Di Vandana Shiva – L’Huffington Post, 7 luglio 2017 | Fonte
I piani dell’Agribusiness globale e l’attacco ai contadini indiani
Le politiche dominanti dell’agricoltura moderna sono controllate dalle grandi aziende multinazionali per le quali il profitto è al primo posto, mentre gli agricoltori e la terra sono all’ultimo. Di conseguenza si è raggiunto, in tempi rapidi, un livello di insostenibilità sociale ed ecologica che minaccia la sopravvivenza degli agricoltori.
Quello dell’India è un esempio calzante che può e deve servire da monito per tutto il mondo. L’agricoltura indiana si è infatti gradualmente trasformata secondo il modello tossico delineato dal “Cartello dei Veleni“: 318.000 contadini si sono suicidati a partire dal 1995, quando il piano di globalizzazione dell’agricoltura iniziò ad impossessarsi dei nostri semi, delle nostre terre, dei nostri sistemi alimentari. I casi di suicidio sono in costante aumento.
Di recente, gli agricoltori indiani del Maharashtra e del Madhya Pradesh hanno indetto uno sciopero che ha attirato l’attenzione dell’opinione pubblica del paese. Purtroppo, la protesta ha avuto risvolti violenti quando alcuni dimostranti sono stati uccisi in una sparatoria durante un confronto con le forze dell’ordine. Invece di ricevere giustizia e gratitudine per il loro lavoro, i contadini indiani sono stati trattati alla stregua di criminali pericolosi. Questi episodi non dovrebbero accadere in un contesto democratico e non esprimono affatto i valori su cui la nostra civiltà si basa.
Il maggior numero di suicidi viene riscontrato nelle zone dove la “Rivoluzione Verde” ha stravolto il modello agricolo, distruggendo la biodiversità, l’agricoltura tradizionale, le basi di sussistenza degli agricoltori, oltre al suolo e alle risorse idriche. Nelle stesse zone dove le politiche di globalizzazione hanno tolto di mezzo la diversità delle colture e dei mercati locali, il modello agricolo è basato sulle monocolture e il guadagno degli agricoltori deriva da un unico acquirente, il governo o una multinazionale.
In tutti e due i casi, il loro raccolto viene considerato come una “merce” e non più come una risorsa. Le cause dell’odierna crisi agraria si possono identificare nei 50 anni di monocolture intensive, basate sul modello agricolo chimico e capitalista della Rivoluzione Verde e in 20 anni di globalizzazione da parte delle multinazionali che hanno trasformato l’agricoltura indiana in un mercato, per semi e prodotti agrochimici molto costosi, e in un fornitore di merci a basso costo.
Se si continua a seguire la via dettata dalle grandi multinazionali, la crisi non potrà che peggiorare. L’eliminazione dei piccoli agricoltori è sempre stata nelle intenzioni dell’agro business globale. E purtroppo è divenuto lo scopo anche di ogni governo, da quando il modello della globalizzazione si è imposto sui mercati e sulla vita delle persone.
Un’agricoltura senza piccoli e medi agricoltori è il nuovo slogan dell’industria agrochimica. Un piano ben architettato che si traduce in un incremento dell’uso di sostanze chimiche e dei combustibili fossili. La fine degli agricoltori significa però anche la fine del cibo vero, nutriente e salutare. La nostra agricoltura deve rigettare questo modello imposto dall’alto: è necessario cambiare da un modello capitalista, ad uso intensivo di sostanza chimiche che crea dipendenza e debito, a un modello ecologico basato sulla biodiversità, che non ha nessun bisogno di input esterni e che rigenera il suolo, promuove la prosperità degli agricoltori, genera cibo vero, sano e nutriente per i cittadini.
I nostri Annadatas, i nostri agricoltori, sono oggi intrappolati nel meccanismo perverso del debito. L’epidemia di suicidi è in aumento e il circolo vizioso di schiavitù creato dalle multinazionali, nel cui sistema sono compresi beni primari quali i semi e il cibo, continua a diffondersi grazie alla globalizzazione e alle politiche neoliberiste. La globalizzazione si basa sul mito che le piccole aziende agricole non sono produttive. Questo è scientificamente falso e socialmente ingiusto.
L’accumularsi dei debiti per acquistare a caro prezzo nuovi semi ad ogni nuova semina è da considerarsi la causa primaria dei suicidi e delle proteste degli agricoltori. Contromisure immediate dovrebbero comprendere una riduzione del debito e un innalzamento dei prezzi minimi di sostegno per i prodotti agricoli. Una soluzione duratura e stabile alla crisi agricola è un modello di agricoltura ecologica, basata sul riciclo delle risorse esistenti, fuori dalla logica del debito e che può essere chiamata in svariati modi: agroecologia, agricoltura biologica, chilometro zero, permacultura, biodinamica, vedic krishi, agricoltura naturale, etc…
Ovunque venga praticata un’agricoltura ecologica e biodiversa, nella quale gli agricoltori sono parte di un mercato accessibile e ad essi comprensibile, non esiste debito, non esistono suicidi di agricoltori. I suicidi avvengono nelle situazioni in cui gli agricoltori si vedono costretti ad acquistare nuovi semi e pesticidi perché ormai dipendenti da un sistema agricolo basato su input esterni. Hanno rinunciato alla diversità della natura per coltivare “merci” che possono solo essere vendute al governo o ad enti commerciali al soldo delle multinazionali, che fanno di tutto per abbassare i prezzi di acquisto. Schiacciati dai costi in aumento e prezzi in caduta, gli agricoltori s’indebitano sempre di più e spesso si trovano senza speranze e si tolgono la vita.
È in circolazione il mito secondo il quale i piccoli agricoltori non sarebbero produttivi e che la popolazione mondiale in aumento richiederebbe un aumento in produttività che può essere garantita solo da grandi estensioni di terre agricole di proprietà di pochi. Ci sono invece numerose prove scientifiche che provano che le piccole aziende sono più produttive delle grandi aziende agricole. A livello globale, le piccole aziende agricole producono il 70% del cibo che mangiamo sfruttando solo il 25% della terra, mentre le aziende agricole industriali – secondo la Conferenza Internazionale sulle Risorse Genetiche Vegetali della Fao di Lipsia (1996) – producono solo il 30% del fabbisogno alimentare mondiale, sfruttando il 75% della terra, distruggendo il 75% del suolo fertile, delle risorse idriche e della biodiversità ed al contempo producendo il 50% dei gas serra che stanno inquinando l’atmosfera e destabilizzando il clima. L’agricoltura industriale produce merci, non cibo. Il 90% del mais e della soia prodotti nel mondo sono destinati agli allevamenti industriali o alla produzione di biocarburanti.
Il rapporto del “Gruppo di valutazione internazionale delle scienze e delle tecnologie (International Assessment of Agriculture Knowledge, Science and Technology – IAASTD) he chiaramente dimostrato che le piccole aziende agricolo sono più produttive (IAASTD’s Agriculture at a Crossroads report, vol. V ).
La revisione del 2013 della Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo, dal titolo “Svegliatevi prima che sia troppo tardi (Wake Up Before it’s Too Late)” sottolinea come sia necessario un cambiamento di paradigma da “intensificazione chimica a “intensificazione ecologica”. Il programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente “Prevenire carestie future”, dimostra come le aziende agricole ecologiche migliorino la produzione attraverso sistemi basati su funzioni ecologiche.
L’importante rivista medica Lancet ha riconosciuto come solo nelle piccole aziende agricole ci sia ricchezza di biodiversità e come questa sia fondamentale per la salute. I rapporti di Navdanya “Produttività basata sulla biodiversità (Biodiversity Based Productivity)” e “Salute per Acro” (Health per Acre) dimostrano come le piccole aziende agricole ricche in biodiversità producano più cibo ricco in principi nutritivi in confronto alle monocolture chimico-industriali. Nel caso specifico dell’India, il modello di Navdanya di “fattorie da 1 acro” può produrre un valore pari a 400.000 Rupie indiane di cereali, frutta e verdura, foraggio e piante medicinali.
Il cibo vero, sano e nutriente può solo essere prodotto in piccole aziende agricole, ecologiche, ricche in biodiversità e libere da sostanze chimiche e da sistemi d’intensificazione della produzione meccanizzati. L’importo relativo al costo reale della produzione dell’agricoltura chimico-industriale è più alto dell’importo del valore che produce. Senza gigantesche sovvenzioni questo modello non può sopravvivere.
Non ci può essere spazio per veleni e sostanze chimiche originariamente create per l’industria bellica nella nostra alimentazione. Praticando un’agricoltura ecologica, biologica, possiamo coltivare più cibo di qualità e creare pace e prosperità.
Conferenza: Il Veleno alle Porte
Lunedì 10 luglio alle ore 16, presso la Sala Piccola Protomoteca, Piazza del Campidoglio , Roma.