Di Vandana Shiva, dicembre 2019 – dal fascicolo speciale di fine anno de l’ExtraTerrestre, settimanale ecologista de “Il Manifesto”
Abbiamo bisogno di un’agricoltura basata sulla biodiversità per risolvere la crisi climatica
La Terra è un organismo vivente ed è creatrice di vita. Nel corso di 4 miliardi di anni la Terra ha sviluppato una ricca biodiversità – un’abbondanza di diversi organismi viventi ed ecosistemi – in grado di soddisfare tutte le nostre esigenze e favorire la vita.
La biodiversità e le funzioni viventi della biosfera sono sistemi attraverso i quali la Terra regola la propria temperatura e proprio il clima. Grazie ad essi si sono create le condizioni per l’evoluzione della nostra specie. Questa è la conclusione a cui sono giunti lo scienziato della NASA James Lovelock e Lynn Margulis, che stava studiando i processi attraverso i quali gli organismi viventi producono e rimuovono i gas dall’atmosfera: “La Terra è un organismo vivente in grado di autoregolarsi e crea le condizioni per mantenere ed evolvere la vita”.
L’ipotesi di “Gaia”, nata negli anni ’70, ha rappresentato il risveglio della comunità scientifica alla visione della Terra come organismo vivente.
La Terra ha fossilizzato parte del carbonio “vivo” presente sul pianeta e lo ha trasformato in carbonio inerte, stoccandolo nel sottosuolo, dove avremmo dovuto lasciarlo.
Tutto il carbone, il petrolio e il gas naturale che stiamo bruciando ed estraendo per gestire la nostra economia si sono formati nel corso di 600 milioni di anni. Ogni anno vengono bruciati milioni di anni di lavoro della natura. In questo modo il naturale ciclo del carbonio è stato compromesso.
Sono bastati un paio di secoli nei quali la nostra civiltà si è basata sull’utilizzo dei combustibili fossili per mettere a rischio la nostra stessa sopravvivenza, insieme ai fenomeni correlati a questa scelta, come la compromissione del ciclo del carbonio, lo sconvolgimento dei principali sistemi climatici e della capacità di autoregolamentazione della terra, la progressiva estinzione di diverse specie, ad un ritmo 1000 volte superiore a quello normale. La connessione tra biodiversità e cambiamento climatico è molto stretta.
L’estinzione è una certezza se continuiamo un po’ più a lungo sulla via dei combustibili fossili. Il passaggio a una civiltà basata sulla biodiversità è ora un imperativo di sopravvivenza.
Prendiamo l’esempio dei sistemi alimentari e agricoli. Sulla Terra ci sono circa 300.000 specie di piante commestibili, ma la comunità umana globale contemporanea ne consuma solo 200. E, secondo il New Scientist, ” la metà delle nostre proteine e calorie di origine vegetale provengono da tre sole piante: mais, riso e grano”. Nel frattempo, solo il 10% della soia coltivata viene utilizzata come alimento per l’uomo. Il resto è destinato alla produzione di biocarburanti e di mangimi per animali.
Il nostro sistema agricolo non è innanzitutto un sistema alimentare, è un sistema industriale e non è sostenibile.
Le foreste pluviali amazzoniche ospitano il 10 per cento della biodiversità terrestre. Ora, queste ricche foreste vengono incendiate per l’espansione delle colture di soia OGM.
Il recente rapporto dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change – Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici) sull’utilizzo dei territori e il clima evidenzia come il problema climatico inizi con gli impatti sui territori.
Ci è stato più volte detto che le monocolture basate su apporti intensivi di fertilizzanti sintetici, pesticidi ed erbicidi sono necessarie per nutrire il mondo.
Utilizzando il 75 per cento del totale dei terreni agricoli, l’agricoltura industriale basata su monocolture ad alta intensità di combustibili fossili e ad alta intensità chimica produce solo il 30 per cento del cibo che mangiamo, mentre le piccole aziende agricole, che ne utilizzano il 25 per cento, forniscono il 70 per cento del cibo. L’agricoltura industriale è responsabile del 75% della distruzione del suolo, dell’acqua e della biodiversità del pianeta. A questo ritmo, se la quota dell’agricoltura industriale basata sui combustibili fossili e del cibo industriale nella nostra dieta aumentasse di un 40%, avremmo un pianeta morto, dove non ci sarà né vita, né cibo.
Oltre all’anidride carbonica emessa direttamente dall’agricoltura basata sui combustibili fossili, abbiamo il protossido di azoto, che viene emesso dai fertilizzanti azotati (anche questi derivati dal petrolio), ed anche il metano, che viene emesso dagli allevamenti agricoli e dagli scarti alimentari.
La produzione di fertilizzanti sintetici è un processo ad alta intensità energetica. Un chilogrammo di fertilizzante azotato richiede l’equivalente energetico di 2 litri di diesel. L’energia utilizzata durante la produzione di fertilizzanti nel 2000 era equivalente a 191 miliardi di litri di diesel e si prevede che salirà a 277 miliardi nel 2030. Questo è uno dei principali fattori che contribuiscono al cambiamento climatico, ma ampiamente ignorato. Un chilogrammo di fertilizzante fosfato richiede mezzo litro di diesel.
Il protossido di azoto è 300 volte più dannoso per il clima dell’anidride carbonica. I fertilizzanti azotati stanno destabilizzando il clima, creando zone morte negli oceani e desertificando i suoli. Nel contesto planetario, l’erosione della biodiversità e la trasgressione del limite dell’azoto sono crisi molto gravi, anche se spesso trascurate.
Così, rigenerare il pianeta attraverso processi ecologici basati sulla biodiversità è diventato un imperativo di sopravvivenza per la specie umana e per tutti gli esseri viventi. Al centro della transizione è il passaggio dai combustibili fossili e dal carbonio inerte, a processi viventi basati sul crescere e riciclare il carbonio vivo rinnovato e cresciuto come biodiversità.
L’agricoltura biologica – lavorando in armonia con la natura – cattura l’anidride carbonica in eccesso dall’atmosfera (a cui non appartiene), e la ricolloca nel suolo (a cui appartiene), attraverso la fotosintesi. Essa aumenta inoltre la capacità di ritenzione idrica del suolo, contribuendo alla resilienza in tempi in cui fenomeni climatici estremi come la siccità e le inondazioni sono sempre più frequenti. L’agricoltura biologica ha il potenziale di sequestrare 52 gigatons di anidride carbonica, equivalente alla quantità necessaria per mantenere il carbonio atmosferico al di sotto delle 350 parti per milione, e fermare l’aumento medio della temperatura al di sotto dei 2 gradi centigradi. Possiamo colmare il divario tra il livello di emissioni attuale ed un livello accettabile attraverso un’agricoltura ecologica ad alta intensità di biodiversità, lavorando con la natura.
E più biodiversità e biomassa coltiviamo e incentiviamo, più le piante sequestrano carbonio e azoto dall’atmosfera e riducendo sia le emissioni sia le sostanze inquinanti nell’aria. Il carbonio viene così restituito al suolo attraverso le piante.
Più biodiversità e biomassa coltiviamo e incentiviamo nelle foreste e nelle fattorie, maggiore sarà la quantità di materia organica che restituiamo al suolo. Così facendo invertiamo la tendenza verso la desertificazione, che è già una delle cause principali dell’abbandono forzato delle proprie terre da parte di intere popolazioni e di conseguenza dei flussi dei rifugiati dall’Africa sub-sahariana e dal Medio Oriente.
L’agricoltura basata sulla biodiversità non è solo una soluzione alla crisi climatica, ma anche alla fame. Oggi nel mondo circa 1 miliardo di persone soffre costantemente la fame. I sistemi alimentari basati sull’intensificazione della biodiversità, liberi da sostanze chimiche di sintesi e deviati del petrolio producono più “nutrizione per acro” e sono in grado di nutrire un maggior numero di persone utilizzando meno terra.
Per riparare il ciclo del carbonio che è stato spezzato, dobbiamo ricominciare dai semi, dal suolo e dal sole per incrementare il carbonio vivo nelle piante e nel suolo. Dobbiamo ricordare che mentre il carbonio vivo dà vita, il carbonio fossile “morto” sta invece perturbando i processi naturali. Con cura e coscienza possiamo aumentare il carbonio vivo su questo pianeta e aumentare il benessere di tutti. D’altra parte, più sfruttiamo e usiamo il carbonio fossile, e più inquinamento creiamo, meno ne avremo per il futuro. Il carbonio fossile deve essere lasciato nel sottosuolo. Si tratta di un obbligo etico e di un imperativo ecologico.
Ecco perché il termine “decarbonizzazione”, che non distingue tra carbonio vivo e carbonio morto, è scientificamente ed ecologicamente inappropriato. Se decarbonizzassimo l’economia, non avremmo piante, che sono carbonio vivo. Non avremmo vita sulla terra, che crea ed è sostenuta dal carbonio vivo. Un pianeta decarbonizzato sarebbe un pianeta morto.
Abbiamo bisogno di ricarbonizzare il mondo con la biodiversità e il carbonio vivo. Dobbiamo lasciare il carbonio morto nel sottosuolo. Dobbiamo passare dal petrolio al suolo. Dobbiamo passare con urgenza da un sistema basato sui combustibili fossili a una civiltà ecologica basata sulla biodiversità. Possiamo così iniziare a coltivare i semi della speranza, i semi del futuro.