Di Manlio Masucci – Comune-info, 17 aprile 2018 | Fonte
La via da percorrere è quella dell’agroecologia, capace di reintrodurre la diversità nelle fattorie, rafforzare i sistemi alimentari locali, rivalutare la conoscenza tradizionale, assicurare equità e accesso alla terra e alle risorse economiche e rispettare le molteplici culture alimentari nel mondo.
Promuovere l’agroecologia per operare un cambio di paradigma necessario a raggiungere gli obiettivi della sicurezza alimentare, dell’agricoltura sostenibile e dell’eradicazione della fame nel mondo. E’ questo l’impegno preso dal direttore generale della Fao, José Graziano da Silva, in occasione del secondo Simposio Internazionale di Agro-ecologia, tenutosi presso la Fao dal 3 al 5 aprile. Un impegno sottoscritto attraverso la presentazione dell’iniziativa Scaling Up Agroecology al cospetto di 350 organizzazioni della società civile, dei rappresentanti di 72 governi e di 6 organizzazioni delle Nazioni Unite che hanno partecipato alla tre giorni romana. Il Simposio ha rappresentato un’importante occasione per lanciare idee e proposte basate sui risultati di studi e progetti svolti in tutto il mondo in cui le pratiche dell’agroecologia hanno contribuito a migliorare la condizione economica di tantissime persone, a ridurre l’inquinamento di acqua e suolo e a promuovere l’equità e l’inclusione sociale. L’agroecologia entra dunque ufficialmente nell’agenda delle Nazioni Unite per contribuire a raggiungere gli obiettivi dello sviluppo sostenibile entro il 2030.
La svolta della Fao avviene a quattro anni di distanza dal primo Simposio di Agroecologia e a seguito dell’impegno delle organizzazioni della società civile che hanno ripetutamente denunciato i danni causati dal paradigma produttivista della Rivoluzione Verde, sostenuto dalle grandi aziende dell’agribusiness: “L’accento posto dalla Rivoluzione Verde sull’incremento dei raccolti ad ogni costo – si legge nel documento finale del Simposio – non è sostenibile e non è sufficiente a sradicare fame e povertà e a fronteggiare le sfide dell’esaurimento delle risorse naturali, del degrado ambientale, della perdita della biodiversità e dell’adattamento ai cambiamenti climatici”. Un modello “esaurito”, secondo le parole dello stesso direttore generale, sia perché non ha risolto il problema della fame nel mondo, sofferta ancora da 815 milioni di persone nel 2016, sia perché il mantra della produttività ad ogni costo ha presentato un conto insostenibile dal punto di vista ambientale a causa del massiccio uso di fertilizzanti chimici e pesticidi che hanno contribuito alla contaminazione dei suoli, all’inquinamento delle falde acquifere e alla perdita della biodiversità. Il mito secondo il quale l’utilizzo di agro-tossici sia necessario per sfamare la popolazione mondiale era già stato smentito dal commissario speciale della Nazioni Unite, Hilal Elver, che aveva rilevato come i problemi relativi alla fame siano maggiormente legati alla povertà, all’iniquità e alla distribuzione piuttosto che alla produzione. Al contrario, aveva avvertito la Elver, l’utilizzo indiscriminato di pesticidi è da mettere in relazione alla morte di circa 200 mila persone all’anno per avvelenamento.
E’ dunque arrivato il momento di innovare un modello produttivo che ha rappresentato il punto di riferimento dei governi negli ultimi cinquant’anni ma che oramai ha raggiunto i suoi limiti estremi in termini di sostenibilità. Un rinnovamento che dovrà partire dalla conta dei danni causati da un sistema estrattivista altamente inquinante nella consapevolezza che proprio l’agroecologia, come rilevato nel documento finale, si è dimostrata capace di “reintrodurre la diversità nelle fattorie, rafforzare i sistemi alimentari locali, rivalutare la conoscenza tradizionale, assicurare equità e accesso alla terra e alle risorse economiche e rispettare le molteplici culture alimentari nel mondo”. L’agroecologia ha dunque la potenzialità di arginare il degrado causato dagli insostenibili dettami della Rivoluzione Verde promuovendo, attraverso le pratiche tradizionali e le nuove conoscenze scientifiche, un cambiamento sostanziale nel modo in cui produciamo e consumiamo il nostro cibo. Ma l’agroecologia non può essere ridotta a un semplice inventario di pratiche e tecniche: “L’agroecologia – si legge nella dichiarazione delle organizzazioni dei piccoli produttori e della società civile – è una visione di vita in armonia con il linguaggio della natura, è un cambio di paradigma a livello sociale e politico, a livello delle relazioni produttive ed economiche nei nostri territori, per trasformare il modo in cui produciamo e consumiamo il cibo e ripristinare il tessuto socioculturale devastato dalla produzione industriale alimentare; l’agroecologia genera conoscenza locale, rafforza la giustizia sociale, promuove identità e cultura e rafforza i processi economici nelle aree rurali e urbane”.
Quella che la Fao definisce come “transizione agroecologica” potrà essere raggiunta, come si sottolinea nel documento finale, solo attraverso una partecipazione ampia dei soggetti coinvolti fra cui governi, organizzazioni della società civile, agenzie dell’Onu, piccole e medie imprese, università e gli stessi consumatori. Le “azioni chiave” identificate sono il rafforzamento del ruolo dei piccoli agricoltori e delle loro organizzazioni, la condivisione delle conoscenze per la promozione della collaborazione in ricerca ed innovazione, la promozione di nuovi mercati basati sulla produzione agroecologica, l’aggiornamento dei quadri istituzionali, politici, legali e finanziari per promuovere la transizione, per favorire processi di integrazione e di partecipazione sul territorio. L’agroecologia può inoltre apportare un forte contributo al raggiungimento di alcuni specifici obiettivi di sviluppo sostenibile come l’eliminazione della povertà e della fame, la garanzia di un’istruzione di qualità, il raggiungimento dell’uguaglianza di genere, l’aumento dell’efficienza nell’uso dell’acqua, la promozione di posti di lavoro dignitosi, la garanzia di consumo e produzione sostenibili, il rafforzamento della resilienza al clima, l’uso sostenibile delle risorse marine e la protezione della biodiversità.
La promozione dell’agroecologia chiama dunque in causa i suoi stessi protagonisti promuovendo partecipazione e organizzazione sociale direttamente dai territori. I produttori e i consumatori, sempre più interessati ad una alimentazione di qualità, sono chiamati a far sentire la loro voce ed ad agire attivamente per supportare la transizione agroecologica. Se questa mobilitazione sociale non dovesse essere promossa e valorizzata, o addirittura dovesse essere avversata, l’agroecologia correrebbe il rischio di divenire un ulteriore strumento nelle mani dell’agribusiness interessato ad espandere un modello di agricoltura industriale che non tiene in conto la sostenibilità ambientale, economica e sociale. Fra le iniziative presentate nell’ambito del Simposio, la più rilevante appare quella del World Future Council (WFC), Fao e Ifoam-Organics International che hanno lanciato il Future Policy Award 2018 per premiare le migliori politiche a favore dell’agroecologia.
Le organizzazioni dei piccoli produttori e della società civile, preso atto con soddisfazione del passo in avanti rappresentato dal Simposio, chiedono ora alla Fao e alle altre organizzazioni dell’Onu di aumentare i loro sforzi e ai governi di adottare misure appropriate per diversificare le politiche commerciali e di lanciare programmi pubblici per la formazione, per l’assistenza tecnica e finanziaria per il riconoscimento e la promozione dell’agroecologia. Un appello a cui molti governi hanno già risposto affermativamente. E non è solo il caso dei paesi in via di sviluppo, come dimostrato dall’intervento del ministro francese dell’agricoltura Stéphane Travert che ha annunciato che la Francia moltiplicherà per dieci il numero di aziende agricole agroecologiche con l’obiettivo di raggiungere il 10% del totale nel panorama produttivo francese.
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Di Ruchi Shroff, Navdanya International, 23 aprile 2018
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3 – 5 aprile 2018, Roma