Di Navdanya International – Lifegate, 19 novembre 2021 | Fonte
A Glasgow sono state sdoganate come “naturali” soluzioni tecnologiche che invece sono in contrasto con quelle rigenerative e incentrate sulla biodiversità.
I cambiamenti climatici e le loro reali conseguenze non possono essere affrontati senza riconoscere il ruolo centrale del sistema alimentare industriale e globalizzato sia nel contribuire e nel perpetuare la crisi climatica, che nel creare vulnerabilità nei sistemi agroalimentari globali. Il sistema agricolo industriale è caratterizzato dall’uso di semi commerciali ibridi o ogm, dalla coltivazione di monocolture che si basa sull’uso di prodotti chimici a base di combustibili fossili, dagli allevamenti intensivi, e dal cambiamento di uso dei territori, che provoca, per esempio, il problema della deforestazione su larga scala. Gli alimenti prodotti dal sistema agricolo industriale entrano poi nel mercato globale di trasformazione e trasporto che crea enormi quantità di rifiuti alimentari. I combustibili fossili vengono utilizzati in quasi tutte le fasi della catena alimentare, dai prodotti chimici basati sui combustibili fossili sotto forma di pesticidi o fertilizzanti sintetici, alle attrezzature agricole che consumano carburante, e a un massiccio sistema globale di lavorazione, imballaggio e trasporto basato sui combustibili fossili.
A rischio c’è l’agrobiodiversità
Nel loro insieme, queste pratiche ecologicamente distruttive rappresentano dal 44 per cento al 57 per cento del totale delle emissioni di gas serra, rendendo il sistema alimentare globale uno dei principali responsabili del riscaldamento globale e del degrado ambientale. La crisi climatica è il risultato dell’indifferenza e dell’incapacità di comprendere i sistemi viventi della terra. Incapacità sostenute da una mentalità orientata al profitto. Questa stessa mentalità ha permesso all’agribusiness di invadere le foreste e altri ecosistemi vitali, rendendo l’industria responsabile dal 70 al 90 per cento della deforestazione globale e dislocando a tutti gli effetti le popolazioni indigene.
Tra le principali vittime del paradigma agricolo moderno c’è anche l’agrobiodiversità. Oggi, circa l’80 per cento della terra arabile del mondo è organizzata in monocolture di colture uniformi e geneticamente identiche. Questo ha causato un’estinzione senza precedenti sia dell’agrobiodiversità che della biodiversità selvatica, rendendo gli ecosistemi, così come la sicurezza alimentare, ancora più vulnerabili ai cambiamenti climatici. Le prove che i fertilizzanti artificiali abbiano ridotto la fertilità del suolo e la produzione di cibo e contribuito alla desertificazione, alla scarsità d’acqua e, quindi, al riscaldamento globale, sono sempre più numerose. I terreni trattati con fertilizzanti chimici e svuotati del carbonio organico e dei nutrienti perdono la capacità di trattenere l’acqua, rendendo queste aree più vulnerabili a siccità e inondazioni. Creano anche un bisogno perpetuo di usare maggiori quantità di acqua e di prodotti chimici per rimpiazzare l’esaurimento dei nutrienti. Questo ha effetti aggravanti sugli ecosistemi, poiché l’uso di fertilizzanti azotati porta anche all’inquinamento delle fonti idriche, all’inaridimento della terra e alla distruzione del suolo.
Le false soluzioni della Cop26
Di fronte all’incombente emergenza climatica, i leader mondiali si sono riuniti alla conferenza sul clima delle Nazioni Unite (Cop26) a Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre per definire un piano d’azione per affrontare la crisi. Tra i principali obiettivi del summit troviamo gli impegni ad aumentare i finanziamenti alla tecnologia per aumentare la resilienza climatica e ridurre le emissioni globali di gas serra, per raggiungere l’obiettivo di 1,5 gradi entro fine secolo. Dopo una settimana, la Cop26 era già stata definita la conferenza sul clima più esclusiva e inaccessibile di sempre e aveva ricevuto molte critiche da parte di attivisti e gruppi della società civile, che ne hanno messo in dubbio la legittimità. La Cop26 è riuscita a mobilitare più di 100mila persone e ha dato vita a più di 300 manifestazioni in tutto il mondo per denunciare false soluzioni al problema e chiedere una maggiore partecipazione alla giustizia climatica.
La maggior parte degli eventi si sono svolti a porte chiuse e sono stati caratterizzati da una serie di interventi da parte dei leader mondiali che hanno ripetuto gli stessi consueti discorsi sulla riduzione dei gas serra e sulla finanza climatica. Il fatto che la parola sia stata data ai filantropi e ai grandi investitori tecnologici invece che ai gruppi della società civile e alle comunità emarginate illustra perfettamente la posizione assunta dalla Cop26 e l’impegno a favore di soluzioni tecnologiche rispetto a quelle rigenerative e incentrate sulla biodiversità.
La Cop26 segnerà probabilmente l’ennesimo tentativo mancato di ritenere le aziende inquinanti responsabili delle proprie azioni, conformandosi così alle false soluzioni al cambiamento climatico da loro sostenute. La Cop26 fungerà da arena di greenwashing aziendale per riqualificare i protagonisti della grande tecnologia e l’agricoltura industriale come gli eroi che forniscono soluzioni ai cambiamenti climatici, invece di identificarli giustamente come i colpevoli. Al posto che invertire la tendenza in atto, tutto sembra condurre a un’ulteriore digitalizzazione dell’agricoltura attraverso un aumento delle colture ogm, resistenti al clima, cibi artificiali e coltivati in laboratorio, crediti di carbonio e altre false soluzioni che non mettono in discussione le cause primarie del riscaldamento globale.
La finta promessa di soluzioni “naturali”
Le soluzioni proposte da questi “signori del clima” consistono in innovazioni tecnologiche costose, non adeguatamente testate e spesso pericolose, come il cibo prodotto artificialmente in laboratorio, l’editing genetico, la cattura della CO2, i crediti di carbonio e la geoingegneria: tutte orientate a sostituire proprio i processi naturali. Queste soluzioni tecnologiche ignorano completamente il potere della natura e negano le sue capacità rigenerative. Eppure, nonostante questo, sono sostenute da multinazionali e grandi investitori Big tech, che le commercializzano come l’unica soluzione possibile al problema climatico. Le false soluzioni e le biotecnologie spostano il potere politico dagli agricoltori biologici e dalle comunità locali verso le aziende biotecnologiche e i grandi investitori. Non tengono in nessun conto le conoscenze locali, indigene e le diverse culture alimentari che si sono evolute insieme ai diversi ecosistemi.
Cattura della CO2 e net-zero
Il concetto alla base di “net-zero” consiste nel bilanciare le emissioni di gas a effetto serra con la rimozione degli stessi fino ad arrivare a zero. Per raggiungere lo zero, la quantità di CO2 aggiunta non può essere più della quantità tolta dall’atmosfera nello stesso periodo di tempo. Questa equazione è problematica perché implica la possibilità per le aziende di raggiungere lo zero netto investendo in schemi di compensazione della CO2. Tuttavia, lo zero netto non porterà a reali riduzioni delle emissioni per diverse ragioni. In primo luogo, tale approccio si concentra solo sui flussi di emissioni e come tale non considera la natura cumulativa della CO2. L’anidride carbonica rimane nell’atmosfera per centinaia o migliaia di anni, a meno che non venga immagazzinata altrove, il che significa che le emissioni passate, presenti e future avranno un impatto cumulativo sia sul riscaldamento globale sia sull’acidificazione degli oceani. In secondo luogo, le compensazioni non riducono effettivamente le concentrazioni atmosferiche di CO2 . I livelli di anidride carbonica continueranno quindi ad aumentare ad un ritmo allarmante se non saranno efficacemente assorbiti dai suoli e dagli oceani.
In realtà, net-zero non è altro che un elaborato schema di greenwashing industriale che concede alle aziende inquinanti il diritto di espandere le loro attività e continuare a inquinare, sequestrando CO2 altrove. Compensando le loro emissioni attraverso l’impianto di piantagioni di alberi in monocoltura, le aziende continueranno a innescare il land grabbing e lo sgombero delle comunità, le violazioni dei diritti umani, la scarsità d’acqua e un’ulteriore perdita di biodiversità. Queste cosiddette soluzioni naturali (nature-based) sviano l’attenzione dalle cause profonde della crisi climatica e sanitaria. Una pericolosa tattica per ritardare interventi radicali, permettendo alle multinazionali, ai governi e alle istituzioni finanziarie di continuare ad operare come al solito, senza affrontare le cause del problema. Le soluzioni nature-based strumentalizzano la natura attraverso le logiche transazionali dei meccanismi di mercato ed esternalizzano la distruzione ecologica attraverso progetti di compensazione.
L’illusoria soluzione della geoingegneria
L’idea alla base della geoingegneria è di impiegare una serie di tecnologie per intervenire deliberatamente nel sistema climatico della terra e alterarlo. Per esempio, la Fondazione Bill e Melinda Gates e l’università di Harvard stanno lavorando insieme per finanziare un piano per immettere aerosol di solfato nell’atmosfera per bloccare la luce solare. In teoria, bloccare la luce solare in arrivo attraverso sostanze chimiche ridurrebbe il problema del riscaldamento globale, garantendoci così il controllo sul clima. L’effetto di riscaldamento dell’anidride carbonica sull’atmosfera può persistere però fino a 10mila anni. Si ritiene inoltre che le particelle in grado di attenuare gli effetti del sole abbandonino l’atmosfera dopo circa un anno, il che significa che, affinché questa tecnologia risulti efficace, sarebbe necessario pompare continuamente l’atmosfera con aerosol chimici.
La geoingegneria per definizione mira ad alterare i confini planetari come il ciclo del carbonio e il ciclo idrologico, ma non si propone di affrontare le cause profonde dei cambiamenti climatici. Le soluzioni illustrate finora sono il prodotto di una visione meccanicistica del mondo che vede la natura come materia morta e inerte che può essere ingegnerizzata e manipolata per adattarsi ai nostri bisogni e favorire gli interessi delle grandi aziende. Mettendo le innovazioni tecnologiche su un piedistallo e presentandole come l’unica opzione possibile per risolvere le molte crisi del mondo, le grandi multinazionali stanno dettando le proprie priorità e cementando ulteriormente il loro controllo. Questa riluttanza ad affrontare le questioni sistemiche non è affatto casuale, piuttosto, è un tentativo deliberato da parte delle multinazionali di mantenere il controllo perpetuando le stesse strutture di potere che hanno creato l’attuale crisi, senza assumersi alcuna responsabilità per l’inquinamento su larga scala e il degrado ambientale. Questa non è la transizione di cui abbiamo bisogno. L’obiettivo non dovrebbe essere solo il sequestro della CO2, ma la salute generale degli ecosistemi e delle persone, la generazione di mezzi di sostentamento e di economie sane e la creazione di equità e giustizia. Dobbiamo proteggere le nostre foreste, salvaguardare la biodiversità e quindi costruire salute e resilienza climatica.
Il ruolo della biodiversità e dei sistemi agroecologici
A differenza delle false promesse perseguite dalle multinazionali e dagli investitori miliardari, le vere soluzioni ai cambiamenti climatici non dovrebbero cercare di ingegnerizzare o manipolare il nostro pianeta per il profitto. Al contrario, dovrebbero mirare a lavorare a fianco della natura per ripristinare la sua biodiversità e rigenerare i suoi cicli naturali. Queste soluzioni esistono già e vengono perseguite da comunità alimentari locali in tutto il mondo, mostrandoci che un percorso per vivere in armonia con la natura è possibile. La biodiversità di piante, animali e microrganismi è la chiave per fornire la stabilità e l’equilibrio necessari per creare agroecosistemi resilienti per affrontare i cambiamenti climatici. Gli stessi sistemi alimentari e agricoli che conservano e rigenerano la biodiversità mitigano anche il riscaldamento globale e contribuiscono alla buona salute e all’aumento dei mezzi di sussistenza attraverso economie viventi e rigenerative.
L’agroecologia si basa su un’ampia serie di principi e include diversi metodi per lavorare in armonia con la natura e rigenerare la biodiversità attraverso semi e suoli viventi, comunità alimentari locali, senza ricorrere all’utilizzo di prodotti chimici derivati da combustibili fossili. I sistemi agroecologici sono concepiti per imitare i processi naturali e rigenerare la biodiversità in modo da fornire servizi ecologici come il controllo naturale dei parassiti, il ciclo dei nutrienti, la rigenerazione e il miglioramento dei suoli, l’aumento del sequestro della CO2 e una maggiore concentrazione di acqua nei suoli . Concentrandosi sul locale e spostando la produzione dalle catene di fornitura globalizzate, questi sistemi sono in grado di sostituire i metodi ad alta intensità di combustibili fossili con sistemi a basso input e rigenerativi che rafforzano il suolo e fissano l’anidride carbonica nuovamente al suo interno. Gli agroecosistemi mantengono così le loro funzioni di regolazione del clima e sono in grado di mitigare gli effetti del cambiamento climatico.
La transizione verso un’agricoltura biologica e rigenerativa dovrebbe essere la priorità assoluta
Lavorando con la natura, l’agricoltura rigenerativa e l’agroecologica possono generare una maggiore resilienza alimentare mentre prelevano l’anidride carbonica dall’atmosfera e la rimettono nel suolo attraverso la fotosintesi. Aumentare il sequestro della CO2 nei suoli è un aspetto vitale della mitigazione dei problemi legati al clima. Le soluzioni agroecologiche rappresentano un allontanamento dal sistema alimentare industriale e abbracciano una visione diversa della trasformazione del sistema alimentare. Si basano su un approccio sistemico, una profonda comprensione dei cicli vitali della natura e della terra, e comportano una trasformazione a livello politico, sociale ed economico. La trasformazione agroecologica è incompatibile con il paradigma dell’agricoltura industriale, poiché richiede un completo allontanamento dal sistema alimentare industriale ipercentralizzato e controllato dalle multinazionali. Qualsiasi compromesso, come il ricorso a qualche tecnica e pratica ecologica che non modifichi il modello di monocoltura dell’agricoltura industriale, può solo moderare temporaneamente gli impatti negativi, mentre contribuisce direttamente a ulteriori crisi climatiche nel lungo periodo. La vera trasformazione può quindi avvenire solo attraverso una transizione verso sistemi alimentari agroecologici.
Riferimenti
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Altieri, Miguel A. “The Ecological Role of Biodiversity in Agroecosystems.” Agriculture, Ecosystems & Environment, vol. 74, no. 1, June 1999, pp. 19–31. ScienceDirect, https://doi.org/10.1016/S0167-8809(99)00028-6.
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Earth Democracy: Connecting the Rights of Mother Earth to People’s Rights and the Well-being of All, Dr Vandana Shiva and Navdanya Team, 2021, https://www.navdanya.org/site/earth-university/connecting-rights-of-mother-earth
Shiva V., Carbon Capture’: Two World Views, Two Technology Paradigms, Two Economic Systems, Two Futures.” Navdanya, Oct. 2021, https://www.navdanya.org/bija-refelections/2021/10/06/carbon-capture/
Ulteriori Risorse
Bill Gates & His Fake Solutions to Climate Change, Navdanya International, 2021
Gates Ag One: The Recolonisation Of Agriculture, Navdanya International, 2020
La Legge del Seme, Commissione Internazionale per il Futuro del Cibo e dell’Agricoltura, Navdanya International, 2013
Patto per la Terra, Navdanya International, 2015
Plants, Planet & People – The Living Earth and Climate Change, Dr Vandana Shiva, Navdanya, October 2021
Shroff, R., Cortés, C.R. The Biodiversity Paradigm: Building Resilience for Human and Environmental Health. Development 63, 172–180 (2020). https://doi.org/10.1057/s41301-020-00260-2
L’agroecologia è la vera risposta al caos climatico
Di Ruchi Shroff, Navdanya International, L’Extraterrestre, settimanale ecologista de Il Manifesto, 25 novembre 2021 | Fonte
La Conferenza COP26, tenutasi a Glasgow è stata organizzata per definire un piano d’azione per affrontare l’emergenza climatica. Tra i principali obiettivi del summit quello di aumentare la resilienza climatica e ridurre le emissioni globali di gas serra, per raggiungere l’obiettivo di 1,5°C entro il 2030.
Dopo una settimana, la COP26 era però già stata definita la conferenza sul clima più esclusiva e inaccessibile di sempre e aveva ricevuto critiche da parte di attivisti della società civile, che ne hanno messo in dubbio la legittimità.
La maggior parte degli eventi si sono svolti a porte chiuse con i leader mondiali impegnati a ripetere gli stessi consueti discorsi sulla riduzione dei gas serra e sulla finanza climatica.
Fra gli impegni presi troviamo, non a caso, quello aumentare i finanziamenti alla tecnologia per mitigare i cambiamenti climatici. Si tratta di un approccio emblematico perché dimostra che, ancora una volta, sono i filantropi e i grandi investitori tecnologici a dettare l’agenda globale. Ancora una volta, le aziende inquinanti possono sfuggire alle proprie responsabilità. Non solo. Possono investire, e trarre profitti, con false soluzioni ai danni da loro stessi creati.
Da questo punto di vista la COP 26 ha rappresentato una grande operazione di greenwashing. Invece di invertire la tendenza in atto, tutto sembra condurre a un’ulteriore digitalizzazione dell’agricoltura, a un aumento delle colture Ogm resistenti al clima, al cibo artificiale, ai crediti di carbonio e ad altre false soluzioni che non mettono in discussione le cause primarie del cambiamento climatico. Queste soluzioni tecnologiche ignorano completamente il potere della natura e negano le sue capacità rigenerative. Una deriva che va a tutto vantaggio delle grandi multinazionali del settore.
Non sorprende, dunque, che la COP26 è riuscita a mobilitare più di 100.000 attivisti che hanno dato vita a più di 300 manifestazioni in tutto il mondo. Il cambiamento climatico non può essere affrontato senza riconoscere il ruolo centrale del sistema alimentare industriale e globalizzato; ma le proposte degli ambientalisti, che chiedono a gran voce di cambiare modello produttivo investendo sull’agricoltura rigenerativa e sulla salvaguardia della biodiversità, non sono state prese in reale considerazione.
L’obiettivo principale sembra quello di spostare il potere politico dagli agricoltori biologici e dalle comunità locali verso le aziende biotecnologiche e i grandi investitori che non tengono in nessun conto le culture alimentari che si sono evolute insieme ai diversi ecosistemi. Ma è proprio in questi contesti che troviamo le vere risposte ai cambiamenti climatici.
Sono moltissime le comunità locali in tutto il mondo che hanno capito che è necessario interrompere la guerra alla natura e lavorare al suo fianco per ripristinare la biodiversità e rigenerare i cicli naturali danneggiati dalla dissennata attività dell’uomo. Le soluzioni agroecologiche si basano su un approccio sistemico, una profonda comprensione dei cicli vitali della natura e della terra, e comportano una trasformazione politica, sociale ed economica. E rappresentano l’unica soluzione alla crisi climatica.