Di Vandana Shiva – L’Huffington Post, 27 febbraio 2018 | Fonte
Navdanya International, l’organizzazione di cui sono fondatrice e presidente, ha aderito alla piattaforma italiana Stop Ttip/Stop Ceta e alla campagna #NoCeta #NonTratto
che intende ottenere l’impegno dei candidati italiani alle prossime elezioni nazionali a bloccare la ratifica del trattato commerciale Ceta e a cambiare l’agenda commerciale europea.
Quanto sta avvenendo in Italia e in Europa rappresenta un ulteriore capitolo di un processo di globalizzazione imposto dall’alto, da grandi poteri economici che continuano a dettarci la loro agenda neoliberista.
Nonostante le promesse di crescita e progresso, i risultati di queste politiche sono sotto gli occhi di tutti, come confermato nell’ultimo rapporto Oxfam sull’iniquità globale, secondo cui l’82% della ricchezza creata nell’ultimo anno nel mondo è andata a vantaggio dell’1% della popolazione mondiale. Una volta per i poveri rimanevano le briciole ma con questo sistema sembra che non avanzino neanche più quelle: il 50% delle persone più povere del pianeta ha infatti ottenuto lo 0% delle ricchezze prodotte nel corso dell’anno di riferimento. I nuovi accordi di libero scambio non intendono interrompere questo ingente travaso di ricchezze a vantaggio dei più ricchi, ma promettono di aggravare ulteriormente il fenomeno.
Quando si parla di trattati commerciali di libero scambio, penso a quanto è accaduto alla fine degli anni ’80 con il Gatt, poi sostituito dall’istituzione di quella che oggi conosciamo come l’Organizzazione Mondiale del Commercio (Omc). Questo e altri trattati hanno avuto un impatto sull’India che si può definire come una seconda colonizzazione. La prima fu una colonizzazione imposta con la guerra, la seconda con il trattato con la Compagnia Britannica delle Indie Orientali che ha ridotto la presenza commerciale dell’India su scala mondiale.
Oggi, dopo più di 20 anni possiamo vedere gli impatti dell’Omc a livello globale: furono introdotti 3 elementi negli accordi che non hanno nulla a che fare con il libero commercio. Per prima cosa il Diritto di Proprietà Intellettuale, praticamente scritto da Monsanto per poterlo applicare ai semi, che fu anche il motivo che mi spinse ad iniziare a conservare i semi e a fondare Navdanya.
In India si è riusciti però a non consentire i brevetti sulle forme di vita, tramite l’articolo 3j della legge sui brevetti. Quando Monsanto introdusse il cotone BT in India non poté reclamare i diritti di brevetto, ma si è comunque fatta pagare illegalmente le royalties aumentando, nel corso degli anni, il prezzo dei semi in modo esponenziale e ottenendo il monopolio del 95% del mercato dei semi. Questo è il meccanismo che ha contribuito a scatenare la crisi dei suicidi tra gli agricoltori in India. Più di 300.000 agricoltori si sono suicidati in India dall’inizio della globalizzazione. Mentre i nostri agricoltori continuano a morire il nostro governo non può fare nulla a causa delle regole dettate dai trattati di libero scambio.
In secondo luogo questi trattati contengono regole che danno il diritto d’invadere un paese con cibi contaminati e di pessima qualità. Questa regola l’abbiamo grazie a Cargill. Se c’è un cartello capitanato da Monsanto per i semi, ce n’è uno capitanato da Cargill per il commercio dei prodotti alimentari. Di recente gli agricoltori indiani hanno iniziato una protesta perché il governo non acquista i loro prodotti. Anche questo grazie ad una regola di due anni fa dell’Omc per la quale il governo non può acquistare dagli agricoltori. La Cargill scrisse l’accordo sull’agricoltura dell’Omc. Il risultato è stato che l’India – il più grande produttore di leguminose e semi oleosi – è diventata il più grande importatore di entrambi.
Gli oli alimentari che vengono importati sono gli oli di soya ogm e l’olio di palma, entrambi trattati con l’esano per estrarre i solventi. Entrambi i tipi di olio comportano deforestazioni massive in Argentina, Indonesia e Brasile. Stiamo importando legumi dal Canada e dal Mozambico, mentre ai nostri agricoltori e artigiani non viene permesso di vendere ciò che hanno coltivato e prodotto.
In definitiva se si osserva l’impianto delle regole del Gatt e dell’Omc, si tratta di regole scritte dalle multinazionali per avere il diritto di portare avanti comportamenti e azioni che di fatto creano una grave crisi sanitaria, impedendo alla popolazione di accedere alla produzione locale di cibo sano e nutriente per mezzo della distruzione delle filiere agricole e artigianali locali.
Il terzo punto che non ha nulla a che fare con il commercio è l’accordo sull’applicazione di misure sanitarie e fitosanitarie, che dovrebbe avere a che fare con la sicurezza alimentare. L’industria del cibo spazzatura, incluse Coca Cola e Pepsi, ha redatto l’accordo sull’applicazione di misure sanitarie e fitosanitarie (Sps) dell’Omc. Grazie a questo accordo per esempio l’Europa fu portata in giudizio dagli Stati Uniti in una controversia sugli ormoni nella carne di manzo e nel 2003 sempre l’Europa si trovò nuovamente contro gli Stati Uniti che ha cercato di imporre gli ogm con questo strumento.
Iniziammo allora una campagna, per la quale raccogliemmo 48 milioni di firme, per dire all’Omc che i cittadini non vogliono gli ogm. I trattati di libero scambio di nuova generazione hanno un ulteriore strumento pericoloso, chiamato ISDS o ICS, per il quale le aziende hanno il diritto di denunciare gli stati nazionali presso tribunali privati qualora ci siano leggi o regole che ostacolino i loro profitti. Normalmente si tratta di leggi a protezione dell’ambiente o della salute e del lavoro delle persone. È abbastanza chiaro dunque che questi trattati sono fatti in modo che le multinazionali possano agire liberamente limitando il diritto della popolazione a decidere liberamente.
La parola “libertà” è diventata così un termine altamente dibattuto. Mentre noi, come popolo, usiamo la parola libertà per riferirci alla libertà del popolo a vivere, a guadagnarsi i propri mezzi di sostentamento, ad avere accesso a risorse vitali come cibo, acqua, semi, terra, salute, educazione, conoscenza, lavoro, creatività, comunicazione, etc., le grandi aziende definiscono la libertà come “libero scambio”, ovvero, la globalizzazione corporativa. Le multinazionali e i loro oscuri proprietari abusano di tale libertà per distruggere la struttura ecologica della terra, la struttura delle economie dei popoli e delle società.
Le regole del “libero scambio” vengono dettate dalle multinazionali per ampliare la propria libertà di manovra, per mercificare e privatizzare fino all’ultimo millimetro di terra, l’ultima goccia d’acqua, l’ultimo seme, l’ultima porzione di cibo, l’ultima frazione d’informazione, l’ultima briciola di dati, conoscenza e immaginazione. In questo processo, devono distruggere la libertà della terra e della sua “famiglia”, la libertà dei popoli, le loro culture e democrazie, impossessandosi completamente dei beni, mercificando e privatizzando ogni singolo aspetto della vita. “Libero scambio” è un termine ambiguo. In sintesi, significa porre fine al vero libero scambio tra produttori indipendenti che si scambiano e vendono beni a prezzi giusti e onesti.
I cosiddetti accordi di “libero scambio” sconfinano nelle nostre vite quotidiane, privandoci della libertà di tutti i giorni. Stanno provando a sottrarre ai contadini la libertà di mettere da parte i propri semi ed esercitare la propria sovranità sui semi. Tentano di sottrarci la libertà del cibo rifilandoci cibo velenoso, cibo spazzatura, ogm e di distruggere la nostra agricoltura ecologica e i sistemi alimentari locali, i quali vengono estromessi dai mercati che hanno sempre servito. Dirottano e minano addirittura le nostre democrazie. Questo è il motivo per cui lavoro per la libertà dei semi, del cibo e della democrazia della terra. Mentre la retorica della globalizzazione, del neo-liberismo e del “libero scambio” è “meno governo”, la realtà è che, nella prospettiva del popolo, la globalizzazione corporativa – basata sulla privatizzazione dei beni comuni – richiede la creazione di uno stato di sorveglianza da parte delle multinazionali, di uno stato militarizzato invasivo che può proteggere con la violenza gli interessi del 1%, a spese della gente comune.
La concentrazione del potere economico e la distruzione delle economie locali, generano disoccupazione, dislocazione e incertezza economica. Proprio l’incertezza viene sfruttata dai potenti per dividere tra loro le società lungo linee di frattura razziali e religiose. La frammentazione e la disintegrazione delle società è strettamente connessa al modello economico estrattivo, e dell’accumulazione di ricchezza ad opera dei pochi.
Il lavoro che dobbiamo fare come movimenti della società civile è reclamare il nostro diritto alla sovranità alimentare ed economica, promuovendo e creando reti e sistemi agricoli, alimentari e artigianali locali ed ecologici. A livello istituzionale e politico è necessario fissare regole etiche ed ecologiche che mettano il bene comune davanti alla logica di monopolio imposta dalle multinazionali e dai trattati di libero scambio e favorire la cooperazione tra le persone, che partecipino in modo democratico alla forma che vogliono dare al futuro delle nostre economie e ai nostri sistemi di produzione e consumo. Prendiamo l’impegno di mantenerci sani e liberi da veleni e d’intessere relazioni con agricoltori che coltivano cibo vero, nutriente e sano per costruire un sistema alimentare diverso: dal livello personale, al livello locale, regionale, nazionale, globale.
Resistere agli attacchi del “libero commercio” e delle multinazionali dell’agrochimica, e allo stesso tempo praticare e promuovere un modello agricolo alimentare e sociale diverso sono i mezzi più potenti che abbiamo per riconquistare il nostro pane quotidiano e il nostro futuro. La grande forza della diffusione di un modello agricolo, sociale, economico basato sul benessere dell’ambiente e delle comunità è nella riconquista di quella autonomia che rende le grandi multinazionali irrilevanti e inutili. I mezzi per riconquistare la nostra agricoltura, i nostri territori, il nostro cibo, il nostro ambiente naturale sono nelle nostre mani. La nostra speranza, il nostro futuro è basato sulla ricostruzione di questo legame virtuoso tra i campi, le tavole e le comunità.
Leggi anche:
Navdanya International, 1 febbraio 2018
Vandana Shiva a Firenze: un’agricoltura libera dai veleni delle multinazionali
Navdanya International, 22 gennaio 2018
#StopCETA. Intervista appello all’attivista indiana Vandana Shiva
A cura di Martina Toti, Radio Articolo 1 – Ellemondo, 24 luglio 2017
No al CETA, salviamo i nostri agricoltori e manteniamo acqua come bene pubblico
Navdanya International, 11 luglio 2017
Navdanya International, 27 giugno 2017
Di Ruchi Shroff, Navdanya Inernational, 31 maggio 2017
Ceta: UE dice si, ora la pressione si sposta sui parlamenti locali
Navdanya International, 15 febbraio 2017
Navdanya at #StopTTIP #StopCETA day
Navdanya International, 5 November 2016