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Di Vandana Shiva – L’Extraterrestre, Il Manifesto, 12 settembre 2019 | Fonte

I Ghats occidentali ci hanno dato le spezie. E l’Himalaya ci ha dato amaranto, grano saraceno e una grande varietà di altre colture nutrienti.

OGGI L’INDIA STA affrontando un’emergenza idrica e un’emergenza nutrizionale. Le due emergenze sono interconnesse. Le origini dell’emergenza che viviamo oggi risalgono a 40-50 anni fa con i «consigli» della Banca Mondiale e con la cosiddetta «rivoluzione verde», che ha distrutto le nostre risorse d’acqua, il nostro suolo, la nostra biodiversità.

LA CANNA DA ZUCCHERO – chiamata IkSuka in sanscrito – si è evoluta in India, nella pianura del Gange, dove c’è acqua abbondante. La Banca Mondiale ha imposto la coltivazione della canna da zucchero nella regione semi arida del Deccan del Maharashtra al posto del miglio Jowar. La regione del Deccan ha una piovosità media di 600 mm. A causa della conformazione dei Trappi dell’altopiano del Deccan, solo il 10% delle precipitazioni va a ricaricare le acque sotterranee ogni anno. Siccome la canna da zucchero richiede 2.500 mm d’acqua, si è dovuto ricorrere ad estrarre l’acqua in profondità.

LA CAUSA DIRETTA DEI POZZI SECCHI che vediamo oggi in Tv, risale ai «consigli» sconsiderati della Banca Mondiale di coltivare la canna da zucchero in un’area con scarsità d’acqua. Per far fronte all’emergenza idrica nel Maharashtra dobbiamo riportare la coltivazione del miglio Jowar, che utilizza solo 250 mm d’acqua e restituisce al suolo grandi quantità di materia organica, aumentando l’umidità del suolo.

LE VARIETÀ DI RISO E GRANO TIPICHE della rivoluzione verde sono state imposte nel Punjab. Le monocolture chimiche ne hanno distrutto le terre fertili e sono anche all’origine dell’abbandono e dell’incuria di altre terre ricche di biodiversità del riso come Orissa e Chattisgarh.

LE VARIETÀ NANE DI RISO E GRANO selezionate dalla rivoluzione verde contribuiscono all’emergenza idrica perché richiedono dieci volte più acqua per produrre la stessa quantità di cibo, rispetto alle varietà tradizionali. Inoltre, sono selezionate al fine di assorbire più prodotti chimici, ed evitare il problema dell’allettamento. Poiché le varietà nane sono coltivate in forma di monocolture, esse violano la «Legge della Restituzione», su cui si basa la sostenibilità. Non restituendo materia organica al suolo, diminuiscono la capacità del suolo di trattenere l’acqua, dove solo l’1% di materia organica nel suolo potrebbe contenere fino a 160.000 litri per ettaro.

INFINE, I FERTILIZZANTI CHIMICI utilizzati nell’agricoltura chimica uccidono gli organismi del suolo, il suolo vivo, che inizia a desertificarsi e a necessitare di irrigazioni più frequenti. I sistemi agroalimentari che ci privano dei nostri alimenti nutrienti, ci privano così anche dell’acqua. Interrompendo il ciclo dei nutrienti, questi sistemi contribuiscono alla malnutrizione, al cambiamento climatico e alla desertificazione. Il ciclo dei nutrienti che reintegra la materia organica del suolo è alla base del mantenimento del ciclo dell’acqua.

ENTRAMBI I CICLI VENGONO interrotti dagli stessi processi ecologici. La soluzione alla crisi idrica può iniziare solo con la coltivazione di varietà autoctone, che non necessitano di molta acqua e che producono più biomassa grazie alle paglie più alte, che vengono restituite al suolo, secondo la Legge della Restituzione. I sistemi agricoli indigeni basati sulle sementi indigene sono sistemi di conservazione dell’acqua perché mantengono e rinnovano sia il ciclo dei nutrienti, sia il ciclo dell’acqua.

LA MONOCOLTURA DEL RISO IN PUNJAB, che richiede irrigazioni intensive, ha infranto questi due cicli ecologici vitali della natura. Si dovrebbero preferire invece colture in ecosistemi nei quali siano ecologicamente adattate. Invece di riconoscere queste realtà e promuovere la biodiversità delle sementi indigene, scegliendo di abbandonare l’agricoltura chimica e passare al biologico, ci troviamo di fronte ad un tentativo di criminalizzare il riso stesso: un attacco contro la nostra biodiversità e la nostra cultura.

LA RIVOLUZIONE VERDE NON è stata né verde, né rivoluzionaria, bensì un piano per colonizzare i sistemi agricoli e alimentari dell’India, che ha provocato una grave crisi idrica. Per fronteggiare questa emergenza ecologica e sociale, abbiamo bisogno di una vera e propria rivoluzione alimentare e idrica basata sui semi indigeni, su colture che necessitano di poca acqua, come le varietà tradizionali di grano, riso, legumi, tilhan e miglio – quelli che definisco a volte «i cibi dimenticati». Un’agricoltura basata sulla rigenerazione della fertilità e dell’umidità del suolo attraverso l’agricoltura biologica può affrontare sia l’emergenza nutrizionale sia l’emergenza idrica, e contrastare al contempo il cambiamento climatico. Questo è il nostro Jarvik Kranti. La nostra rivoluzione per la vita.


Per rispondere all’emergenza idrica in India occorre una rivoluzione per la vita, per l’acqua e per il cibo

Di Vandana Shiva – Jivad, Vandana Shiva’s blog, 2 luglio 2019 | Source

L’India è una terra di diversità: dalle diverse condizioni climatiche, alla complessa varietà delle piante, dei sistemi alimentari e agricoli, alla moltitudine di lingue ed abiti tradizionali. In India abbiamo tutti i climi del mondo – il deserto del Rajasthan, le aree semiaride del Deccan, i ricchi ecosistemi costieri, le foreste pluviali dei Ghats occidentali, la zona temperata e il cosidetto “terzo polo”: l’Himalaya.

Ogni regione ha saputo evolvere sistemi agricoli, colture e alimenti adattandoli alla diversità della natura e alle diverse culture locali che hanno saputo co-evolvere con il mondo naturale. In Rajasthan e nel Deccan avevamo varietà di miglio, di legumi e di semi oleosi. Orissa e Chattisgarh sono stati identificati da Vavilov quali centri d’origine del riso, dove le comunità indigene ne hanno sviluppato più di 200.000 varietà. I Ghats occidentali ci hanno dato le spezie. E l’Himalaya ci ha dato amaranto, grano saraceno e una grande varietà di altre colture nutrienti.

Oggi l’India sta affrontando un’emergenza idrica e un’emergenza nutrizionale. Le due emergenze sono interconnesse. I sistemi agroalimentari che ci privano dei nostri alimenti nutrienti, ci privano anche dell’acqua. Interrompendo il ciclo dei nutrienti, questi sistemi contribuiscono alla malnutrizione, al cambiamento climatico e alla desertificazione. Il ciclo dei nutrienti che reintegra la materia organica del suolo è alla base del mantenimento del ciclo dell’acqua. Entrambi i cicli vengono interrotti dagli stessi processi ecologici. Le origini dell’emergenza che viviamo oggi risalgono a 40-50 anni fa con i “consigli” della Banca Mondiale e con la cosiddetta “rivoluzione verde”, che ha distrutto le nostre risorse d’acqua, il nostro suolo, la nostra biodiversità.

Le varietà di riso e grano tipiche della rivoluzione verde sono state imposte nel Punjab. Le monocolture chimiche ne hanno distrutto le terre fertili e sono anche all’origine dell’abbandono e dell’incuria delle terre ricche di biodiversità del riso come Orissa e Chattisgarh.

Le varietà nane di riso e grano selezionate dalla rivoluzione verde contribuiscono all’emergenza idrica in tre diversi modi.

In primo luogo, le varietà della rivoluzione verde richiedono dieci volte più acqua per produrre la stessa quantità di cibo, rispetto alle varietà tradizionali.

In secondo luogo, le varietà della rivoluzione verde sono selezionate come varietà nane al fine di assorbire più prodotti chimici, ed evitare il problema dell’allettamento che si presenta quando i prodotti chimici sono applicati alle varietà indigene.  Poiché le varietà nane sono coltivate in forma di monocolture, le varietà della rivoluzione verde violano la “Legge della Restituzione”, su cui si basa la sostenibilità. Non restituendo materia organica al suolo, diminuiscono la capacità del suolo di trattenere l’acqua, quando solo l’1% di materia organica nel suolo potrebbe contenere fino a 160.000 litri per ettaro.

In terzo luogo, i fertilizzanti chimici utilizzati nell’ agricoltura chimica uccidono gli organismi del suolo, il suolo vivo. Il suolo comincia a desertificarsi e necessita di irrigazioni più frequenti, che portano ad una crisi idrica più profonda.

La soluzione alla crisi idrica inizia con la coltivazione di varietà autoctone che non necessitino di molta acqua e che producono più biomassa grazie alle loro paglie più alte, da restituire al suolo, seguendo così la Legge della Restituzione. I sistemi agricoli indigeni basati sulle sementi indigene sono sistemi di conservazione dell’acqua perché mantengono e rinnovano sia il ciclo dei nutrienti che il ciclo dell’acqua.

Invece di riconoscere che la monocoltura del riso in Punjab, che richiede irrigazioni intensive, ha rotto i due cicli ecologici vitali della natura; invece di  riconoscere che le colture dovrebbero essere coltivate in ecosistemi ai quali si sono ecologicamente adattate; invece di promuovere la biodiversità delle sementi indigene, di abbandonare l’agricoltura chimica e passare al biologico, c’è ora un tentativo di criminalizzare il riso stesso e distruggere la nostra biodiversità e la nostra cultura. Noi chiamiamo riso Akshat (che significa intero, non rotto) e Prana (il respiro considerato come la forza e l’energia universale che ci dà la vita). Questo attacco al riso è un attacco alla nostra civiltà e al nostro patrimonio ecologico.

Come il riso, la canna da zucchero – chiamata IkSuka in sanscrito – si è evoluta in India, nella pianura del Gange, dove c’è acqua abbondante.

La Banca Mondiale ha imposto la coltivazione della canna da zucchero nella regione semi arida del Deccan del Maharashtra al posto del miglio Jowar. La regione del Deccan è in una zona d’ombra rispetto alle piogge dei Ghats occidentali e ha una piovosità media di 600 mm. A causa della conformazione dei Trappi dell’altopiano del Deccan, solo il 10% delle precipitazioni va a ricaricare le acque sotterranee ogni anno.  Il miglio Jowar utilizza solo 250 mm d’acqua e restituisce al suolo grandi quantità di materia organica, aumentando l’umidità del suolo. Siccome la canna da zucchero richiede 2500 mm d’acqua, si è dovuto ricorrere ad estrarre l’acqua in profondità. La causa diretta dei pozzi secchi che vediamo in TV, risale ai “consigli” sconsiderati della Banca Mondiale di coltivare la canna da zucchero in un’area con scarsità d’acqua.

L’alto costo dell’irrigazione a goccia, che varia da 45000 a 75000 rupie per ettaro, è destinato ad aumentare lo stress finanziario che grava sugli agricoltori e non servirà a riparare il ciclo dell’acqua che è stato rotto.  Per far fronte all’emergenza idrica nel Maharashtra dobbiamo riportare la coltivazione del miglio Jowar

La rivoluzione verde non è stata né verde, né rivoluzionaria, bensì un piano colonizzare i sistemi agricoli e alimentari dell’India.

Ci ha lasciato con una grave crisi idrica. Con l’emergenza ecologica e sociale che abbiamo di fronte, abbiamo invece bisogno di una vera e propria rivoluzione alimentare e idrica basata sui semi indigeni di colture che necessitano di poca acqua, come il grano desi, il riso desi, i legumi desi, il tilhan desi, e ilenostre vaietà di miglio, quelli che definisco a volte “i cibi dimenticati”. Un’agricoltura basata sulla rigenerazione della fertilità e dell’umidità del suolo attraverso l’agricoltura biologica può affrontare sia l’emergenza nutrizionale sia l’emergenza idrica, e contrastare al contempo il cambiamento climatico.

Questo è il nostro Jarvik Kranti. La nostra rivoluzione per la vita.

Traduzione: Elisa Catalini, Navdanya International