Foto: Fernanda Estrada González
La biodiversità è vita.
La biodiversità tesse la trama della vita.
Non è proprietà delle multinazionali.
Non è un bene finanziario o una merce a beneficio dell’avidità delle multinazionali, il cui operato sta provocando l’estinzione di massa delle specie viventi e la perdita di biodiversità.
La COP 16 del 2024
Quest’anno la Conferenza delle Parti (COP16) della Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD) delle Nazioni Unite si terrà dal 21 ottobre al 1 novembre 2024 a Cali, in Colombia.
A livello globale, la COP16 arriva in un momento cruciale in cui l’industria delle biotecnologie e l’agroindustria sono impegnate in un tentativo disperato di greenwashing per spingere nuove biotecnologie e nuovi schemi finanziari, esercitando la loro pressione con attività di lobby per ottenere la maggiore deregolamentazione possibile e per immettere sul mercato di tecnologie nuove e non sufficientemente testate. Tutto ciò mentre affermano che queste cosiddette “nuove biotecnologie” e meccanismi finanziari come i crediti di biodiversità e la finanza “green” dovrebbero essere considerati soluzioni sostenibili per la crisi odierna.
La CBD è stata l’unico organismo internazionale a occuparsi della governance di queste nuove iniziative, valutandone il potenziale impatto sulla biodiversità ed altre implicazioni multidimensionali. Per questo rende l’attuale COP della CBD si prospetta ancora più importante per il nostro futuro ecologico.
Come illustrato nel rapporto “Gates to a Global Empire” di Navdanya International, già a partire dalla COP del 2016 a Cancun, la crescente preoccupazione per l’influenza del settore imprenditoriale sulle questioni legate alla biodiversità era già sentita.
Alla COP 15, tenutasi nel 2022, fu firmato l’accordo “Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework” che includeva quattro obiettivi e 23 target chiave per agire sulla biodiversità, in linea con l’agenda 2030. Inoltre, durante la COP 15 della CBD, grazie al supporto del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP), dell’Iniziativa Finanziaria del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP FI) e dell’Agenzia Svedese per la Cooperazione allo Sviluppo Internazionale (SIDA), fu inaugurata l’Alleanza per I Crediti di Biodiversità (BCA). La BCA mira a essere una coalizione globale volontaria che unisce diversi stakeholder per promuovere l’attuazione del Quadro Globale sulla Biodiversità (Global Biodiversity Framework), concentrandosi in particolare sui Target 19(c) e (d) che prevedono il coinvolgimento del settore privato negli investimenti nel campo della biodiversità, incluso l’uso di crediti di biodiversità con adeguate protezioni sociali.
Come delineato da Navdanya International nel 2022 nell’articolo “La Convenzione sulla Diversità Biologica deve resistere alla mercificazione della vita”, gli accordi presi alla COP 15 sono stati cruciali per fornire protezione contro i crescenti tentativi di greenwashing delle multinazionali per promuovere le nuove biotecnologie, implementare ulteriormente la finanziarizzazione della natura, diluire la governance sulla biodiversità e consentire così una maggiore privatizzazione delle forme di vita. Sebbene l’accordo “Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework” sia stato accolto da molti come il “Paris Agreement per la biodiversità”, la Dr.ssa Vandana Shiva, presidente di Navdanya International, aveva sottolineato all’epoca come in realtà questo accordo segni una diluizione del ruolo della CBD nella conservazione della biodiversità, soprattutto di fronte alla crescente influenza delle multinazionali: “Trent’anni dopo la firma della Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD), le conclusioni della COP 15 segnano una diluizione, un ritardo e un indebolimento degli obblighi assunti. La CBD era un impegno a conservare la biodiversità ovunque, mentre questo accordo cade nella trappola del 30×30 che favorisce le multinazionali.“
Qui, Vandana Shiva si riferiva ai Target 1, 2 e 3 in cui sono fissati gli obiettivi di proteggere il trenta percento delle aree terrestri e marine per la conservazione e il ripristino della biodiversità. Questi obiettivi erano già stati oggetto di diverse controversie prima della COP15, perché aprivano la strada a ulteriori accaparramenti di terre sotto la maschera della conservazione della biodiversità. Inoltre, l’obiettivo del trenta percento è semplicemente insufficiente di fronte al declino massiccio della biodiversità in atto.
All’epoca furono sollevate preoccupazioni anche per il mancato riferimento , nell’accordo, all’agricoltura industriale come il più grande vettore di erosione della biodiversità. L’unica parte in cui il problema veniva timidamente menzionato era nel Target 7, dove viene indicata la misura della riduzione dei pesticidi come necessaria per ridurre l’inquinamento. Questo breve accenno però non affrontava gli altri effetti multidimensionali che l’agribusiness ha da sempre avuto nella distruzione della biodiversità: dagli effetti degli OGM sull’erosione della biodiversità, alle monocolture, all’erosione genetica delle specie.
L’accordo non menzionava nemmeno la necessità di una regolamentazione dei nuovi OGM prodotti con il gene editing, dei gene drive e di altre tecniche di manipolazione genetica che hanno gravi conseguenze sulla biodiversità.
A questo proposito, Vandana Shiva ha osservato: “La CBD e il Protocollo di Cartagena dovevano regolare gli OGM per la biosicurezza, ma invece in questi trent’anni gli OGM hanno decimato la biodiversità. Non affrontare questo impatto, che era parte del mandato originale, è un fallimento. Questo fallimento è particolarmente preoccupante dato che ovunque gli OGM vengono deregolamentati. La CBD aveva un ruolo nel fermare questa deregolamentazione che non ha svolto.”
Invece di una maggiore responsabilità per le multinazionali, il framework globale di biodiversità Kunming-Montreal ha aperto le porte a soluzioni corporative di greenwashing, come le “Soluzioni Basate sulla Natura”, i “crediti di biodiversità” e i “green bond”, che comportano il rischio di una ulteriore finanziarizzazione della natura.
La finanziarizzazione della natura
Nel nome della “conservazione” e della “protezione” della biodiversità, il settore finanziario sta promuovendo sempre più intensamente una nuova forma di bio-imperialismo attraverso false soluzioni: strumenti di finanziarizzazione della natura e della biodiversità come e i crediti per la biodiversità e le Nature Asset Companies (NAC). L’obiettivo è quello di trasformare interi ecosistemi e tutte le funzioni ecologiche della natura in unità quantificabili, in merce, soprattutto in aree ricche di biodiversità che spesso corrispondono alle terre ancestrali delle popolazioni indigene.
Organizzazioni come Finance for Europe (AFME) e EY hanno presentato raccomandazioni per la prossima COP della CBD sulla creazione di crediti per la biodiversità e di Nature Asset Companies (NAC) volte a fornire finanziamenti ai Paesi del Sud del mondo per la conservazione della biodiversità.
Ciò scaturisce dalla richiesta della CBD di aumentare i finanziamenti ai Paesi in via di sviluppo da parte dei Paesi più ricchi al fine di sostenere la conservazione e la protezione della biodiversità. In particolare, nell’ambito della bozza di quadro globale che sarà presentata a questa COP, è previsto un aumento di 200 miliardi di dollari dei flussi finanziari per la conservazione della biodiversità.
Il settore finanziario sostiene che, poiché attualmente l’87% dei finanziamenti per la biodiversità proviene dalla finanza pubblica, dalla filantropia e dalle istituzioni per lo sviluppo, insufficiente a coprire tutte le esigenze di ripristino e protezione, i finanziamenti privati possono intervenire per ridurre il gap finanziario globale in materia di biodiversità.
Siccome il settore finanziario riconosce che l’industria e i mercati finanziari dipendono intrinsecamente dalla natura, propone di applicare schemi di valutazione misurabili, chiamandoli “soluzioni basate sulla natura”. Per esempio: la finanza “blu” o i crediti per il carbonio e la biodiversità degli oceani e i crediti per l’agricoltura rigenerativa, allo scopo di proteggere ciò che essi considerano il “capitale naturale”. Questi schemi includono anche la finanziarizzazione della biodiversità, dei servizi ecosistemici e di tutto ciò che questo “capitale naturale” può includere. Tutto ciò con il pretesto di “proteggerlo”. Se questi discorsi vi suonano familiari, è perché molti di questi schemi di finanziamento sono simili a quelli proposti in passato per la finanziarizzazione del cambiamento climatico, e che sono già stati denunciati come greenwashing finalizzato a mantenere lo status quo.
Ci sono molti aspetti allarmanti nei tentativi del settore finanziario di ridurre interi ecosistemi a merce. Questi schemi permettono al settore finanziario, storicamente responsabile del saccheggio delle risorse naturali, di determinare cosa nella natura ha valore e cosa no, quali comunità ecologiche ed ecosistemi siano degni di protezione e quali no. Questo approccio rischia di trasformare gli ultimi beni comuni rimanenti in semplici merci da sfruttare nel mercato globale.
Crediti di Biodiversità
Uno dei modi proposti per valutare il “capitale naturale” sono i crediti di biodiversità, ovvero uno schema finalizzato a finanziare attività per la protezione e la conservazione della biodiversità attraverso la creazione, la vendita e lo scambio di “unità” di biodiversità.
Il World Economic Forum prevede che il mercato dei crediti di biodiversità possa raggiungere i 2 miliardi di dollari entro la fine del decennio, equivalente all’attuale entità del mercato volontario del carbonio. Entro il 2050, potrebbe crescere fino a quasi 70 miliardi di dollari.
L’ex banchiere d’investimento, Frederic Hache, che è anche docente di finanza sostenibile presso l’Institut d’Etudes Politiques di Parigi e fondatore del think tank Green Finance Observatory (GFO), afferma: “Fondamentalmente, ciò che sta accadendo ora con la biodiversità è ciò che è accaduto con il carbonio 15 anni fa, solo su scala molto più grande“.
Il principale fascino di questi nuovi schemi di finanziarizzazione è il potenziale praticamente illimitato per la generazione di profitti. Come rileva puntualmente il Green Finance Observatory: “È importante comprendere che il fascino dei crediti di biodiversità dal punto di vista politico, deriva essenzialmente dalle opportunità che offrono per ritardare qualsiasi azione significativa da parte dei paesi ricchi e industrializzati per mitigare il disastro ecologico e climatico ”.
Hache avverte giustamente che “Stiamo per assistere al lancio dei crediti di biodiversità sul mercato. Un lancio comparabile al mercato dei crediti di carbonio: con gli stessi difetti, ma peggiorativi. I rischi legati all’integrità ambientale sono amplificati dal fatto che invece di sei gas serra, si stanno cercando di standardizzare e semplificare milioni di specie in un bene liquido”.
Inoltre, come evidenziato da Chausson et al. (2023) in “Going beyond market-based mechanisms to finance nature-based solutions and foster sustainable futures” (Oltrepassare i meccanismi di mercato che finanziano soluzioni nature-based e promuovere un futuro sostenibile), è importante riconoscere “come la finanziarizzazione del capitale naturale sia sostenuta dalle stesse visioni del mondo e dinamiche di potere responsabili dei cambiamenti climatici e della perdita di biodiversità.” Pertanto, non possono essere i paradigmi responsabili delle attuali crisi climatica e della biodiversità ad offrire soluzioni a queste stesse crisi. Chausson et al. (2023) sottolineano anche che per “raggiungere la visione della CBD 2050: ‘vivere in armonia con la natura’, è necessario che vengano affrontate questioni legate al potere, alla politica e alla giustizia che stanno alla base dell’insostenibilità dello status quo, e che oggi modellano i flussi di denaro e capitale“.
Chiunque crei, valuti e detenga “crediti di biodiversità” può ora detenere diritti esclusivi sugli ecosistemi, sui servizi ecosistemici, sulla terra e su altri esseri viventi e processi ecologici. La completa mercificazione della natura e degli ecosistemi è estremamente preoccupante, poiché la natura non è un mero meccanismo per il profitto, ma è intrinseca nel suo diritto di esistere e prosperare. Non spetta ai baroni finanziari determinare cosa della vita sulla terra abbia valore. Questi schemi porteranno anche direttamente all’accaparramento di terre, come è già avvenuto attraverso i sistemi di crediti di carbonio, poiché l’80 percento della biodiversità mondiale si trova nei territori indigeni.
Francia e Regno Unito hanno avviato lo sviluppo di un sistema per il mercato globale della biodiversità tramite il Panel Consultivo Internazionale sui Crediti di Biodiversità con l’obiettivo di rivelarne i dettagli al vertice COP16 previsto per ottobre di quest’anno (2024).
Sebbene la Biodiversity Credit Alliance (BCA), sostenuta dalle Nazioni Unite, abbia disapprovato l’uso di offset (compensazioni) sulla biodiversità da parte delle imprese per rivendicare posizioni “positive per la natura”, permane l’ambiguità sulla distinzione tra crediti e offset sulla biodiversità.
Il Green Finance Observatory ha giustamente sottolineato, in risposta alle proposte di bozza e alle consultazioni della BCA, che “i crediti di biodiversità e gli offset sono identici” e che è “assurdo e politicamente ingenuo” pensare che i crediti non saranno utilizzati per ottenere offset. Il GFO osserva anche che la BCA “è un forum estremamente squilibrato. L’IIED (International Institute for Environment and Development – Istituto Internazionale per l’Ambiente e lo Sviluppo), che ricopre il segretariato del Pannello Consultivo Comunitario (CAP) della BCA, e le stesse Nazioni Unite non sono arbitri neutrali, essendo promotori da lungo tempo dei mercati della biodiversità.”
Di recente, il World Economic Forum (Forum Economico Mondiale), insieme a Mc Kinsey and Co, ha formato la “Frontrunners Coalition” che mira a sviluppare il mercato dei crediti per la biodiversità. Questa coalizione è formata da imprese dell’industria estrattiva, mineraria, dei combustibili fossili e farmaceutica.
La storia ci ha dimostrato che l’appropriazione corporativa dei beni comuni e della natura non ha mai portato a una maggiore protezione della natura. La ragione della crisi odierna è dovuta alla mentalità meccanicistica ed estrattivista orientata al profitto del settore corporativo. Non vi è alcuna evidenza che suggerisca che improvvisamente la Fondazione Rockefeller, Blackrock, il World Economic Forum e altri interessi corporativi avessero a cuore il bene pubblico, la salvaguardia del pianeta o il benessere della natura. Un settore che ha distrutto la biodiversità e la natura non arriverà improvvisamente per salvarla.
La finanziarizzazione della biodiversità e degli ecosistemi rappresenta la continuazione dell’interesse corporativo a mercificare la vita. Allo stesso tempo, ogni catena di produzione viene integrata verticalmente a partire dalle funzioni ecosistemiche in modo da estendere il controllo su ogni livello della vita. Si tratta dell’incursione finale verso la completa privatizzazione e mercificazione della vita.
La Biodiversità è Vita
Dobbiamo riconoscere che la biodiversità, lungi dall’essere un bene o una merce, è un continuum. In opposizione alla visione estrattivista del settore finanziario, esiste una visione che riconosce l’interconnessione, l’interrelazione e l’interdipendenza di tutte le sfaccettature della Creazione e della Vita.
La Terra è vivente. Tutto è interdipendente e interconnesso attraverso la rete della vita. Tutto è governato da relazioni. La Terra ci dà vita; è la Sacra Madre Terra. Siamo tutti connessi attraverso la biodiversità, dai microrganismi del suolo, alle piante, agli animali, al nostro cibo e al nostro microbioma. Esistiamo e siamo interconnessi grazie a queste reti viventi di diversità. Proprio come la biodiversità della vita ci connette tutti, così è anche per la nostra diversità culturale, la nostra diversità linguistica e la diversità delle nostre lotte. La diversità è il filo che ci collega tutti.
La salute di tutti gli ecosistemi è determinata dalla Biodiversità. La biodiversità è diversità nella vita. I sistemi di conoscenza basati sulle relazioni con la Terra riconoscono che prendersi cura della biodiversità significa vivere in armonia con la natura e onorare la complessa rete di relazioni degli ecosistemi, non nella loro ulteriore mercificazione. Questi sistemi di conoscenza sono nelle mani delle donne e dei popoli indigeni, che ora si prendono cura dell’80% della biodiversità rimanente sulla Terra.
La biodiversità dei suoli e le interrelazioni di piante e animali derivano da un paradigma relazionale che nel corso dei millenni si è evoluto in sintonia con culture e sistemi di conoscenza diversificati, basati sulla salute, la resilienza e la cura della terra. I diritti della natura e i diritti delle persone sono inseparabili e fondamentali per la salute e il benessere sia dell’umanità che della Terra.
Dobbiamo riconoscere che siamo interconnessi e parte della Natura, e dobbiamo seguire le sue leggi. Danneggiare la Terra significa danneggiare noi stessi. Questo è il principio base per resistere alla mercificazione e alla finanziarizzazione della natura.