Home > Notizie > i nostri articoli > Dalle Alpi all’Himalaya: agricoltori e cittadini sotto assedio, ma un modello 100% biologico è possibile

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Di Manlio Masucci (testi e fotografie) – Estratto dal rapporto di Navdanya International Il Futuro del cibo – Biodiversità e agroecologia per un’alimentazione sana e sostenibile – novembre 2019 

Il tour in Trentino Alto Adige, organizzato nell’ambito della campagna globale di Navdanya International “Per un’alimentazione e un’agricoltura libere da veleni”, ha dato l’opportunità al team di Navdanya di constatare lo stato di degrado di un territorio immenso sotto l’assalto di monocolture industriali intensive. Il team ha incontrato numerose organizzazioni locali, agricoltori e cittadini che lottano contro le conseguenze di un sistema produttivo industriale intensivo che sta danneggiando l’ambiente, la salute e l’economia locale e la bellezza del paesaggio naturale per il quale le valli e le montagne del Trentino Alto Adige sono famose.

I dintorni della fattoria Gluderer prima dell’invasione della monocoltura (foto Gluderer)

Le monocolture di mele sono estese e pervasive, occupano e rimodellano l’intero paesaggio montano del Trentino, con incursioni fino alle città e anche al loro interno.

Le sterminate piantagioni industriali, alle pendici delle bellissime montagne del Trentino, danno l’impressione di un immenso cimitero con i loro filari, rami mutilati e senza foglie che non sarebbero in grado di tenersi in piedi da soli, mantenuti in piedi da migliaia di pali di cemento.

Le monocolture di mele in Trentino

Le comunità locali sono profondamente preoccupate per l’uso massiccio di pesticidi associato al sistema produttivo delle monocolture intensive. Un’inquietudine che Vandana Shiva ha definito ben fondata: “La preoccupazione della gente è giustificata. L’attuale epidemia di malattie croniche è anche il risultato della diffusione di sostanze tossiche nei nostri sistemi alimentari. Siamo la prima generazione costretta a vedere i nostri figli ammalarsi più di noi, in particolare di cancro. Sappiamo che solo il 5% dei tumori è di origine genetica, il restante 95% è dovuto alla tossicità dell’ambiente circostante. L’Onu stima che 200.000 morti all’anno nel mondo sono causate dai pesticidi”.

Gli effetti di questo sistema produttivo non sono, d’altra parte, solo percepiti ma ampiamente documentati, come è il caso proprio del Trentino. Gli ultimi dati dell’Ispra (Istituto superiore per la Protezione e la ricerca ambientale) parlano chiaro: nel Rapporto nazionale pesticidi nelle acque 2018, la presenza di fitofarmaci è stata riscontrata in oltre il 90% dei punti delle acque superficiali in provincia di Bolzano e oltre il 70% in provincia di Trento. Un trend confermato dai dati Istat, contenuti nell’Annuario dei dati ambientali 2018 dell’Ispra, che certificano come, nel 2016, siano stati irrorati in Trentino Alto Adige una media di 62,2 kg di principi attivi per ettaro, quasi dieci volte la media nazionale di 6,63 kg/ettaro. Difficile non mettere in relazione questi dati con la monocoltura intensiva delle mele che, nell’anno di riferimento, raggiungeva una produzione di 1.500.000 tonnellate, pari al 70% della produzione italiana e al 15% di quella europea.

La protesta dilaga: dagli operatori del settore, ai cittadini e ai residenti delle campagne

Distanze di sicurezza non rispettate, trattamenti effettuati senza preavviso in tutte le ore del giorno e indipendentemente dalle condizioni climatiche, anche nelle giornate particolarmente ventose che facilitano la dispersione dei prodotti chimici a grandi distanze. Le storie si ripetono identiche lungo tutta la regione del Trentino Alto Adige che, da dieci anni a questa parte, sembra essersi tramutata in un immenso monocoltivo. La mancanza di controlli rende molti agricoltori impermeabili alle proteste dei cittadini e delle aziende biologiche che vedono i loro raccolti minacciati dalla contaminazione: “Le distanze di sicurezza fra i campi trattati e gli altri campi – ci spiega Andrea, il gestore di un agriturismo biologico locale – sono raramente rispettate e spesso non esistono siepi di protezione; a questo si aggiunge l’arroganza di molti operatori che sanno benissimo che dal momento in cui iniziano il trattamento irregolare al momento in cui interverranno i vigili passerà il tempo sufficiente a completare l’operazione; una volta sul luogo, i vigili, in mancanza di fragranza di illecito, decidono di non intervenire nonostante l’aria sia pestilenziale, ancora intrisa dai pesticidi da poco irrorati”.

E gli operatori del settore cominciano a coalizzarsi con i cittadini. E’ proprio il caso dell’agriturismo di Andrea, parte della rete dell’Ortazzo, organizzazione che ha cominciato ad interrogare le istituzioni non solo sulla sostenibilità ecologica ma anche su quella economica di lungo periodo. E la nascente coalizione fra agricoltori bio e cittadini appare del tutto logica, visto che, entrando nella città di Trento, si può constatare come le monocolture abbiano oramai sfondato le linee difensive urbane posizionandosi in aiuole, spartitraffico e rotonde.

Ma il Trentino rappresenta solo la punta dell’iceberg. Tutto il paese è coinvolto dal fenomeno. Vivere e lavorare in campagna non può essere più considerato l’idillio di una volta. E i cittadini si stanno mobilitando per chiedere il rispetto delle distanze di sicurezza e dell’obbligo di preavviso. E’ il caso della petizione da 25 mila firme presentata recentemente al Parlamento dal gruppo Facebook No Pesticidi, ma è anche il caso del Forum Marcia Stop Pesticidi che, di fronte all’evidenza del non rispetto delle regole, chiede il bando totale dell’uso di fitormaci in agricoltura e il fermo immediato all’espansione delle monocolture intensive.

Richieste che provengono da una fetta sempre più ampia di popolazione che, in base ai principi di sussidiarietà e di precauzione, reclama il diritto, sancito dall’articolo 32 della nostra Costituzione, a vivere in un ambiente salubre.

Alla ricerca del paradiso perduto

L’agricoltura biologica è sempre più sotto attacco. Si trova in stato di assedio e la risposta più naturale sembra essere la costruzione di un bunker per proteggersi dai bombardamenti chimici dell’agricoltura industriale.

Questa è la storia della famiglia Gluderer che ha dovuto spendere oltre 150 mila euro per mettersi al riparo dai pesticidi. Un bunker di metallo e plastica pesante dell’estensione di centinaia di metri quadrati che protegge raccolti, lavoratori e gli stessi membri della famiglia che, da quattro generazioni, vivono e lavorano a Coldrano, nella Val Venosta. Ai margini della proprietà le siepi sono state sostituite da tendoni di plastica di oltre due metri d’altezza. La fattoria biologica dà l’idea, a prima vista, di un campo militare circondato da nemici, centinaia di ettari di monocoltivi di mele convenzionali pronti a lanciare il loro attacco chimico su basi quasi quotidiane.

La famiglia Gluderer ha così dovuto scavare la sua surreale trincea per preservare la salute dei suoi membri e l’attività di produttori biologici minacciata costantemente di contaminazione della deriva tossica: “Non abbiamo potuto fare altrimenti – ci spiega Annamaria, 59 anni, guardando preoccupata il bunker e le barriere che ricoprono da cinque anni l’intera proprietà – era l’unico modo per mantenere l’azienda biologica e conservare il posto di lavoro per la nostra famiglia”.

E’ questa la risposta a cui sono costretti gli agricoltori biologici in balia delle pericolose derive di fitofarmaci e lasciati soli dalle autorità nonostante i ripetuti e palesi abusi: “Abbiamo iniziato la produzione di mele biologiche nel 1990 e quelle delle erbe bio nel 2005 – ci racconta Annamaria – su un’estensione totale di 3.647 metri quadrati; abbiamo cominciato a subire gravi danni dalla deriva di pesticidi a partire dal 2010 e da allora abbiamo fatto tre denunce penali all’Asl; abbiamo vinto le cause ma le spese e il ripetersi degli abusi ci hanno obbligato a investire tutti questi soldi per isolare il nostro terreno dai monocoltivi intensivi circostanti”. Una soluzione drastica, parziale e che non rende giustizia alla bellezza del paesaggio del Trentino.

Eppure, vedendo i bambini della famiglia giocare all’interno dello spazio recintato, si ha l’impressione che la soluzione adottata dalla famiglia Gluderer sia drammaticamente corretta. Rimane l’amarezza dell’asserragliamento di fronte all’ingiustizia, della condanna a dover vedere crescere i propri bambini con uno sfondo di tendoni di plastica piuttosto che di campagne e montagne incontaminate. Un arroccamento boccaccesco di fronte l’avanzare della peste chimica che prevede solo un’altra soluzione: la fuga.

Teli di plastica alti più di due metri per proteggere l’azienda agricola biologica dai pesticidi

E’ la seconda opzione. Spostare la produzione sempre più in alto, sulle montagne impervie ma ancora amiche, il più lontano possibile dai miasmi tossici. La famiglia Gluderer ha quindi cominciato ad esplorare anche la possibilità di lavorare laddove i pesticidi ancora non sono arrivati, per il momento: “Abbiamo acquistato un terreno a Tubre, vicino a Malles, a un’altezza di 1.300 metri perché lì ancora non ci sono problemi di deriva; abbiamo così deciso di spostare lì tutte le arnie per la lavorazione del miele”. La difesa ad oltranza e il ripiegamento di fronte alla forza devastante del nemico. Sembra di assistere al dispiegamento di una strategia militare per poter difendere la salute, il lavoro, la vita stessa. Annamaria mostra una foto. E’ la sua campagna. Prima che tutto questo iniziasse. Prima della guerra chimica, prima del bunker: “Il mio sogno – ci dice mostrandoci la foto – è che ci restituiscano ciò che avevamo, la campagna dove io sono cresciuta ma dove i miei nipoti non potranno più crescere liberamente”.

I nipoti di Annamaria continuano a giocare tra gli enormi archi coperti di plastica pesante

Ma mentre i nipotini di Annamaria continuano a giocare fra le enormi arcate di plastica pesante, ci chiediamo se quel sogno possa mai divenire realtà. Lo chiediamo a Manuel, 35 anni, figlio di Annamaria e responsabile della produzione agricola dell’azienda, mentre assaporiamo una profumata tisana di erbe biologiche dell’azienda. La sua opinione sullo sviluppo locale appare lucida e al tempo stesso inquietante: “E’ un modello di sviluppo che lavora per favorire un determinato tipo di industria – ci dice Manuel di fronte la sua tazza fumante – a sua volta supportato dalla propaganda; perché la verità è che non abbiamo bisogno di pesticidi o fertilizzanti chimici per coltivare, come dimostra la nostra produzione e quella di altri agricoltori biologici; le rese sono ottime e la sostenibilità economica è assicurata anche senza utilizzare rame o zolfo; ma l’industria spinge per la cosiddetta innovazione, ovvero vendere nuovi prodotti, nuove tecnologie anche se in questo modo continuano a minacciare la nostra salute e a distruggere la biodiversità; nei nostri campi gli insetti e gli impollinatori sono quasi del tutto scomparsi”.

La figlia di Annamaria, Marion, che tiene in braccio Lena, la sua bambina di 6 anni sotto gli archi di protezione.

Le scelte della politica: altro che transizione, la priorità è preservare lo status quo!

La politica fa però orecchie da mercante, in tutti i sensi, considerando i grandi interessi economici in ballo e lo strapotere delle lobby agroindustriali. E’ il caso proprio della Provincia di Bolzano che con Delibera del 12 marzo 2019 ha autorizzato l’impiego di un consistente numero di pesticidi anche nelle aree di tutela delle acque potabili. E questo nonostante il recente allarme lanciato dall’Ispra sull’elevato livello di contaminazione da fitofarmaci riscontrato nelle acque superficiali e di profondità italiane. Fra i pesticidi tollerati troviamo non solo il Glifosate, definito probabilmente cancerogeno dallo Iarc, ma anche l’Acrinatrina, il Clorpirifos, il Captano, il Dithianon, il Fluazinam, il Mancozeb e molti altri.

Una delibera che non rappresenta una novità ma che, al contrario, sembra inserirsi in un trend nazionale. Non bisogna andare molto indietro nel tempo per ritrovare un precedente nel Decreto del presidente della Giunta regionale Toscana pubblicato il 30 luglio 2018, n. 43/R: “E’ uno scandalo – tuona l’oncologa Patrizia Gentilini dell’Isde, i medici per l’ambiente italiani – che si continui a concedere autorizzazioni di questo tipo; con la Delibera della Giunta Regionale Toscana si è autorizzato in tutta la Regione, nell’area di salvaguardia di captazioni di acque sotterranee destinate al consumo umano, l’utilizzo di ben 29 pesticidi di pessimo profilo ambientale, compreso Clorpirifos e il Glifosate e cinque addirittura nemmeno più autorizzati in Europa come l’Acrinatrina, l’Azinfos ethyl, l’Azinfos methyl, il Demeton S-metile e l’Omethoate; negli ultimi tre anni – conclude la Gentilini – sono state concesse 176 deroghe a sostanze vietate tanto che il consumo di pesticidi nel nostro paese, già fra i primi in Europa, è aumentato del 7,8%”.

E se le Regioni razzolano male, non da meno è il Parlamento che continua ad approvare decreti perlomeno discutibili scatenando la protesta delle organizzazioni della società civile. E’ il caso del recente Decreto emergenze che ha sollevato molte polemiche fra gli addetti ai lavori. L’obbligo di valutare gli effetti ambientali dei piani fitosanitari viene, con questo decreto, a decadere. E’ quanto sostengono gli oltre duemila firmatari della lettera aperta al Parlamento che invocano l’applicazione di un principio cardine della fase di transizione: il sistema della produzione agricola, così come la gestione delle fitopatie, è ormai inscindibile da considerazioni di tipo sociale, ambientale, climatico, alimentare, sanitario, paesaggistico ed economico.

Province, regioni e governo sembrano continuare a camminare su un percorso inverso da quello indicato dai cittadini, dalle organizzazioni della società civile e dagli agricoltori biologici che non sembrano però più intenzionati a restare a guardare, pronti ad allearsi per uscire dalle trincee in cui sono stati finora rilegati. La transizione è iniziata ma la politica ancora non sembra essersene accorta. 

La transizione continua, nonostante la politica

Il cambiamento dovrà necessariamente iniziare dal basso verso l’alto. Da comunità che rivendicano democraticamente il diritto ad un ambiente sano in cui vivere e ad un’alimentazione sana e nutriente. Questo è quanto sta accadendo in Italia. Movimenti spontanei di cittadini stanno dando vita a coalizioni sempre più forti e coese che rivendicano il diritto costituzionale di vivere in un ambiente sano. A guidare questa mobilitazione sono le amministrazioni comunali: nel 2018, 65 comuni italiani hanno attivato norme e regolamenti a favore dell’agricoltura biologica nelle aree urbane e suburbane.

La storia dei cittadini di Malles, piccolo paese della Val Venosta in Alto Adige, e del suo coraggioso sindaco Ulrich Veith è particolarmente significativa.

Nel 2014 il comune di Malles aveva indetto un referendum popolare sui pesticidi, tenendo conto che in Alto Adige l’uso medio per ettaro è tra i più alti in Italia a causa della monocoltura di mele. Circa il 70% della popolazione avente diritto di voto, ha partecipato al referendum votando, con una larga maggioranza del 76%, contro l’utilizzo dei pesticidi dal territorio di Malles. Un’affermazione netta a cui è seguita una delibera comunale immediatamente bloccata dal Tar mentre la Corte dei conti ha chiesto al sindaco di Malles di rimborsare al comune la somma di ventiquattromila euro,  spesa per l’organizzazione del referendum.

In una conferenza stampa al Parlamento italiano, organizzata da Navdanya International, il sindaco Veith aveva dichiarato che avrebbe rispettato la volontà dei suoi cittadini continuando a lottare per liberare il comune dai pesticidi. Un impegno che ha registrato una prima importante vittoria: l’assoluzione totale da parte della Corte dei conti nell’aprile 2019.

Il regolamento di attuazione sull’uso dei prodotti fitosanitari nel comune di Malles, approvato nel marzo 2016, è un modello per le amministrazioni responsabili che intendono entrare in una fase di transizione per tutelare l’ambiente e la salute dei propri cittadini.

Attraverso il Regolamento, il Comune si impegna “ad adottare tutte le misure e le azioni utili secondo il principio di precauzione per evitare pericoli per la salute umana, animale e vegetale e per garantire il massimo livello di protezione dell’ambiente”.

Il Regolamento si prefigge di “tutelare la salute di cittadini residenti e di ospiti come “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività̀” (art. 32 Costituzione della Repubblica Italiana) e di garantire “un livello elevato di tutela dell’ambiente e il miglioramento della sua qualità̀ conformemente al principio dello sviluppo sostenibile” (art. 37 Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE) mediante la regolamentazione dell’utilizzo dei prodotti fitosanitari nel territorio comunale”.

Il Regolamento prevede, coerentemente la Direttiva 2009/128/CE e con il Piano di Azione Nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (PAN), di incrementare progressivamente le superfici agrarie biologiche. Il Comune provvederà, in tal senso, a una mappatura delle superfici agrarie e delle aziende agricole biologiche e in fase di conversione e introdurrà incentivi per la conversione. Anche i capitolati di gara, per la fornitura di alimenti e per il servizio di ristorazione e mensa del Comune e delle Società e delle Aziende partecipate, privilegeranno i prodotti biologici. Il Comune promuoverà, inoltre, iniziative, anche a valenza turistica, di formazione e di sensibilizzazione sui vantaggi per l’ambiente e per la salute umana dell’agricoltura biologica.

Il Comune vieta, su tutto il territorio comunale, l’utilizzo di prodotti fitosanitari Molto Tossici (T+) o Tossici (T) ai sensi del Regolamento (CE) del Parlamento Europeo e del Consiglio. Il Regolamento introduce, infine, distanze di sicurezza dalle aree utilizzate dalla popolazione, dalle aree protette, dagli edifici, dalle infrastrutture ad uso pubblico, dalle aree coltivate e dal punto di captazione di acque sotterranee e superficiali.

Dall’Himalaya alle Alpi: un’alleanza contro i pesticidi

Il 1 ottobre 2017, a Nuova Delhi, in occasione del Festival della Terra a Nuova Delhi, le comunità dell’Himalaya che coltivano la terra senza ricorrere a sostanze chimiche si sono unite alle comunità delle Alpi che si sono dichiarate libere da pesticidi per lanciare una rete globale di zone libere da veleni.  Presenti anche il Primo Ministro del Sikkim che, nell’arco di 25 anni, è riuscito a rendere il Sikkim il primo Stato al 100% biologico del mondo, e il sindaco Ulrich Veith di Malles.

Vandana Shiva, durante la sua visita a Malles nell’aprile 2019, e il sindaco Ulrich Veith hanno rinnovato il loro comune impegno per un’immediata transizione verso modelli di produzione agro-ecologica che rispettino la biodiversità e contrastino i cambiamenti climatici.

 

 Intervista a Ulrich Veith, sindaco di Malles, la cittadina della Val Venosta che vuole liberarsi dai pesticidi

Il sindaco di Malles, Ulrich Veith, l’aveva detto nella recente conferenza stampa in Parlamento organizzata da Navdanya International: «Non ci fermeranno, continueremo la nostra battaglia per la salute e per la democrazia». Così aveva detto il sindaco.
E così è stato. La prima municipalità italiana ad aver indetto un referendum contro i pesticidi non si è arresa allo stop del Tar e nemmeno di fronte alla richiesta di risarcimento danni da parte della Corte dei Conti. Ma è andata avanti nella sua battaglia di civiltà riportando una vittoria storica. LEGGI TUTTO

Lo stato indiano del Sikkim è il primo certificato 100% biologico ed ora è pronto a esportare il suo modello in tutto il mondo.

Un viaggio che inizia in un piccolo stato dell’Himalaya, il Sikkim, e che si conclude a Roma presso la Fao, passando per il Parlamento italiano. Un viaggio che promette di proseguire e durare ancora a lungo perché il messaggio è di quelli forti e capace di contraddire il mantra della grande industria agroalimentare, che negli anni si è arricchita a scapito dell’ambiente, delle piccole e medie produzioni locali e della salute dei cittadini: convertire la produzione convenzionale al biologico non solo è possibile, ma è necessario ed è persino più redditizio per le economie locali. LEGGI TUTTO



Il bio sotto assedio

Di Manlio Masucci – Terra Nuova (Brano tratto dal mensile Terra Nuova Giugno 2019), 23 agosto 2019 | Fonte

I contadini che hanno scelto il biologico sono in trincea: l’invasione sempre più massiccia di pesticidi ed erbicidi rappresenta un rischio di contaminazione ambientale che va fermato. La protesta cresce e scatta la ribellione nei confronti della “peste chimica”.

I contadini biologici sono in trincea, ma la protesta cresce, si estende e coinvolge anche le comunità e la società civile mentre la politica sembra non essersi accorta che la transizione è già iniziata.

Oltre 150 mila euro per mettersi al riparo dai pesticidi. Un bunker di metallo e plastica pesante dell’estensione di centinaia di metri quadrati che protegge raccolti, lavoratori e gli stessi membri della famiglia Gluderer che, da quattro generazioni, vivono e lavorano a Coldrano, nella Val Venosta. Ai margini della proprietà le siepi sono state sostituite da tendoni di plastica di oltre due metri d’altezza. La fattoria biologica dà l’idea, a prima vista, di un campo militare circondato da nemici, centinaia di ettari di monocoltivi di mele convenzionali pronti a lanciare il loro attacco chimico su basi quasi quotidiane.

La famiglia Gluderer ha così dovuto scavare la sua surreale trincea per preservare la salute dei suoi membri e l’attività di produttori biologici minacciata costantemente di contaminazione dalla deriva tossica: “Non abbiamo potuto fare altrimenti – ci spiega Annamaria, 59 anni, guardando preoccupata il bunker e le barriere che ricoprono da cinque anni l’intera proprietà – era l’unico modo per mantenere l’azienda biologica e conservare il posto di lavoro per la nostra famiglia”.

E’ questa la risposta a cui sono costretti gli agricoltori biologici in balia delle pericolose derive di fitofarmaci e lasciati soli dalle autorità nonostante i ripetuti e palesi abusi: “Abbiamo iniziato la produzione di mele biologiche nel 1990 e quelle delle erbe bio nel 2005 – ci racconta Annamaria – su un’estensione totale di 3.647 metri quadrati; abbiamo cominciato a subire gravi danni dalla deriva di pesticidi a partire dal 2010 e da allora abbiamo fatto tre denunce penali all’Asl; abbiamo vinto le cause ma le spese e il ripetersi degli abusi ci hanno obbligato a investire tutti questi soldi per isolare il nostro terreno dai monocoltivi intensivi circostanti”.

Bunker per proteggersi dai bombardamenti chimici

Coltivare biologico diviene allora sempre più difficile in questa area del paese. Una produzione sotto attacco, uno stato d’assedio a cui la risposta più naturale appare quella della costruzione di un bunker per proteggersi dai bombardamenti chimici. Una soluzione drastica, parziale e che non rende giustizia alla bellezza del paesaggio del Trentino. Eppure, vedendo i bambini della famiglia giocare all’interno dello spazio recintato, si ha l’impressione che la soluzione adottata dalla famiglia Gluderer sia drammaticamente corretta. Rimane l’amarezza dell’asserragliamento di fronte all’ingiustizia, della condanna a dover vedere crescere i propri bambini con uno sfondo di tendoni di plastica piuttosto che di campagne e montagne incontaminate. Un’arroccamento boccaccesco di fronte l’avanzare della peste chimica che prevede solo un’altra soluzione: la fuga.

Alla ricerca del paradiso perduto

E’ la seconda opzione. Spostare la produzione sempre più in alto, sulle montagne impervie ma ancora amiche, il più lontano possibile dai miasmi tossici. La famiglia Gluderer ha quindi cominciato ad esplorare anche la possibilità di lavorare laddove i pesticidi ancora non sono arrivati, per il momento: “Abbiamo acquistato un terreno a Tubre, vicino a Malles, a un’altezza di 1.300 metri perché lì ancora non ci sono problemi di deriva; abbiamo così deciso di spostare lì tutte le arnie per la lavorazione del miele”. La difesa ad oltranza e il ripiegamento di fronte la forza devastante del nemico. Sembra di assistere al dispiegamento di una strategia militare per poter difendere la salute, il lavoro, la vita stessa.

Annamaria mostra una foto. E’ la sua campagna. Prima che tutto questo iniziasse. Prima della guerra chimica, prima del bunker: “Il mio sogno – ci dice mostrandoci la foto – è che ci restituiscano ciò che avevamo, la campagna dove io sono cresciuta ma dove i miei nipoti non potranno più crescere liberamente”.

Ma mentre i nipotini di Annamaria continuano a giocare fra le enormi arcate di plastica pesante, ci chiediamo se quel sogno possa mai divenire realtà. Lo chiediamo a Manuel, 35 anni, figlio di Annamaria e responsabile della produzione agricola dell’azienda, mentre assaporiamo una profumata tisana di erbe biologiche dell’azienda. La sua opinione sullo sviluppo locale appare lucida e al tempo stesso inquietante: “E’ un modello di sviluppo che lavora per favorire un determinato tipo di industria – ci dice Manuel di fronte la sua tazza fumante – a sua volta supportato dalla propaganda; perché la verità è che non abbiamo bisogno di pesticidi o fertilizzanti chimici per coltivare, come dimostra la nostra produzione e quella di altri agricoltori biologici; le rese sono ottime e la sostenibilità economica è assicurata anche senza utilizzare rame o zolfo; ma l’industria spinge per la cosiddetta innovazione, ovvero vendere nuovi prodotti, nuove tecnologie anche se in questo modo continuano a minacciare la nostra salute e a distruggere la biodiversità; nei nostri campi gli insetti e gli impollinatori sono quasi del tutto scomparsi”.

La protesta dilaga: dagli operatori del settore, ai cittadini e ai residenti delle campagne

Distanze di sicurezza non rispettate, trattamenti effettuati senza preavviso in tutte le ore del giorno e indipendentemente dalle condizioni climatiche, anche nelle giornate particolarmente ventose che facilitano la dispersione dei chimici a grandi distanze. Le storie si ripetono identiche lungo tutta la regione del Trentino Alto Adige che, da dieci anni a questa parte, sembra essersi tramutata in un immenso monocoltivo. La mancanza di controlli rende molti agricoltori impermeabili alle proteste dei cittadini e delle aziende biologiche che vedono i loro raccolti minacciati dalla contaminazione: “Le distanze di sicurezza fra i campi trattati e gli altri campi – ci spiega Andrea, gestore di un agriturismo biologico locale – sono raramente rispettate e spesso non esistono siepi di protezione; a questo si aggiunge l’arroganza di molti operatori che sanno benissimo che dal momento in cui iniziano il trattamento irregolare al momento in cui interverranno i vigili passerà il tempo sufficiente a completare l’operazione; una volta sul luogo, i vigili, in mancanza di fragranza di illecito, decidono di non intervenire nonostante l’aria sia pestilenziale, ancora intrisa dai pesticidi da poco irrorati”. E gli operatori del settore cominciano a coalizzarsi con i cittadini. E’ proprio il caso dell’agriturismo di Andrea, parte della rete dell’Ortazzo, organizzazione che ha cominciato ad interrogare le istituzioni non solosulla sostenibilità ecologica ma anche su quella economica di lungo periodo. E la nascente coalizione fra agricoltori bio e cittadini appare del tutto logica,visto che, entrando nella città di Trento, si può constatare come le monocolture abbiano oramai sfondato le linee difensive urbane posizionandosi in aiuole, spartitraffico e rotonde.

Gli effetti di questo sistema produttivo non sono, d’altra parte, solo percepiti ma ampiamente documentati, come è il caso proprio del Trentino. Gli ultimi dati dell’Ispra (Istituto superiore per la Protezione e la ricerca ambientale) parlano chiaro: nel Rapporto nazionale pesticidi nelle acque 2018, la presenza di fitofarmaci è stata riscontrata in oltre il 90% dei punti delle acque superficiali in provincia di Bolzano e oltre il 70% in provincia di Trento. Un trend confermato dai dati Istat, contenuti nell’Annuario dei dati ambientali 2018 dell’Ispra, che certificano come, nel 2016, siano stati irrorati in Trentino Alto Adige una media di 62,2 kg di principi attivi per ettaro, quasi dieci volte la media nazionale di 6,63 kg/ettaro. Difficile non mettere in relazione questi dati con la monocoltura intensiva delle mele che, nell’anno di riferimento, raggiungeva una produzione di 1.500.000 tonnellate, pari al 70% della produzione italiana e al 15% di quella europea.

Ma il Trentino rappresenta solo la punta dell’iceberg. Tutto il paese è coinvolto dal fenomeno. Vivere e lavorare in campagna non può essere più considerato l’idillio di una volta. E i cittadini si stanno mobilitando per chiedere il rispetto delle distanze di sicurezza e dell’obbligo di preavviso. E’ il caso della petizione da 25 mila firme presentata recentemente al Parlamento dal gruppo Facebook No Pesticidi, ma è anche il caso del Forum Marcia Stop Pesticidi che, di fronte all’evidenza del non rispetto delle regole, chiede il bando totale dell’uso di fitormaci in agricoltura e il fermo immediato all’espansione delle monocolture intensive. Richieste che provengono da una fetta sempre più ampia di popolazione che, in base ai principi di sussidiarietà e di precauzione, reclama il diritto, sancito dall’articolo 32 della nostra Costituzione, a vivere in un ambiente salubre.

Le scelte della politica: altro che transizione, la priorità è preservare lo status quo!

La politica fa però orecchie da mercante, in tutti i sensi, considerando i grandi interessi economici in ballo e lo strapotere delle lobby agroindustriali. E’ il caso proprio della Provincia di Bolzano che con Delibera del 12 marzo 2019 ha autorizzato l’impiego di un consistente numero di pesticidi anche nelle aree di tutela delle acque potabili. E questo nonostante il recente allarme lanciato dall’Ispra sull’elevato livello di contaminazione da fitofarmaci riscontrato nelle acque superficiali e di profondità italiane. Fra i pesticidi tollerati troviamo non solo il Glifosate, definito probabilmente cancerogeno dallo Iarc, ma anche l’Acrinatrina, il Clorpirifos, il Captano, il Dithianon, il Fluazinam, il Mancozeb e molti altri.

Una delibera che non rappresenta una novità ma che, al contrario, sembra inserirsi in un trend nazionale. Non bisogna andare molto indietro nel tempo per ritrovare un precedente nel Decreto del presidente della Giunta regionale Toscana pubblicato il 30 luglio 2018, n. 43/R: “E’ uno scandalo – tuona l’oncologa Patrizia Gentilini dell’Isde, i medici per l’ambiente italiani – che si continui a concedere autorizzazioni di questo tipo; con la Delibera della Giunta Regionale Toscana si è autorizzato in tutta la Regione, nell’area di salvaguardia di captazioni di acque sotterranee destinate al consumo umano, l’utilizzo di ben 29 pesticidi di pessimo profilo ambientale, compreso Clorpirifos e il Glifosate e cinque addirittura nemmeno più autorizzati in Europa come l’Acrinatrina, l’Azinfos ethyl, l’Azinfos methyl, il Demeton S-metile e l’Omethoate; negli ultimi tre anni – conclude la Gentilini – sono state concesse 176 deroghe a sostanze vietate tanto che il consumo di pesticidi nel nostro paese, già fra i primi in Europa, è aumentato del 7,8%”.

E se le Regioni razzolano male, non da meno è il Parlamento che continua ad approvare decreti perlomeno discutibili scatenando la protesta delle organizzazioni della società civile. E’ il caso del recente Decreto emergenze che ha sollevato molte polemiche fra gli addetti ai lavori. L’obbligo di valutare gli effetti ambientali dei piani fitosanitari viene, con questo decreto, a decadere. E’ quanto sostengono gli oltre duemila firmatari della lettera aperta al Parlamento che invocano l’applicazione di un principio cardine della fase di transizione: il sistema della produzione agricola, così come la gestione delle fitopatie, è ormai inscindibile da considerazioni di tipo sociale, ambientale, climatico, alimentare, sanitario, paesaggistico ed economico.

Province, regioni e governo sembrano continuare a camminare su un percorso inverso da quello indicato dai cittadini, dalle organizzazioni della società civile e dagli agricoltori biologici che non sembrano però più intenzionati a restare a guardare, pronti ad allearsi per uscire dalle trincee in cui sono stati finora rilegati. La transizione è iniziata ma la politica ancora non sembra essersene accorta.


Foto Manlio Masucci