Di Daniela Bartolini – Italia che Cambia, 19 aprile 2019 | Fonte
Incarna lo spirito della guerriera, combatte contro la povertà globale e sostiene le lotte per il diritto alla salute delle persone in tutto il mondo, denunciando le multinazionali che avvelenano il cibo e rendono sterile il suolo. Ecco la nostra intervista all’attivista indiana Vandana Shiva, esperta mondiale di ecologia sociale.
Incontriamo Vandana Shiva a Roma il 7 e l’8 marzo. Conoscerla di persona in questa data dedicata al femminile sembra una coincidenza interessante. Questa donna indiana, laureata in Canada in Fisica, da quasi 40 anni sta portando avanti un movimento internazionale contro la povertà globalizzata, promuovendo in tutto il mondo sistemi di ecologia sociale basati su alternative agro-ecologiche rispettose della biodiversità, della salute e della dignità dei popoli.
Lo fa dirigendo diversi centri scientifici, interessandosi di bioetica, biotecnologie e ingegneria genetica e in qualità di presidente di Navdanya – il braccio operativo di Vandana in India – e di Navdanya International, la onlus che sostiene le lotte delle comunità per il diritto ad una alimentazione sana, all’autodeterminazione e alla cura del pianeta in tutto il mondo.
Alcuni stati e regioni del mondo stanno già portando avanti quest’alternativa basata sull’agricoltura biologica e sulle economie locali, capace di proteggere i territori e la biodiversità. Le comunità hanno infatti un ruolo centrale nel contrastare le lobby della chimica e dell’agro-industria, per questo è necessario che conquistino strumenti di democrazia reale. Solo sistemi agro-alimentari sani possono liberarci dalla povertà, combattere i cambiamenti climatici e promuovere la salute di tutti.
L’occasione della sua presenza a Roma è quella della presentazione e partenza del “Tour di mobilitazione per un cibo e un’agricoltura senza veleni” che ha toccato varie località italiane, da Campobasso a Bassano del Grappa, Bolzano, Malles, Trento e Torino. Un viaggio e tanti eventi in occasione dei quali Vandana ha incontrato esempi concreti di buone pratiche, testimonianze di come non solo sia possibile, ma addirittura più efficiente e conveniente produrre e consumare senza ricorrere a sostanze chimiche velenose. Ma ha anche potuto constatare l’estensione e l’impatto delle monocolture intensive sulle comunità del nostro paese, incontrando i tanti cittadini che stanno facendo rete contro questa deriva tossica e contro lo sfruttamento del territorio.
Risuonano le parole che Vandana Shiva ha pronunciato al fianco di Don Ciotti nella tappa torinese: “Se siamo seri, quando diciamo di voler mettere fine alla povertà allora dobbiamo mettere fine ai sistemi che creano la povertà derubando i poveri dei loro beni comuni, dei loro stili di vita e dei loro guadagni. Prima di poter far diventare la povertà storia dobbiamo considerare correttamente la storia della povertà. Il punto non è quanto le nazioni ricche possono dare, il punto è quanto meno possono prendere”.
In questo contesto, la Campagna internazionale di Navdanya International Per un’alimentazione e un’agricoltura libera da veleni si propone di sviluppare un movimento globale coeso per un cambiamento del paradigma produttivo. I cittadini italiani e di tutto il mondo sono pronti per una transizione basata su un modello economico che garantisca tutti un’alimentazione nutriente, sana, che non faccia esclusivamente gli interessi delle grandi multinazionali dell’agrobusiness e della grande distribuzione organizzata.
“Penso che l’Italia e l’India siano due civiltà che hanno riconosciuto che il cibo è centrale e che hanno riconosciuto che il cibo è cultura, ecologia, che il cibo è eredità e tradizione, che il cibo riguarda come gestisci la terra e il cuore di un territorio, il cibo è identità”, ci dice Vandana. “Quindi il punto di partenza, sia per l’Italia che per l’India, è molto ‘alto’, ma c’è un’aggressione globale ai sistemi alimentari e alle colture, attraverso la produzione di prodotti tossici e fraudolenti causati dall’utilizzo di pesticidi, che vede i piccoli produttori, così come le api, come nemici da sterminare. E vede inoltre le economie locali basate sulla sovranità come una minaccia. Tutto questo dovrebbe farci riflettere sul sistema alimentare globale che è stato creato, considerato che anche in Italia l’impatto economico globale è molto alto.
C’è un’economia globalizzata, distorta e disonesta, che è sotto il controllo di compagnie tossiche come Cargill, che scarica fertilizzanti tossici che distruggono la pasta italiana, oppure delle aziende che trasformano il cibo buono che cresce nei nostri campi in rifiuti tossici come la Nestlè, la Coca Cola e la Pepsi, le compagnie chimiche come Yara e le grandi multinazionali come Walmart, Amazon e Carrefour che lavorano insieme e si fanno chiamare ‘Fresh Alliance’. Loro vogliono la fine del cibo fresco. Quindi ci troviamo a fronteggiare una minaccia comune che è ormai ovunque. Ma Italia e India hanno molto da perdere perché hanno di più”.
Vandana Shiva incarna lo spirito della guerriera, combatte contro la povertà globale, sostiene le lotte al diritto alla salute delle persone in tutto il mondo denunciando le multinazionali che avvelenano e rendono sterile il suolo. Proprio dal cibo, dal sistema agroalimentare si possono rigenerare i territori e le comunità.
E nella rigenerazione del suolo, nel ritrovare la fertilità della terra, le donne possono giocare un grande ruolo: “Il primo ruolo delle donne è non mollare mai. Abbiamo un’intelligenza che solo noi conosciamo. In India è nato un grande movimento di non-cooperazione contro il sistema alimentare distruttivo, fatto dalle donne che dicono ‘noi sappiamo cos’è il buon cibo e non vi lasceremo cancellarlo e criminalizzarlo. Non permetteremo che un’economia distruttiva ci nutra con cibo spazzatura, avvelenato e tossico’.
Non solo le donne hanno una buona conoscenza del cibo, ma sanno anche che la vita è intelligente, che ogni cellula del nostro corpo è intelligente. Quando si perde l’intelligenza si perde la capacità di autoregolazione e arriva il cancro. Il cancro non è altro che una malattia derivante dal collasso del processo regolatore del nostro corpo. Stiamo uccidendo la capacità delle nostre cellule, dei nostri batteri, del nostro corpo, della terra di regolare sé stessa.
Le donne hanno questa conoscenza, anche se è spesso attaccata da un sistema antiscientifico che dichiara che la natura è morta e le donne sono ignoranti, ma il sistema antiscientifico non è stato in grado di uccidere la vera conoscenza e ciò che le donne hanno appreso nel corso dei secoli e che la scienza adesso valida: che l’ecologia è la scienza della relazione e ciò che danneggia la terra danneggia il nostro corpo. Qui è dove abbiamo una connessione con la rigenerazione. La rigenerazione della salute delle donne, dei bambini, della terra è anche la liberazione delle donne, che deve andare avanti e non può essere separata dalla liberazione della terra.
Le crisi dei rifugiati, dei cambiamenti climatici, della sovranità alimentare e della salute globale dipendono dalle comunità agricole, dalle economie locali, dal sistema di produzione di cibo e dalla gestione delle sementi che ormai sono in mano a pochissimi. Infatti sono quattro gruppi industriali (Monsanto, Bayer, DuPont, Dow Chemical) che controllano il monopolio mondiale della chimica e delle sementi. Ingegnerizzando, e quindi brevettando, semi e piante si detiene il potere sulla vita del pianeta e sulla libertà dei popoli”.
L’esperta mondiale di ecologia sociale denuncia che queste sono battaglie di democrazia. Il principio di sussidiarietà è il diritto di poter scegliere le priorità per la tutela dei propri diritti. “Bisogna decolonizzare corpi e cervello, essere capaci di pensarsi liberi. La libertà ha a che vedere con il ristabilire le relazioni di interdipendenza tra noi, il cibo, l’agricoltura e il pianeta. Siamo cicli di una rete alimentare, si dà e si riceve. La terra va protetta, custodita e ringraziata”.
Intervista e riprese: Daniela Bartolini e Annalisa Jannone
Montaggio: Paolo Cignini