Di Vandana Shiva, Presidente di Navdanya International – L’Extraterrestre, settimanale ecologista de Il Manifesto, 11 luglio 2024 | Fonte
La biodiversità tesse la rete della vita, l’infrastruttura della vita. Non è un oggetto, non è una cosa, non è un numero. La biodiversità è vita in complessità auto-organizzata, azione collettiva, evoluzione continua.
La biodiversità è intrinsecamente legata alla diversità culturale e alle comunità locali che l’hanno protetta per millenni attraverso la conoscenza indigena. Tuttavia, sta emergendo una nuova minaccia: la finanziarizzazione della natura. Questo concetto, promosso dal settore finanziario sotto la falsa promessa di «conservazione» e «protezione» della biodiversità, rappresenta una nuova forma di bio-imperialismo che potrebbe portare alla completa mercificazione dei beni comuni rimanenti nel mondo.
Le comunità indigene e locali sono state le custodi della biodiversità per generazioni. Attraverso pratiche tradizionali e una profonda conoscenza ecologica, queste comunità hanno sviluppato sistemi agricoli sostenibili che lavorano in armonia con la natura anziché contro di essa. Queste pratiche rappresentano le basi di una scienza ecologica olistica che contrasta nettamente con la narrazione meccanicistica dominante nell’Occidente globalizzato, che vede la natura principalmente come una risorsa da sfruttare. Attualmente l’80% della biodiversità mondiale è conservata nel 22% delle terre in cui vivono le popolazioni indigene secondo le loro economie e culture basate sulla biodiversità.
Negli ultimi anni, il settore finanziario ha spinto per la finanziarizzazione della biodiversità attraverso meccanismi di mercato come i crediti di biodiversità e le Nature Asset Companies (NACs). Queste iniziative vengono presentate come soluzioni per la conservazione ma sono in realtà una nuova forma di bio- imperialismo. Questi schemi permettono al settore finanziario, storicamente responsabile del saccheggio delle risorse naturali, di determinare cosa nella natura ha valore e cosa no. Questo approccio rischia di trasformare gli ultimi beni comuni rimanenti in semplici merci da sfruttare nel mercato globale.
I crediti di biodiversità vengono presentati come strumenti per finanziare azioni positive per la biodiversità. Tuttavia, dietro questa facciata si nascondono gravi insidie. Come i crediti di carbonio, i crediti di biodiversità rischiano di diventare un espediente per le aziende per evitare regolamenti stringenti, continuando pratiche distruttive sotto una nuova veste. Inoltre, la monetizzazione delle funzioni ecologiche della natura può creare l’illusione pericolosa della sostituibilità tra diverse funzioni critiche degli ecosistemi, quando in realtà ogni funzione ha un ruolo unico e insostituibile nell’equilibrio naturale. Ma il denaro non può far crescere una foresta, non può far scorrere un ruscello. È la cura delle comunità locali che mantiene vivi gli ecosistemi.
Dobbiamo affrontare un errore ontologico profondo: equiparare i costrutti artificiali ai veri flussi della vita. La finanziarizzazione della natura comporta il rischio di una totale mercificazione degli ecosistemi. Questo processo minaccia non solo di escludere le comunità locali dalle loro terre e risorse, ma anche di alterare irreversibilmente le dinamiche ecologiche che sostengono la vita sulla Terra. Ridurre la natura a un bene finanziario rischia di perpetuare un ciclo di sfruttamento e distruzione, lontano dalla visione di una Terra vivente e interconnessa. Il bio- imperialismo sta creando false narrazioni e imponendole alla mente del mondo attraverso il potere. Proteggere la biodiversità non significa solo conservare specie e habitat, ma anche mantenere le reti ecologiche interconnesse e le relazioni che sostengono la vita sulla Terra. La scienza ecologica olistica promuove metodi di produzione alimentare che non distruggono la natura, ma piuttosto la valorizzano e la proteggono. Questi metodi rigenerativi sono essenziali per invertire la tendenza alla perdita di biodiversità causata dall’agricoltura industriale e dalla monocoltura.
L’Occidente globalizzato ha storicamente trattato la natura come una risorsa da sfruttare. Questo approccio meccanicistico ignora l’interdipendenza della vita sulla Terra e promuove modelli di sfruttamento che hanno portato alla crisi ecologica attuale. Ma la natura non lavora mai in monocolture e non estrae mai senza restituire.