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Di Ruchi Shroff – L’Extraterrestre, settimanale ecologista de Il Manifesto, 4 marzo 2021 | Fonte

A volte una soluzione sbagliata a un problema può condurre a un aggravamento dello stesso problema. Specialmente se coloro che propongono la soluzione sono gli stessi che il problema lo hanno causato. In altre parole, è opportuno affidarsi alle soluzioni tecnologiche e magari finanziarie proposte da multinazionali e filantrocapitalisti che hanno contribuito in maniera decisiva alle tante crisi che abbiamo affrontato negli ultimi anni? Riporre ciecamente la fiducia in questi stessi soggetti non comporterebbe il rischio di peggiorare la crisi e ritardare la transizione verso un sistema energetico e alimentare equo ed ecologicamente sostenibile? L’ideologia che qualsiasi problema possa e debba essere risolto unicamente attraverso la (bio) tecnologia e il libero mercato non dovrebbe essere oramai superata?
L’agricoltura ha un ruolo centrale nella soluzione al cambiamento climatico. E’ infatti uno dei principali emettitori di gas serra (dal 30 al 50% a causa di fertilizzanti, produzione e trasporto di prodotti chimici, input agricoli) ma possiede anche il potenziale di sequestrare le emissioni nocive. L’agricoltura può insomma passare dall’essere una delle principali cause del cambiamento climatico all’essere una soluzione.

È stato stimato che attraverso misure di mitigazione agroecologica, applicate a una diffusa conversione all’agricoltura biologica, si può mitigare dal 40% al 65% delle emissioni di gas serra agricoli. Nonostante questo, l’industria, con Bill Gates testimonial d’eccezione, sta investendo in cibo industriale sviluppato in laboratorio. Il cibo artificiale, il cosiddetto fake food, riduce gli alimenti reali a materia prima industriale e promuove le monocolture su larga scala per la fornitura di materia prima. Non c’è una reale comprensione degli impatti sociali ed ecologici di queste tecnologie. Ci vengono piuttosto imposte dall’alto come innovazione e come normale novità di mercato. Addirittura con un manto di aiuto umanitario. Sotto quel manto si intravede però lo stesso sistema dei profitti che cerca l’espansione dei mercati attraverso il controllo della catena di produzione e distribuzione del cibo.

Per affrontare la sfida dei cambiamenti climatici è dunque necessario reclamare il controllo della catena alimentare che le multinazionali e i loro testimonial miliardari ci stanno sottraendo. E imboccare con decisione la strada della transizione ecologica. Nelle pratiche agroecologiche, i servizi ecosistemici e le sinergie prendono il posto degli input esterni basati sui combustibili fossili. I sistemi agroecologici mostrano una maggiore resilienza agli stress climatici, massimizzano la biodiversità e stimolano le sinergie, come parte di un approccio olistico per costruire fertilità a lungo termine, agro-ecosistemi sani e mezzi di sussistenza sicuri. Aumentare la diversità genetica e culturale nei sistemi alimentari e mantenere questa biodiversità nei beni comuni è vitale per costruire la resilienza alle sfide del clima. Una rapida transizione globale verso sistemi agricoli multifunzionali e biodiversi e sistemi alimentari diversificati localizzati è un imperativo per mitigare il cambiamento climatico e assicurare la sovranità alimentare.