre, e in linea con i concetti di termodinamica come l’entropia, l’energia libera e la dissipazione dei gradienti, l’eccesso di input agricoli hanno provocato un inquinamento chimico diffuso e, di conseguenza, un vasto degrado dei sistemi naturali e del benessere umano. Tutti questi fenomeni sono ampiamente documentati[4] .
La trasformazione dell’agricoltura. L’agricoltura è radicalmente cambiata negli ultimi decenni nelle aree più sviluppate del mondo. Quello che una volta era un processo biologico guidato dal sole, dalle precipitazioni e dal lavoro umano è diventato un processo industriale, sempre più dipendente da fattori di produzione di sintesi e capitale finanziario. Quello che una volta era un modo sano di crescere una famiglia è diventata un’occupazione piena di rischi e isolamento, in cui le esigenze dell’industria agroalimentare prevalgono sulla necessità di cibo sano e mezzi di sussistenza dignitosi. Mentre le “scoperte tecnologiche” continuano ad emergere dai laboratori delle multinazionali, il settore alimentare e agricolo continua la sua corsa verso la catastrofe, come testimoniano le molteplici crisi alimentari e ambientali della nostra epoca e, soprattutto, la perdita della sovranità alimentare. Così come la salinizzazione agricola durante l’epoca sumera ha avuto effetti devastanti sulle civiltà già nel 3500 a.C.[5], i rischi causati dall’agricoltura industriale minacciano oggi l’esistenza umana. Nonostante tutti gli sforzi attuali per produrre di più con meno, questioni come il cambiamento climatico e le malattie legate all’alimentazione minacciano di alterare la nostra esistenza su una scala più estesa di quanto abbiamo mai sperimentato. Fortunatamente, un diverso sistema alimentare e agricolo avrebbe il potenziale per contribuire in modo sostanziale alla risoluzione di problemi naturali e sociali, se ci fosse solo la volontà politica di adottare approcci collaudati, come l’agroecologia, insieme ad una governance più democratica (o decentralizzata).
Obiettivi di sostenibilità degli anni ’90
I tentativi dell’ agricoltura convenzionale
La promessa del SARD. In occasione del Vertice della Terra, la FAO coniò il termine Agricoltura sostenibile e sviluppo rurale (Sustainable Agriculture and Rural Development – SARD), come indicato nel Capitolo 14 dell’Agenda 21, con il triplice obiettivo di migliorare la sicurezza alimentare, i mezzi di sussistenza rurale e le risorse naturali. La produttività fu così affiancata agli imperativi sociali ed ambientali con un genuino proposito allo sviluppo sostenibile e all’equità intra e intergenerazionale. Il concetto alla base del SARD integrava l’approccio tecnocratico all’agricoltura con settori di azione sociopolitica a livello internazionale (accordi commerciali), nazionale (politiche e incentivi favorevoli), locale (partecipazione della società civile) e familiare (equità). L’attuazione del SARD, tuttavia, si è rivelata difficile a causa del limitato raggio d’azione istituzionale dei ministeri competenti e di altre istituzioni. Inoltre, l’aspetto multifunzionale del SARD suscitò sospetti tra molti paesi in via di sviluppo in termini di potenziali barriere commerciali. Nel giro di un decennio, il SARD svanì dall’agenda dei governi nazionali, mentre la “moda” della sostenibilità è sopravvissuta, ma essenzialmente per servire imprese non sostenibili. Infatti, la mancanza di una definizione operativa di sostenibilità, per il SARD e non solo, ha aperto spazio al cosiddetto “greenwashing”, all’aumento di codici, standard e rapporti di sostenibilità e sempre meno reale sostenibilità sul campo.
L’appello per una nuova rivoluzione verde. In un documento tecnico del vertice mondiale sull’alimentazione del 1996[6] si affermava che “un’intensificazione sostenibile nelle aree più fertili …. e una maggiore attenzione allo sviluppo di tecnologie per le aree meno fertili, offriranno probabilmente nuove opportunità per aumentare la produzione alimentare, alleviare la povertà e ridurre i rischi di degrado ambientale”. La preoccupazione per un’eventuale perpetuazione dell’inquinamento della Rivoluzione verde fu spazzata via dall’ affermazione che è “il limitato livello di istruzione di molti piccoli proprietari terrieri che spesso impedisce una corretta comprensione dei rischi ambientali e sanitari associati all’uso di prodotti agrochimici”. Anche il rischio di erosione genetica fu condonato affermando che “sebbene varietà commerciali ‘a più alto rendimento’ (Higher Yield Varieties – HYV) spesso hanno sostituito le varietà locali tradizionali, è tuttavia incerto il fatto che il pianeta abbia effettivamente subito una significativa erosione genetica”. Il documento lanciò un nuovo appello a favore dello stesso (e peggiorativo) modello, affermando che ” migliori sistemi tecnologici sono la chiave per portare i benefici della tecnologia basata sulla scienza ai piccoli agricoltori, compresi i benefici dell’ingegneria genetica”. La professata Nuova Rivoluzione Verde intendeva affrontare le questioni di equità “migliorando l’accesso dei piccoli agricoltori ai fertilizzanti minerali, nonché sviluppando ulteriormente la biotecnologia e i metodi di difesa integrata per ottenere rese più elevate e sostenibili dal punto di vista ambientale con input bassi, includendo anche quelli che si adattano alle aree vulnerabili e marginali con un potenziale immediato minore”. Mentre l’equità continuava ad essere la parola d’ordine della propaganda, il divario tra poveri e ricchi invece aumentava e gli oligopoli agroalimentari si rafforzavano.
Intensificazione sostenibile. La Rivoluzione Verde diede origine ad un’agricoltura dipendente dal petrolio ( sono necessarie 10 calorie di energia per produrre 1 caloria di energia alimentare[7]) e, soprattutto, ad un sistema nelle mani dell’industria agroalimentare. In trent’anni, la crescita annuale dell’uso di fertilizzanti sul riso asiatico è stata da tre a quaranta volte più veloce della crescita della resa del riso. Nell’ambito dell’agricoltura industriale, l’agricoltura potrebbe essere più redditizia solo se i compensi che gli agricoltori ricevono per i loro raccolti rimanessero al di sopra dei costi dei prodotti petrolchimici e dei macchinari, creando così una compressione dei costi per tutti gli agricoltori del mondo. All’inizio degli anni ’90, i costi di produzione agricola sono passati dalla metà circa all’80% del reddito agricolo lordo, favorendo le aziende agricole più ricche e più grandi. Con la crescita della popolazione, li pretesto legato alla necessità di “sfamare il mondo”, nel contesto delle discussioni sulla sostenibilità ispirò il concetto di “intensificazione sostenibile”, secondo il quale le tecnologie e le conoscenze della Rivoluzione Verde avrebbero potuto essere adattate a nuove aree (come l’Africa) e ad altre colture. In senso stretto, l’intensificazione sostenibile è un ossimoro, in quanto le leggi fisiche non permettono un’intensificazione “sostenuta” senza enormi esternalità, tra cui la questione non meno importante del cambiamento climatico.
La richiesta popolare per più agri-Cultura
Approcci che condividono principi simili. Mentre gli aspetti negativi della rivoluzione industriale iniziarono a manifestarsi nel settore agroalimentare, nel corso del secolo scorso emersero diverse forme di agricoltura sostenibile, dai Vedic Rishi Kheti in India, all’agricoltura biodinamica nell’Europa centrale (secondo Rudolf Steiner, 1924), all’agricoltura biologica nel Regno Unito e negli Stati Uniti (secondo Sir Albert Howard, 1943), all’agroecologia in America Latina (secondo Efraim Hernandez, 1977), all’agricoltura naturale in Giappone (secondo Masanobu Fukuoka, 1980), alla permacultura in Australia (secondo Bill Mollison, 1988), all’Holistic Management[8] in Africa (secondo Allan Savory, 1988)[9]. La crescente domanda dei consumatori dei paesi occidentali e la moltitudine di etichette biologiche disorientanti sui mercati determinarono la promulgazione dell’ Organic Food Production Act (Legge sulla produzione di alimenti biologici) del 1990 negli USA e del regolamento UE sul biologico (CEE 1535/92) nel 1992. Successivamente sono state introdotte misure di incentivazione per favorire la conversione degli agricoltori e regolamentare l’accesso dei “paesi terzi” al mercato europeo. La domanda europea e nordamericana di alimenti e bevande biologici, che negli ultimi tre decenni è stata superiore all’offerta, ha alimentato l’interesse dei paesi in via di sviluppo per le esportazioni di prodotti biologici e, di conseguenza, per lo sviluppo di una regolamentazione biologica equivalente al fine di accedere a mercati remunerativi. Sebbene l’andamento del mercato biologico sia stato l’inizio della mercificazione dei prodotti biologici, gli “effetti collaterali” sono stati ampiamente positivi per le risorse ecologiche. Oltre alle aree a coltivazione biologica gestite in modo sostenibile, con oltre 11 milioni di ettari nel 1999, l’agrobiodiversità è stata potenziata, perché le varietà tradizionali sono risultate più vitali in assenza di input esterni e l’humus nei suoli ha favorito un maggiore sequestro di carbonio in operazioni biologiche quasi neutre dal punto di vista climatico[10].
Il biologico entra nei forum intergovernativi. Nel 1999, la commissione del Codex Alimentarius Fao/Oms pubblicò le linee guida per gli alimenti biologici, sulla traccia del regolamento UE sul biologico, al fine di salvaguardare un contesto equo nel commercio alimentare internazionale e proteggere i consumatori dalle frodi. Sempre nel 1999, il Comitato per l’agricoltura della Fao approvò all’unanimità il primo programma di agricoltura biologica in assoluto, principalmente per sfruttare le opportunità di esportazione offerte ai paesi in via di sviluppo, insieme ad un nuovo programma sulle biotecnologie, al fine di rispondere alle richieste dei diversi paesi. Per necessità, l’agricoltura biologica uscì finalmente dalla stagnazione, e il suo potenziale avrebbe potuto essere esplorato in funzione dei propri meriti. Tuttavia, la stessa commissione per l’agricoltura approvò anche un nuovo programma dedicato alla bioingegneria, che successivamente mise in secondo piano il programma biologico in termini di risorse finanziarie stanziate e sostegno istituzionale.
Il risveglio della bestia. Le diverse forme di agricoltura rigenerativa emerse nel secolo scorso sono state ampiamente ignorate negli ambienti istituzionali. Mentre l’agricoltura biologica ha iniziato a prendere forma negli anni ’90 per via dei regolamenti governativi, coloro che la praticavano furono spesso derisi ed emarginati dai loro vicini. Nonostante la totale mancanza di ricerca pubblica e di formazione, gli orti biologici erano fiorenti e i consumatori premiavano la gestione dei produttori con incentivi economici o programmi sostenuti dalla comunità. Al fine di scoraggiare l’adozione di pratiche biologiche da parte degli agricoltori vicini, i funzionari di settore – commissionati dalle imprese agro-alimentari – effettuarono una crociata basata sulla paura nei paesi in via di sviluppo, sostenendo che i campi biologici erano ad alto rischio di infestazioni e che il cibo biologico era una scelta rischiosa, a causa della maggiore incidenza di contaminazione microbica e da micotossine. Verso la fine del decennio, soprattutto dopo il chiaro rifiuto di qualsiasi tecnologia transgenica da parte della comunità biologica internazionale[11], l’industria agricola iniziò ad organizzare un’offensiva sistematica contro i sostenitori e gli operatori del biologico.
Le sfide di fine millennio
La rinnovata promessa dell’agricoltura industriale
La nuova Rivoluzione Verde. Il dibattito politico sul moderno sviluppo agricolo, sordo alle potenzialità del biologico, spianò la strada al perseguimento del profitto dei privati nel settore agroalimentare. I soliti mantra sulla sostenibilità e sul “nutrire il mondo”, uniti al fatto di aver equiparato le tecnologie di laboratorio e l’agricoltura moderna, spinsero la bioingegneria e le sue applicazioni nelle aree più remote del mondo. Per esempio, l’Alleanza per la rivoluzione verde in Africa (Alliance for a Green Revolution in Africa – AGRA), promossa dal 2006 dalla Bill and Melinda Gates Foundation e dalla Rockefeller Foundation, si propone di sfamare l’Africa favorendo accesso ai fertilizzanti chimici e diffondendo le sementi geneticamente modificate, pensando così di ridurre l’uso di pesticidi e risolvere le sfide del cambiamento climatico, attraverso l’introduzione di varietà geneticamente modificate presumibilmente tolleranti alla siccità. Un confronto approssimativo tra gli investimenti di AGRA nel progetto Millennium Villages, rispetto al Programma di esportazione di prodotti biologici dall’Africa (Export Programme for Organic Products from Africa – EPOPA) dopo 10 anni di investimenti da parte dei donatori, suggerisce che si possano ottenere risultati di gran lunga migliori investendo in agricoltura biologica, con una riduzione degli investimenti di 60 volte. Gli investimenti AGRA di 120 dollari a persona all’anno hanno triplicato i rendimenti del mais, ma hanno aumentato la carenza di acqua e i prezzi dei fertilizzanti azotati, mentre i collegamenti del mercato sono rimasti difficili. L’EPOPA, per contro, ha investito meno di 2 dollari a persona all’anno e ha registrato esportazioni di prodotti biologici per 35 milioni di dollari nel 2010, mentre ha registrato un raggio d’azione più che raddoppiato rispetto a quello di AGRA, a beneficio di 1 milione di persone in Uganda tra il 1997 e il 2008[12].
Concentrazione dell’industria. Sebbene la cosiddetta “industria della vita” si sia consolidata grazie a sementi, agrochimici e aziende farmaceutiche negli anni ’80 per sviluppare e commercializzare pacchetti di input per uso agricolo, le biotecnologie e le pratiche di “agricoltura di conservazione” hanno richiesto un ulteriore consolidamento industriale. L’agricoltura di conservazione è un approccio che applica alcune pratiche biologiche (come la pacciamatura e la coltura di copertura) a sistemi di non lavorazione del terreno, mentre le colture geneticamente modificate richiedono perforazione, triturazione, diffusione di glifosato e gestione accurata delle risorse idriche, tutte pratiche che richiedono macchinari adeguati. Le quattro aziende leader di macchine agricole a livello mondiale (John Deere, CNH, AGCO e Kubota), che insieme rappresentavano un terzo del mercato totale nel 2000, controllavano già più della metà del mercato nel 2009. Dal 2001, John Deere ha iniziato a investire nelle nuove tecnologie della piattaforma Big Data, con i trattori che registrano i dati GPS, e ha iniziato a stipulare accordi con ciascuna delle grosse case produttrici di sementi e pesticidi, dapprima con Syngenta nel 2007[13].
Nutrire le persone? Le tecnologie promosse da Monsanto/Bayer, DuPont/Dow, Syngenta/ChemChina, e altre multinazionali chimico-biotecnologiche per “nutrire gli affamati” sono caratterizzate da un impatto ecologico e sociale ben documentato. Infatti, la seconda rivoluzione verde non ha posto fine alla fame nel mondo più della prima. Tra il 2000 e il 2004, la percentuale di persone denutrite è rimasta stagnante al 14,7% della popolazione mondiale. Grazie alle reti di sicurezza e ad altre misure messe in atto dai governi per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio – Osm, la fame nel mondo ha raggiunto il suo livello più basso nel 2015 con una percentuale del 10,6% – prima di salire al 10,8% nel 2016 e al 10,9% nel 2017, principalmente a causa dell’instabilità politica e dei conflitti[14]. Ancora più importante, la crisi dei prezzi alimentari di metà decennio ha visto aumentare il numero globale di persone sottonutrite da 900 milioni a 945 milioni, mentre i picchi dei prezzi alimentari hanno seguito parallelamente i prezzi dei combustibili fossili – da cui dipende il sistema alimentare industriale – per quanto riguarda i prezzi dei fertilizzanti sintetici e dei cereali per la produzione di bioenergia. Infatti, l’agroindustria si è concentrata sull’aumento delle rese cerealicole, principalmente mais geneticamente modificato, e ha spostato la sua attenzione dall’alimentazione delle persone alla produzione di mangimi per i grandi allevamenti di bestiame e alle fabbriche di produzione di biocarburanti.
Agricoltura biologica e settori in crescita
Miglioramenti. Molti coltivatori biologici di nuova generazione sono attratti dall’agricoltura non chimica perché ristabilisce l’agricoltura come abilità umana e stile di vita sano. L’offerta globale di alimenti biologici, pari a circa l’1% del mercato alimentare globale, è limitata dal fatto che la gestione biologica richiede maggiori sforzi e buone conoscenze ecologiche, in un contesto di feroce concorrenza con gli agricoltori industriali che beneficiano in modo sproporzionato di assistenza governativa, della ricerca privata e di infrastrutture di approvvigionamento consolidate. Tuttavia, le vendite mondiali di prodotti biologici sono triplicate in un decennio, passando da 18 miliardi di dollari nel 2000 a 59 miliardi di dollari nel 2010. Nonostante la crescita esponenziale delle vendite, l’offerta non sta al passo con la domanda, poiché nello stesso periodo i terreni agricoli biologici sono aumentati da 14,9 a soli 35,7 milioni di ettari[15].
La diffusione di buone pratiche agrarie. Le aziende agricole convenzionali “prendono regolarmente in prestito” le tecniche biologiche, sia per la validità delle stesse, sia perché l’utilizzo della narrativa della gestione ecologica in propaganda viene spesso utilizzato per elevare il profilo dell’agricoltura industriale. Ad esempio, l’agricoltura di conservazione applica tecniche per la fertilità organica del suolo (compresa la copertura permanente del suolo e la rotazione delle colture), oltre a sistemi di non lavorazione del suolo, per poi però rivendicare la propria superiorità rispetto al biologico in termini di sequestro di carbonio nel suolo, ottenendo così “crediti di carbonio”. La lavorazione conservativa è comunque impegnativa in termini di controllo delle erbe infestanti; un problema che l’agricoltura industriale risolve con il glifosato, spesso abbinato a colture geneticamente modificate. Ricerche a lungo termine sugli impatti della lavorazione del terreno sul sequestro del carbonio organico nel suolo (Soil Organic Carbon – SOC) indicano che la concentrazione di SOC aumenta nello strato superficiale e diminuisce in quello sottostante, in quanto la gestione dei residui è il fattore chiave del sequestro e della dinamica del SOC[16]. Le conoscenze ecologiche alla base della gestione dell’agricoltura biologica si sono rivelate utili anche per i bioingegneri che hanno sfruttato, ad esempio, l’uso del Bacillus thuringiensis (Bt) per il controllo dei parassiti, attraverso l’inserimento di geni Bt nel mais e nel cotone geneticamente modificati commercializzati da Monsanto. Mentre il Bt naturale ha un breve tempo di dimezzamento quando esposto alla luce solare e agli elementi, la sua controparte genetica persiste nel mais, perciò gli insetti nel tempo sviluppano immunità, anche in contesti di applicazione delle migliori pratiche agricole. Le singole pratiche dell’agricoltura biologica continuano a ispirare le buone pratiche agricole de convenzionale, dimostrando che il settore è all’avanguardia sul piano creativo e potrebbe diventare il fulcro dell’innovazione in agricoltura. Tuttavia, l’uso di elementi isolati delle pratiche del biologico non consente il dispiegamento di tutto il suo potenziale. L’approccio sistemico dell’agricoltura biologica, che assicura resilienza a lungo termine, rimane perciò estraneo alle soluzioni a breve termine dell’agricoltura industriale.
L’intrusione delle grandi aziende nel settore biologico. La crescita esplosiva del mercato biologico ha attirato l’interesse delle grandi industrie agroalimentari, mettendo così a rischio la vitalità della piccola agricoltura e l’integrità del settore biologico. Nel 1995, la comunità biologica statunitense contava 81 grandi marchi biologici indipendenti presenti sul mercato e nel 2007, ad eccezione di 15, questi marchi erano stati acquisiti dalle principali multinazionali alimentari[17]. Come risultato di queste acquisizioni, molti marchi hanno iniziato a utilizzare ingredienti meno costosi e meno sostenibili nei loro prodotti. Nel 2004, le industrie alimentari e delle bevande leader a livello mondiale[18] hanno stretto partnership con aziende biologiche, o hanno sviluppato le proprie linee di produzione biologica, eliminando dalla filiera i produttori biologici originari, rimpiazzando i magazzini regionali delle cooperative alimentari e, soprattutto, esercitando una pressione al ribasso sui ricavi degli agricoltori e facendo scendere i prezzi dei prodotti biologici (es. Walmart). I lavoratori agricoli migranti sottopagati sono risultati più numerosi degli agricoltori biologici autonomi e i dettaglianti hanno implementato la propria certificazione interna (Whole Foods), con importazioni di cereali biologici a basso costo dall’Argentina e dal Brasile (Cargill) per le operazioni zootecniche. Attraverso i finanziamenti per la ricerca e il lobbying governativo, il business agroalimentare ha ache esercitato un impatto dominante sulla scienza e la politica legate all’agricoltura, scavalcando le regole essenziali del mercato biologico. Ad esempio, i rappresentanti di Tyson, Horizon, Heinz e Birdseye che partecipano al National Organic Standards Board negli Stati Uniti hanno formulato raccomandazioni che sono state ascoltate dalle autorità di regolamentazione, come ad esempio la possibilità di produrre sciroppo di mais biologico ad alto contenuto di fruttosio[19].
Come influenzare l’opinione pubblica sull’agricoltura biologica
Mettere a tacere la FAO. L’ingresso dell’agricoltura biologica nelle sfere intergovernative come la Fao non è stato scevro da pressioni da parte del settore privato. Nel 2000, Danone chiese al Vice Direttore Generale della Fao francese di minare il programma sul biologico, in quanto ritenuto “contro l’interesse francese”. Nel 2006, un grande progetto Fao/Ifad in India sulla produzione biologica di piante medicinali, aromatiche e coloranti naturali sottoutilizzate vide l’eccezionale mobilitazione di autorità agricole, zootecniche, forestali, sanitarie e ambientali intorno all’obiettivo di incrementare i mezzi di sussistenza delle famiglie povere, soprattutto attraverso il rafforzamento delle comunità rurali, anche attraverso solide piattaforme di commercio equo e la creazione di reti, in un contesto in cui si registravano crescenti casi di suicidio tra i contadini a causa dei debiti derivanti dall’acquisto di semi e prodotti chimici. In seguito al lancio della missione che ne svelò il potenziale, pervennero istruzioni di alto livello alla Rappresentanza della Fao a Nuova Delhi e alla sede centrale della Fao per interrompere il progetto. Gli sforzi del team per cercare di portare avanti il progetto sono stati vani di fronte a questi “oppositori” non meglio identificati, anche a causa di una valutazione interna delle attività sul campo in India che ha riscontrato errori “amministrativi”. Nel 2007, Croplife International contestò l’esito della prima conferenza internazionale della FAO sull’agricoltura biologica e la sicurezza alimentare, che si svolse in stretta collaborazione con il Comitato per la Sicurezza Alimentare Globale (Committee on World Food Security – Cfs), il quale aveva raccomandato che “l’agricoltura biologica” fosse “considerata nell’ambito dei programmi di sicurezza alimentare”. Sei mesi dopo la conferenza sul biologico e a seguito della contestazione da parte di Croplife International, il Direttore Generale della Fao pubblicò un comunicato stampa, nel quale affermava che il rapporto della Fao sulla promozione dell’agricoltura biologica si era rivelato “inconcludente”[20].
Insinuare il dubbio tra i consumatori. La presunta minaccia dei microrganismi in assenza di input chimici, unita alla preoccupazione del pubblico per i problemi legati alla Salmonella e al Campylobacter in Europa, hanno spinto la Conferenza regionale della Fao per l’Europa a chiedere nel 2000 una revisione della sicurezza degli alimenti biologici. Lo studio ha riferito che le potenziali fonti di contaminazione degli alimenti biologici rientrano nella stessa gamma degli alimenti convenzionali e che, “per quanto riguarda i contaminanti chimici, gli alimenti biologici offrono indubbi vantaggi grazie al mancato uso di pesticidi sintetici e fertilizzanti chimici. Tuttavia, l’uso di fertilizzanti organici potrebbe essere fonte di contaminazione microbiologica dei prodotti primari e deve quindi essere controllato”[21]. Negli Stati Uniti, l’Hudson Institute ha messo sotto accusa la pratica dello spargimento di letame animale nei campi da parte aziende agricole biologiche per l’aumento dell’incidenza delle malattie di origine alimentare. Nonostante il fatto che lo spargimento di letame sui campi riguardi anche il 90% delle aziende agricole convenzionali e che gli agricoltori biologici hanno rivestito un ruolo guida nello sviluppo di rigide limitazioni nell’uso del letame crudo, sono state prese in esame solo e pratiche biologiche, piuttosto che – per esempio – le forniture industriali di alimenti che sono cariche di cocktail di residui di pesticidi e altri contaminanti. Nonostante il fatto che l’attacco alla pratica dello spargimento di letame nei campi sia stato oggetto di uno studio indipendente dell’Università del Minnesota che non ha rilevato nessun rischio statisticamente diverso per quanto riguarda la contaminazione patogena di alimenti biologici certificati rispetto alle sue controparti prodotte convenzionalmente[22], l’Hudson Institute ha contestato i risultati dello studio. E’ stato sferrato un numero considerevole di attacchi contro ogni aspetto dell’agricoltura biologica, accusata di essere malsana, non sicura di costituire una “bufala nutrizionale”, di trasmettere di malattie di origine animale, di essere ecologicamente dannosa, elitaria, fraudolenta, inaffidabile, economicamente non competitiva senza sovvenzioni, alienante per i lavoratori e non in grado di sfamare il mondo[23]. In particolare, il fatto che gli alimenti biologici hanno prezzi di mercato più elevati, renderebbe il settore particolarmente vulnerabile alle frodi da parte di soggetti non biologici; argomento utilizzato dall’industria agroalimentare per fomentare timori pretestuosi per la salute e la sicurezza[24]. Consapevole dei rischi di frode, la comunità biologica ha sperimentato sistemi di garanzia e protocolli di tracciabilità per salvaguardare le proprie rivendicazioni, mentre l’industria continua a negare gli impatti dannosi dei prodotti agrochimici al punto che l’Accademia delle Scienze tedesca si sta impegnando per ridefinire i diversi protocolli di valutazione del rischio[25].
Beni pubblici contro beni privati. Per definizione, l’assenza di input di natura sintetica in agricoltura biologica, rappresenta una mancanza di conformità ai principi cardine dell’agricoltura industriale e, per l’industria agrochimica, il problema dell’indipendenza dei produttori agricoli da prodotti agrochimici e sementi geneticamente modificate. Di conseguenza, le aziende agrochimiche investono massicciamente in campagne volte a screditare ogni forma di pratica che riesca a sostituire i loro prodotti – che possiamo definire ‘beni privati’ – con beni pubblici, quali la valorizzazione intelligente delle risorse naturali e dei servizi ecosistemici da parte degli agricoltori. Le società multinazionali, che si avvalgono di surrogati ben finanziati, come l’Hudson Institute (simpatizzante della destra politica americana), il Competitive Enterprise Institute e l’American Chemical Society[26], vedono il proprio mercato minacciato, quando i consumatori scelgono come spendere i propri soldi, trasformando il mercato degli alimenti biologici da una piccola nicchia di mercato nel settore dell’industria alimentare in più rapida crescita per diversi anni consecutivi. La pubblicazione di rapporti e studi, scritti da individui ed enti collusi con l’industria, insieme ad un consolidato programma di diffusione sulla stampa, è una pratica abituale dell’industria agroalimentare, come ad esempio i risultati di certi rapporti, pubblicizzati come redatti da revisori “indipendenti”[27], che riportano come i consumatori ingiustificatamente “acquistino prodotti biologici di alta qualità basandosi su percezioni false o fuorvianti derivate da comparazioni dei prodotti in termini di sicurezza alimentare, valore nutritivo e salute”. Nel caso particolare relativo alla suddetta affermazione, è emerso in seguito come i dirigenti della Monsanto e i suoi alleati fossero coinvolti nella raccolta fondi per la stesura del rapporto e avessero collaborato ad una strategia finalizzata ad occultare informazioni relative ai finanziamenti provenienti dall’industria[28]. Con l’obiettivo di fabbricare le proprie prove scientifiche, e di fermare qualsiasi azione politica che intenda limitare pratiche dannose per la salute e per l’ambiente, l’industria agrochimica ha saputo penetrare lo spazio della ricerca, sostituendo la ricerca indipendente in agricoltura finanziata con fondi pubblici. Nel 2013, i bilanci combinati di ricerca e sviluppo delle sei grandi aziende agrochimiche e sementiere, per un valore di quasi 7 miliardi di dollari, sono stati sei volte superiori al budget totale del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti per la ricerca e l’informazione[29]. Pertanto, il capitale finanziario dell’agroindustria dedicato ad influenzare agricoltori, accademici e responsabili politici, insieme alla ricerca e allo sviluppo, è sproporzionato rispetto ai mezzi a disposizione degli attori pubblici e della società civile che promuovono l’agricoltura non sintetica.
I “Caino e Abele” dell’economia di questo decennio
La promessa di uno sviluppo sempre crescente per l’agricoltura industriale
La digitalizzazione dell’agricoltura viene propagandata come l’ultima panacea per porre fine alla fame e proteggere l’ambiente, grazie al ricorso a grandi banche dati (Big Data) con cui le macchine agricole possono “dialogare”, per mezzo di dispositivi installati all’interno delle aziende agricole che trasferiscono i dati in modalità wireless ai server delle corporations. Ciò accade spesso con conoscenze limitate del funzionamento del sistema da parte degli agricoltori. L’agricoltura “smart” (inclusa la creazione recente del concetto “climate-smart”, smart per il clima) include droni, trattori senza conducente e l’uso di informazioni climatiche e meteorologiche, promettendo una maggiore efficienza e sostenibilità. L’applicazione di questi strumenti a nanoparticelle, reazioni chimiche o sequenze genetiche è altamente specializzata. Chi controlla la catena alimentare industriale incrocia le informazioni del mercato, le proiezioni climatiche e i dati sulle malattie del suolo e delle colture per modificare la composizione dei fertilizzanti, i rivestimenti dei semi e le caratteristiche delle colture per la stagione successiva di semina. Soprattutto nel settore dei pesticidi e delle sementi, le aziende che dominano il mercato possono utilizzare queste tecnologie a proprio vantaggio. Possono prescrivere come, quando e dove gli agricoltori devono acquistare e utilizzare i diversi fattori di produzione agricola, e decidere chi può accedere ai dati risultati raccolti dalle varie aziende agricole. Ogni parte della catena alimentare utilizza sensori remoti e integrati per raccogliere i dati, banche dati per memorizzarli, intelligenza artificiale per analizzare le informazioni, algoritmi per manipolarle e blockchain per distribuirle. Aziende agroalimentari come Bayer e Deere, ma anche imprese online come Amazon e Google sono già in procinto di stabilire il loro dominio sulla digitalizzazione dell’agricoltura. Attraverso le fusioni, queste aziende consolidano il proprio potere non solo in un solo settore, ma in più poli lungo la catena alimentare industriale. I decisori politici inoltre supportano queste iniziative, sottolineando i benefici della digitalizzazione e promuovendo la rimozione di ostacoli agli investimenti.
Fusioni e acquisizioni. L’agricoltura di conservazione, l’agricoltura di precisione, le pratiche di intensificazione sostenibile e i sistemi di ingegneria genetica richiedono macchinari intelligenti in grado di integrare l’uso di input sintetici. La fusione di Bayer e Monsanto nel giugno 2018 (ora Bayer), le precedenti fusioni di Dow e DuPont (ora Corteva Agriscience) e ChemChina e Syngenta (presto parte di Sinochem) nel 2017, insieme a BASF controllano il 63% del mercato globale dei semi ad uso industriale ed oltre il 70% del business globale dei pesticidi. Nel 2014, solo quattro società controllavano il 21% del mercato dei fertilizzanti e quasi il 54% del mercato dei macchinari agricoli. Allo stesso modo, quattro imprese controllavano il 70% del commercio agricolo e il 54% della trasformazione alimentare[30]. Con una quota di mercato superiore al 40%, l’ingresso sul mercato di nuove e piccole imprese è molto difficile. I mercati inoltre sono controllati da alleanze strategiche, accordi contrattuali e partecipazioni miste tra imprese, per l’approvvigionamento dei materiali o la condivisione dei costi per la ricerca e lo sviluppo. Ad esempio, John Deere collabora con tutte e sei le aziende dominanti di sementi/pesticidi per espandere la sua piattaforma di coltivazione di precisione. Il controllo su un’ampia gamma di fattori di produzione agricola consente di svolgere un ruolo importante nella determinazione delle varietà di semi, dei fattori chimici, delle tecniche di irrigazione e persino del tipo di assicurazione del raccolto a disposizione degli agricoltori. Attraverso le intese, un gruppo di imprese si impegna nella fissazione dei prezzi, nella ripartizione del mercato o in altri accordi reciproci; ad esempio, un piccolo numero di aziende produttrici di fertilizzanti ha cooperato nell’ombra sulla definizione dei prezzi industriali nel corso dell’ultimo secolo, così come le aziende internazionali di commercio di cereali a partire dagli anni ’50 del secolo scorso. Mentre continuano a crescere le acquisizioni e aumenta l’integrazione verticale delle grandi aziende attraverso la pianificazione di ulteriori acquisizioni in futuro, anche commercianti, unità di trasformazione e rivenditori stanno acquisendo società con cadenza settimanale. Ogni settore della catena alimentare industriale è oggi strutturato secondo condizioni oligopolistiche. Ci stiamo dirigendo verso un duopolio, diretto dalle aziende di macchinari.
Dietro le quinte stanno una manciata di gestori patrimoniali e intermediari d’investimento potenti, il cui potere transnazionale supera finanziariamente qualsiasi impresa, qualsiasi banca d’affari e quasi tutti i paesi. Questi investitori finanziari stanno usando nuovi meccanismi di trading, come i blockchains e i Dark Pools, per spostare le azioni delle società su ciascuno degli anelli della catena alimentare industriale, in modo da ottenere una conoscenza approfondita di tutte le società concorrenti. Ad esempio, l’investitore americano BlackRock è l’azionista di maggioranza di 282 delle 300 maggiori società occidentali (ad esempio BASF, Bayer, Syngenta, Dow, DuPont, McDonald, Nestlé, Apple, Daimler, Lufthansa, Exxon, Shell), oggi amministratore di un patrimonio di oltre 6.300 miliardi di dollari e fra i più influenti attori del mercato azionario.
La quota di mercato, comunque, non è l’unica misura del potere delle imprese, poichè le attività vengono costantemente trasferite tra i principali operatori. Questi vendono regolarmente attività regionali quando i prezzi sono bassi, investono in società concorrenti, lanciano imprese comuni e acquistano nuove imprese. Le forze di trasformazione in corso comprendono sia le perturbazioni tecnologiche che quelle sul mercato, e le autorità di regolamentazione antitrust non sempre hanno gli strumenti per fermare le fusioni verticali e orizzontali[31].
Libertà di scelta? Le élite economiche e politiche si sostengono a vicenda per elevare lo status reciproco agendo negli ambiti della regolamentazione governativa, dei sussidi e delle tasse[32]. Con la promessa della crescita economica, i profitti tendono ad accumularsi nei livelli superiori della società invece di essere distribuiti equamente. L’illusione della riduzione della povertà e della fame induce efficacemente i lavoratori agricoli a continuare a lavorare e allo sfruttamento delle risorse, pur fornendo ad essi molto poco in cambio. Questo modello si espande anche a livello ambientale e, più comunemente, riguardo i danni associati all’inquinamento, che affliggono soprattutto i gruppi emarginati della società, i quali non ricevono nessuno dei benefici che si ottengono producendo inquinamento. Mentre per 10.000 anni gli agricoltori tradizionali hanno raccolto conoscenze e informazioni per uso proprio e per condividerle con le loro comunità e/o con i ricercatori, le pratiche industriali attuali sollevano interrogativi sull’uso etico della proprietà dei dati, mentre i relativi interessi sono agevolati da Big Data[33]. L’alta concentrazione di potere (per le sementi, i prodotti agrochimici, i fertilizzanti, la genetica del bestiame, i farmaci animali per il bestiame, l’acquacoltura e i frutti di mare e i macchinari agricoli), che presto si estenderà alle compagnie di assicurazione dei raccolti, non lascia alcuna libertà di scegliere cosa coltivare, come gestire i campi agricoli, dove acquistare i fattori produttivi, a chi vendere, a quale prezzo e, in ultima analisi, cosa mangiare.
Collocazione dell’agricoltura biologica, dell’agroecologia e della giustizia sociale
Biologico 3.0. Nel 2015, 50,9 milioni di ettari di terreni agricoli erano sotto certificazione biologica. Inoltre, tenendo conto delle aree per la raccolta di piante selvatiche, l’apicoltura e le superfici utilizzate per l’acquacoltura in boschi, pascoli e terreni non agricoli per un totale di 39,7 milioni di ettari, si può desumere che il totale complessivo di tutte le superfici ecologiche ammonti a 90,6 milioni di ettari, che forniscono reddito ad almeno 2,9 milioni di produttori biologici, con un giro di vendite sul mercato globale di 75 miliardi di dollari. L’agricoltura biologica è in espansione in tutto il mondo. Nel 2018 esistevano dati sul biologico per almeno 181 paesi, mentre 93 paesi avevano sviluppato una legislazione sul biologico[34]. Secondo alcune stime, il mercato del biologico dovrebbe raggiungere i 320 miliardi di dollari entro il 2025[35], con la più alta crescita in Asia. A causa del rallentamento dell’espansione di terreni agricoli a coltivazione biologica in alcune parti dell’Europa e del Nord America, vi sono preoccupazioni per il futuro prossimo in merito alla scarsità dell’offerta. Negli Stati Uniti, i dati mostrano che nelle contee rurali con molte aziende agricole e imprese biologiche risultano redditi familiari più alti e tassi di povertà ridotti dell’1,35 per cento, una percentuale più alta rispetto a quelle dei principali programmi per alleviare la povertà[36]. Nonostante la comprovata redditività a livello mondiale, la comunità del biologico nutre crescenti preoccupazioni per la mercificazione della filiera del biologico e per la questione della giustizia sociale tra i lavoratori agricoli. A seguito del consenso unanime intergovernativo sull’agroecologia nel 2013, l’IFOAM (International Federation of Organic Agriculture Movements – Federazione internazionale dei movimenti per l’agricoltura biologica) ha iniziato ad aprirsi a movimenti affini varando il cosiddetto “Organics 3.0” (Agricoltori biologici 3.0), dove Organics 3.1 si riferisce ai pionieri del biologico e Organic 2.0 all’attuale era degli standard e dei sistemi normativi. L’obiettivo di Organic 3.0 è “consentire un’ampia diffusione di sistemi e mercati agricoli realmente sostenibili basati su principi biologici e permeati da una cultura dell’innovazione e dal progressivo miglioramento verso le migliori pratiche, su integrità e trasparenza, collaborazione inclusiva, su sistemi olistici e su un veritiero rapporto qualità-prezzo”[37]. Nel contesto attuale, caratterizzato da condizioni climatiche estreme, i suoli organici hanno dimostrato una superiore resilienza e fertilità.
Buon cibo per tutti. Una simulazione[38] del potenziale di una conversione al 100% all’agricoltura biologica per fornire cibo sufficiente alla popolazione del 2050 e contemporaneamente ridurre l’impatto ambientale dell’agricoltura ha dimostrato che la gestione biologica potrebbe effettivamente produrre abbastanza cibo per le persone senza degradare l’ambiente e senza utilizzare più terra, a condizione che il sistema alimentare sia progettato per ridurre del 50% l’uso di mangimi, oltre alle perdite e agli sprechi alimentari. Di conseguenza, è necessario ridurre il numero di animali (principalmente monogastrici) e il consumo di prodotti animali (globalmente, dall’11 al 38%). A tal fine, una prospettiva globale dei sistemi alimentari (di produzione e consumo) è fondamentale, piuttosto che limitarsi a fissare un obiettivo di resa massima per singole colture come criterio di prestazione a sé stante. Nel caso in cui l’agroecologia e l’agricoltura biologica diventassero la norma, il cambiamento delle pratiche agricole comporterebbe l’abbandono degli input sintetici, la ridistribuzione dei pascoli naturali e l’estensione delle infrastrutture agroecologiche (siepi, alberi, stagni e habitat pietrosi) in sistemi alimentari più localizzati e più sani. Oltre alla capacità di fornire cibo a sufficienza per la popolazione mondiale, il cibo biologico è oggi riconosciuto per le sue qualità nutrizionali- Per esempio: più polifenoli nella frutta e nella verdura, meno cadmio nei cereali e acidi grassi di classe superiore e Omega-3 nei latticini[39]. Per contro, l’aumento delle rese industriali è stato accompagnato da una perdita, nell’ultimo mezzo secolo, dal 5 a oltre il 40% del valore nutrizionale delle colture[40] (a causa dell’introduzione di semi ibridi, fertilizzanti sintetici e irradiazione), oltre al fatto che l’abbondanza di alimenti ultra processati, ad alta densità energetica e poveri di nutrienti ha drasticamente impoverito le diete. Innanzitutto, la diminuzione del contenuto di residui chimici negli alimenti biologici conferisce loro una superiorità rispetto agli alimenti industriali, poiché i residui tossici negli alimenti sono in gran parte responsabili della diffusione esponenziale di malattie croniche non trasmissibili. Anche se i portavoce dell’industria hanno condotto una vasta campagna per rassicurare sui livelli di sicurezza dei residui di pesticidi negli alimenti, i fatti dimostrano che molte delle sostanze chimiche sintetiche utilizzate nel secolo scorso sono state vietate e altre sono continuamente elencate per la proibizione – di solito una volta che l’azienda agrochimica è migrata verso il livello successivo, comprese entrambe le sostanze chimiche e la biologia di sintesi.
La gente e l’autodeterminazione nella trasformazione. I pionieri dell’agricoltura biologica del secolo scorso immaginavano un sistema in cui la cura della natura andasse di pari passo con un trattamento equo dei lavoratori e prezzi dignitosi. Quando le prime aziende agricole a conduzione familiare e i piccoli artigiani indipendenti si trovarono ad affrontare la concorrenza schiacciante dell’industria del biologico e delle grandi aziende agricole convertite al biologico su una base puramente commerciale, la giustizia sociale nei sistemi biologici divenne una questione simile a quella dell’agricoltura industriale. Sebbene i principi e gli standard IFOAM includano la giustizia sociale[41], gli attuali quadri normativi del biologico non prendono in considerazione le questioni relative ai prezzi e al lavoro, sostenendo che la componente sociale non è di loro competenza.
Coloro che promuovono le fondamenta etiche del biologico stanno attualmente cercando di inserire contratti equi, prezzi equi e accesso equo ai fattori di produzione (terra, credito, sementi biologiche) nei principali strumenti governativi; ad esempio, il piano d’azione nazionale per il biologico degli Stati Uniti sottolinea l’urgenza di confluire i principi dell’equità tra le basi nel settore biologico[42]. Attraverso un’occupazione equa e condizioni di vita dignitose, il settore può potenzialmente contribuire ad arrestare la tendenza allo smembramento delle comunità agricole, fornendo nel contempo posti di lavoro migliori a 1,6 miliardi di piccoli agricoltori in tutto il mondo. Grazie alle favorevoli politiche di rivitalizzazione rurale, l’urbanizzazione inversa è una nuova tendenza in molti paesi, come ad esempio le giovani coppie istruite che scelgono di creare fattorie biologiche ed eco-agriturismo nell’Europa rurale, così come oltre 7 milioni di persone in Cina che sono ritornate nelle zone rurali per avviare imprese di allevamento di bestiame e agriturismi per attirare visitatori nelle fattorie[43]. Prima delle elezioni del Parlamento europeo varie organizzazioni della società civile hanno invocato congiuntamente un’agenda europea del consumo e della produzione equa e sostenibile. Produssero il numero di un immaginario giornale datato 2024 contenente esempi di ciò che si potrebbe ottenere se l’UE adottasse e attuasse politiche di trasformazione, basate sull’agricoltura biologica, i finanziamenti etici, il sostegno alle iniziative condotte dalle comunità locali, su appalti pubblici sostenibili e misure finalizzate ad affrontare gli squilibri di potere nelle filiere dell’agroalimentare[44]. I diritti umani fondamentali comprendono anche il diritto di tutte le persone a mantenere il proprio sistema di conoscenze culturali e tradizionali e il diritto degli agricoltori e dei lavoratori agricoli ad avere voce in capitolo nelle politiche di miglioramento verso un sistema alimentare più etico[45]. Nell’ottica di contrastare l’industrializzazione dell’agricoltura, la concentrazione del mercato alimentare e la mercificazione delle risorse della Terra come il suolo e il lavoro umano, un gruppo di imprese biodinamiche (es. Purpose AG, Alnatura) sta attualmente ripensando il concetto di proprietà al fine di combinare la libertà imprenditoriale con il concetto di fratellanza e proteggerle da interessi orientati al profitto. Questa nuova struttura giuridica, denominata “imprese in proprietà responsabile”, è stata discussa nell’ottobre 2018 da centinaia di organizzazioni e dirigenti del mondo scientifico, politico e imprenditoriale[46]. Lo scopo ultimo della comunità biodinamica è quello di stabilire un approccio associativo alla finanza, al capitale e alla proprietà.
L’offensiva delle multinazionali contro le politiche per il biologico
Indebolire le politiche per il biologico. Avendo in qualche modo mancato di influenzare le scelte dei consumatori, l’agroindustria sta moltiplicando i suoi sforzi per influenzare i decisori politici. Gli interessi corporativi e i grandi gruppi imprenditoriali che sostengono di parlare a nome di tutti gli agricoltori stanno orientando le politiche agricole in molti paesi, rendendo più difficile promulgare politiche eque, o presentare reclami contro pratiche non sostenibili. Nel 2018, il senatore repubblicano statunitense Pat Roberts, leader della Commissione del Senato per l’Agricoltura, fortemente sostenuto dalle industrie agrochimiche, ha redatto la versione per il Senato del Farm Bill (legge agraria), nel tentativo di ampliare gli standard del biologico per inserirvi concessioni a pesticidi tossici e Ogm. Mediante la proposta di un trasferimento di autorità, dal National Organic Standards Board (NOSB) – il consiglio che decide gli standard del biologico a livello nazionale – al Segretario dell’Agricoltura attraverso una scappatoia, vale a dire l’inserimento di “esenzioni di emergenza” nella “lista nazionale delle sostanze consentite e vietate” del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti, allo scopo di togliere al NOSB l’autorità di controllo che ha su quali tipi di fertilizzanti, agenti antiparassitari e altri input potrebbero essere utilizzati nell’agricoltura biologica[47]. Attraverso le “esenzioni d’emergenza”, il segretario dell’agricoltura avrebbe potuto dare il via libera, ad esempio, all’utilizzo di nuove “sostanze fitosanitarie” (pesticidi). Mentre per 20 anni, gli agricoltori biologici hanno avuto successo senza la necessità di alcuna esenzione di emergenza, la scappatoia delle “emergenze” ha permesso, invece, all’agricoltura convenzionale di applicare pesticidi tossici altrimenti legalmente limitati o vietati. Anche se l’assalto al NOSB è stato limitato da una versione del Farm Bill della Camera, sono comunque state cancellate le sovvenzioni per i programmi che aiutano i piccoli e medi agricoltori a passare al biologico e ad ottenere la certificazione[48], mentre la ricerca per il settore del biologico riceve meno dell’1% dei fondi federali per la ricerca per l’agricoltura. Allo stesso tempo, i politici sono indotti a bloccare norme che vietino le sostanze tossiche, come l’insetticida clorpirifos Dow/DuPont utilizzato su diverse colture e ritenuto un pericolo per lo sviluppo cerebrale dei bambini; secondo quanto riportato dalla Commissione elettorale federale, tra i 330 membri della Camera che dal 2017 hanno scelto di non sponsorizzare il disegno di legge per vietare l’insetticida, 118 hanno ricevuto fondi dalla Dow per un totale di 379 651 USD e nel luglio 2018 il Presidente Trump nominò tre ex dirigenti Dow in posizioni chiave del ministero dell’Agricoltura statunitense[49]. Anche la politica agricola comune dell’UE che determina le priorità di finanziamento della ricerca e il futuro dell’agricoltura, subisce l’influenza degli interessi delle imprese. Nel 2011, il registro europeo per la trasparenza ha riportato quanto dichiarato da 151 organizzazioni che rappresentano le multinazionali del settore agroalimentare in termini di spese sostenute per le attività di lobbying: una spesa totale di 49,2 milioni di euro, in particolare Syngenta per 650.000 euro e Bayer per 2.525.000 euro[50]. Il pretesto dell'”emergenza” che consente alle autorità pubbliche di agire in deroga ai principi di tutela dell’ambiente e della salute, a volte deliberatamente mirate a danneggiare aziende biologiche di successo, è una strategia dell’agroindustria a livello mondiale. L’uso massiccio di pesticidi sta trasformando l’eccezione in pratica comune. Dalle irrorazioni di DDT per contrastare le zanzare malariche in Uganda, che nel 2009 hanno colpito le fiorenti aziende di cotone biologico (compromettendo l’intero settore del cotone biologico[51]), al “Decreto di emergenza” italiano del 2018 (n. 152/2006)[52]. Il giugno 2019 ha segnato un nuovo traguardo della strategia offensiva, che ha visto la Monsanto spronare gli agricoltori indiani (Akot, Maharashtra) a dichiarare ” uno stato di agitazione di disobbedienza civile” contro il divieto di coltivare le melanzane geneticamente modificate (Bt Brinjal), introdotto in India nel 2010. Questa iniziativa pilotata dall’industria agroalimentare è stata giustificata in nome della “libertà dal controllo governativo all’’accesso alla tecnologia moderna”[53], mentre in realtà ha strumentalizzato il “Satyagraha” di Gandhi, nato per fermare leggi brutali basate sulla violenza. Più che mai oggi, l’interesse economico di pochi sta minacciando il diritto di tutti a un ambiente sano e alla libera scelta.
Quando l’innovazione ha la precedenza sulla cautela. Nel 2013, le società chimiche, farmaceutiche veterinarie, del tabacco, della plastica e dei combustibili fossili si sono unite al Forum Europeo sui Rischi (FER) per lanciare il “principio di innovazione” (PI), approvato dal Consiglio europeo nel 2016 e successivamente sostenuto dalle presidenze dell’UE, ottenendo così una posizione predominante significativa all’interno delle istituzioni dell’UE. Il PI mira a garantire che “ogni qualvolta vi sia la discussione di una normativa, il suo impatto sull’innovazione debba essere valutato ed esaminato”. Senza definire il termine ‘innovazione’, il principio consente di mantenere sul mercato prodotti rischiosi con le minori restrizioni e regolamentazioni possibili.
Il FER ha invocato questo principio per rendere la REACH, la legislazione europea sulle sostanze chimiche, più favorevole per le imprese. La PI viene utilizzata per compromettere la legislazione dell’UE circa l’uso di sostanze chimiche, l’immissione nel mercato di nuovi prodotti alimentari, di pesticidi, nanoprodotti e prodotti farmaceutici, nonché per sovvertire i principi giuridici di protezione dell’ambiente e della salute umana sanciti dal trattato UE. Ponendo la possibilità di rivendicare dei danni, il concetto di innovazione apre nuove opportunità per le imprese, minacciando al contempo il principio di precauzionee il cosiddetto principio del “chi inquina paga”.
Il concetto di PI è stato inserito per la prima volta in un progetto di testo giuridico che sarà votato dal Parlamento europeo: il progetto Horizon Europe, da 100 miliardi di euro da spendere fra il 2021 e il 2027, che stabilisce le regole per il programma di ricerca e innovazione dell’UE e favorisce ancora di più l’investimento dei fondi nella ricerca e nello sviluppo dell’industria. Nel 2017 la DG Research ha istituito una task force interna dedicata al principio di innovazione per attuare il PI e il programma di lavoro della DG Research 2018, che elenca le iniziative politiche e legislative “per individuare quelle in cui si potrebbe realizzare il principio di innovazione”. I recenti incontri dell’industria dei pesticidi con la DG Research si sono concentrati “sull’incompatibilità” di politiche o regolamenti: quelli che promuovono il “principio di innovazione” da un lato, e quelli che “bandiscono le sostanze considerate innovative o indispensabili/utili” dall’altro. Dal momento che i buoni vecchi erbicidi a base di glifosato sono considerati “indispensabili”, la PI va in soccorso anche di quei prodotti vecchi e molto criticati[54].
Inizialmente, le innovazioni agricole sono state di grande vantaggio per i tecnici dell’agricoltura biologica, offrendo soluzioni alla loro consapevole scelta di eliminare ogni apporto sintetico alla coltivazione; attraverso un mix di mezzi genetici, meccanici ed ecologici, sono state messe in atto pratiche per aumentare la fertilità del suolo (preparati biodinamici), contenere la crescita delle erbe infestanti (controllo termico meccanico), proteggere le colture (artropodi benefici) e per occuparsi degli animali (oli essenziali).
Il sovvertimento della scienza e il ritorno dell’oscurantismo. Per decenni, l’industria del tabacco ha definito “scienza spazzatura” qualsiasi scienza indipendente che dimostrasse il danno causato dai suoi prodotti, facendo riferimento ai propri studi sponsorizzati come “scienza sana”. Questo stesso tipo di linguaggio è ora utilizzato dall’industria agroalimentare. In particolare, l’industria dei pesticidi usa l’argomento “scientifico” sia per nascondere la sua politica che per fare pressione sui politici. Il fatto che i sistemi geneticamente modificati non stiano dimostrando nè maggiori rendimenti, nè una riduzione nell’uso delle sostanze chimiche, o un aumento della sicurezza alimentare, o un ridotto impatto sull’ambiente, o maggiore valore nutrizionale, o un miglioramento del reddito degli agricoltori, ha comportato il ricorso alla tattica preferita dell’industria per denigrare soluzioni alternative: vale a dire la manipolazione delle informazioni[55]. La cosa più preoccupante è che queste società corrotte hanno messo a repentaglio l’integrità scientifica di curatori, editori, legislatori e governi. Gli studi scientifici finanziati dall’industria tendono a fornire risultati che vadano a beneficio dei loro sponsor, o che non vengano pubblicati quando non adatti ai loro interessi, distorcendo la letteratura scientifica disponibile e le riviste che informano le decisioni pubbliche.
I documenti conosciuti come Monsanto Papers mostrano come sia una pratica comune per l’industria, quella di scrivere per conto di esperti presumibilmente indipendenti, come è stato riscontrato a proposito di diversi importanti studi sul glifosato nella letteratura scientifica,. Altra pratica comune è quella di distruggere la credibilità e la reputazione di singoli scienziati, come avvenuto nel 2012 con il ritiro dello studio Séralini et al.[56] che aveva valutato criticamente il mais ogm resistente al Roundup (NK603 della Monsanto), e lo aveva definito come probabilmente cancerogeno e perturbatore endocrino[57].
In Italia, i recenti attacchi all’agricoltura biologica hanno preso la piega dell’oscurantismo puro. Dalla metà del 2018 all’inizio del 2019, la senatrice a vita Elena Cattaneo ha utilizzato tutti i mezzi possibili, tra cui lettere aperte, articoli sui media, comunicati, talk show televisivi, documenti sostenuti pubblicamente da centinaia di scienziati, chiedendo al mondo accademico di non ospitare incontri sulla biodinamica (una pratica che minaccia la credibilità delle istituzioni scientifiche e pubbliche, proprio nel “paese di Galileo che ha dato vita al metodo scientifico”[58]), al fine di impedire l’approvazione della legge 988 che promuove l’agricoltura biologica per la salute e l’ambiente della nazione. I suoi attacchi utilizzano argomenti che possiamo definire medievali, basati sulla polarità scienza/anti-scienza, in cui ci si riferisce all’agricoltura biodinamica come “pratica artigianale delle streghe”, all’agricoltura biologica come “racconto bello ma impossibile”, e ai sostenitori dell’agroecologia come “fasulli” che promuovono una “visione dello sviluppo arretrato, basata sull’ideologia se non addirittura sulla magia” – affermando con forza che l’agricoltura sostenibile non può che essere intensiva, con l’ingegneria genetica come soluzione per ridurre l’uso di pesticidi. Purtroppo, appropriazione indebita di linguaggio, cattiva condotta e ritrattazione delle prove scientifiche si applicano anche alla scienza dell’alimentazione, come ad esempio nel caso delle aziende di bevande gassate che sponsorizzano la ricerca sulla nutrizione (come quella sull’obesità della Coca-Cola[59], proprio in concomitanza di un periodo di crescenti sforzi per tassare le bevande zuccherate) e che contribuiscono al caos nutrizionale e sanitario del nostro tempo, con la dieta come principale causa di morte.
Uno sguardo verso il futuro
Nel 2030 la piaga della fame continuerà ad esserci. Nel 2017, 821 milioni di persone soffrivano di fame cronica. La malnutrizione è aggravata dalla crescente carenza di micronutrienti e l’obesità colpisce oltre 2 miliardi di persone. Inoltre, situazioni instabili di sicurezza alimentare includono coloro che vivono situazioni di incertezza in merito all’accesso al cibo. A livello globale, nel 2015, quasi 1,8 miliardi di persone sono state inserite in questa categoria. Mentre la maggior parte di esse si trova nell’Africa subsahariana e nell’Asia meridionale, l’insicurezza alimentare “moderata” è (e rimarrà) un problema importante in tutte le regioni, anche nei paesi ad alto reddito[60]. Nonostante l’intento di raggiungere “sconfiggere la fame”, il secondo obiettivo dell’Agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile, si stima che entro tale data ancora 625 milioni di persone soffriranno di fame cronica[61]. Le numerose sfide includono le disuguaglianze, i conflitti, i cambiamenti climatici, la domanda di alimenti per animali in allevamenti intensivi e per usi non alimentari (ad esempio i biocarburanti) – e sistemi agricoli che tendono ad esaurire le risorse, come l’intensificazione dell’industrializzazione.
Previsioni per un 2050 più sano. I risultati della FAO dell’analisi dello scenario globale per il 2050[62] mostrano chiaramente che “l’ordinaria amministrazione”, in cui le sfide alimentari e agricole non vengono affrontate, “provocherà un significativo aumento del tasso di malnutrizione generale entro il 2050, anche se la produzione agricola lorda crescesse del 50 per cento dal 2012 al 2050, fra l’altro contribuendo ad aumentare le emissioni di gas serra”. Queste tendenze negative si aggravano ulteriormente nello scenario delle “società stratificate”, caratterizzate da maggiori disuguaglianze. L’unico futuro attualizzabile può essere raggiunto solo attraverso un contesto che si muova in direzione della “sostenibilità” (fondato su ipotesi agroecologiche), che richiede cambiamenti proattivi per la realizzazione di sistemi alimentari e agricoli più sostenibili: in tal caso, “gli obiettivi per lo sviluppo sostenibile potrebbero essere raggiunti con una riduzione della produzione agricola, a condizione che i sistemi di produzione siano più sostenibili e il reddito e il cibo vengano distribuiti in modo più equo tra i paesi e al loro interno”. In questo scenario, la malnutrizione si riduce drasticamente, la produzione agricola aumenta solo del 40 per cento, e le emissioni di gas serra vengono significativamente ridotte. La denutrizione si riduce drasticamente perché il reddito e il cibo sono distribuiti più equamente tra i paesi e all’interno degli stessi. Diete più equilibrate nei paesi ad alto reddito, che potrebbero avere effetti benefici sul sovrappeso, l’obesità e simili patologie non trasmissibili, contribuendo anche a frenare l’espansione delle attività zootecniche, che sono a loro volta un fattore chiave per ottenere una più limitata espansione della produzione agricola e dei terreni coltivabili, e la significativa riduzione delle emissioni di gas serra.
Tuttavia, l’azione nel settore alimentare e agricolo da sola non sarà sufficiente- Dunque è indispensabile una distribuzione più equa del reddito all’interno dei paesi e tra i paesi stessi. Per migliorare l’equità dei sistemi economici è quindi necessaria una trasformazione strutturale che si allontani dal capitalismo globale.
Agroecologia e governance democratica per una sicurezza alimentare e nutrizionale sostenibile. Avendo notato una correlazione fra l’aumento della produzione alimentare e una conseguente espansione della fame al di là dei confini territoriali, l’unica alternativa è quella di creare una piccola e media agricoltura sostenibile utilizzando i principi dell’agroecologia. E’ chiaro che ancora debbano essere fatti grandi progressi per far avanzare le scienze e le pratiche agroecologiche. La saggezza agroecologica per com’è attualmente intesa ha già il potenziale di nutrire i cittadini del mondo, proteggere la biodiversità e l’ambiente e la produttività della terra per le generazioni future – se solo ci fosse la volontà politica di potenziarla. In questa nuova società globale, il sistema agricolo e l’ambiente convergono, e quando causiamo entropia o abbandoniamo rifiuti, è come se lo facessimo nei nostri stessi cortili. L’agri-cultura (la cultura agricola) deve essere rivitalizzata come la più dignitosa attività umana in sinergia con le risorse naturali, attraverso l’approvazione di prezzi equi, un consumo responsabile e investimenti nelle aree rurali – i nostri orti/giardini inalienabili. Tuttavia, affrontare la governance globale delle multinazionali è un requisito imprescindibile per una sicurezza alimentare e nutrizionale equa e sostenibile. L’Onu, nella sua qualità di istituzione di governance globale, dovrebbe portare lo stato di diritto alle relazioni di potere che governano l’economia agricola globale, che attualmente determinano chi ottiene cosa, quando e come. Più specificamente, il gruppo di esperti di alto livello della Fao sulla sicurezza alimentare e la nutrizione, attraverso un dibattito pubblico inclusivo del Comitato per la Sicurezza Alimentare, dovrebbe esaminare i potenziali pericoli delle tecnologie agricole emergenti (ad esempio la biologia sintetica, l’editing genetico, i macchinari senza conducente) e supervisionare le imprese che li sviluppano. Anche se negli anni ’90 i paesi del Nord e del Sud del mondo hanno smantellato i meccanismi delle Nazioni Unite per tracciare le tecnologie e le imprese, la realtà odierna è che le grandi società stanno ottenendo ciò che vogliono e i paesi in via di sviluppo stanno perdendo. Quindi, è giunto il momento di prendere in considerazione un trattato delle Nazioni Unite sulle fusioni e le acquisizioni, così come sulle tecnologie con implicazioni per più di una singola nazione. Questo processo potrebbe essere avviato dagli esistenti strumenti, comitati e iniziative delle Nazioni Unite, come ad esempio dalla Legge Modello Unctad sulla Politica di Concorrenza, dalla Commissione Unctad per la Scienza e la Tecnologia per lo Sviluppo e dal Forum del Segretario Generale delle Nazioni Unite sulla Scienza, la Tecnologia e l’Innovazione e dal suo Meccanismo di Facilitazione Tecnica[63]. Consapevoli del fatto che questo sarà un lungo viaggio, la governance globale delle multinazionali deve essere in qualche modo sostituita da un governo democratico per una sicurezza alimentare e nutrizionale sostenibile.
Note
[1] L’agroecologia, definita dalla FAO come una scienza, una pratica e un movimento sociale per l’agricoltura sostenibile potrebbe essere considerata simile all’agricoltura biologica non certificata; i principi dell’agroecologia sono molto simili all’agricoltura biologica, ma l’agroecologia non ha standard precisi con le regole del fare e non fare, il che la rende soggetta ad interpretazione.
[2] WB (1986). Poverty and Hunger Issues and Options for Food Security in Developing Countries.
[3] Cullather Nick (2010). The Hungry World.
[4] Shiva Vandana (1991). The Violence of Green Revolution: Third World Agriculture, Ecology and Politics.
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[7] Michael Pollan (2006). An Omnivore’s Dilemma: A Natural History of Four Meals. Penguin Books.
[8] “What is holistic management?”, https://holisticmanagement.org/wp-content/uploads/2011/12/HolisticManagement-1-22.pdf
[9] Ci sono molti altri concetti, come l’agricoltura ‘rigenerativa’ o ‘climate-smart’ che asseriscono di allinearsi agli obiettivi di sostenibilità ma sono sostenuti da interessi corporativi (es. General Mills, Lan O’Lakes INC).
[10] Scialabba N. (2013). Organic Agriculture’s Contribution to Sustainability. Plant Management Network.
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[18] Tra cui ADM, Cadbury Schweppes, Coca Cola, ConAgra, Dean Foods, Dole, General Mills, Groupe Danone, H.J. Heinz, Kellogg, Mars, Parmalat Finanziaria, Kraft, Sara Lee e Tyson Foods.
[19] Henderson E. (2014). Growing our Roots. Upper Midwest Organic Farming Conference, February 2004.
[20] Tutti e tre gli accadimenti sono documentati nel registro interno della FAO per l’agricoltura biologica.
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[60] Our World in Data website, consultabile al seguente indirizzo: https://ourworldindata.org/hunger-and-undernourishment.
[61] FAO (2018). The Future of Food and Agriculture. Alternative Pathways to 2050.
[62] Ibid.
[63] Mooney Pat (2018). Blocking the Chain. Industrial Food Chain Concentration, Big Data Platforms and Food Sovereignty Solutions. ETC Group, GLOCON, INKOTA, Rosa Luxemburg Stiftung.