Home > Notizie > I complici europei del glifosato

Di Ruchi Shroff – Comune Info, 27 luglio 2017 | Fonte

I responsabili della politica non devono stare al gioco delle grandi aziende agrochimiche, bensì applicare il principio della precauzione e impegnarsi a garantire che le evidenze scientifiche esistenti vengano valutate in maniera corretta. Ne va della salute dei 500 milioni di cittadini dell’Unione europea.

L’intero impianto internazionale della regolamentazione dei pesticidi è palesemente inadeguato di fronte ai dati che vengono costantemente riportati da studi scientifici ed epidemiologici indipendenti e ci rammenta quanto sia necessario osservare, individuare e denunciare i conflitti di interesse e le interferenze dovute ad attività di lobbying da parte delle aziende produttrici nei confronti di enti ed istituzioni.

In un nuovo rapporto pubblicato da Global 2000: “Glifosato: violazione sistematica delle regole da parte delle autorità“, il tossicologo tedesco Peter Clausing espone le 5 ragioni principali per le quali le autorità dell’Unione europea avrebbero trascurato e/o ignorato prove evidenti dell’effetto cancerogeno del glifosato sugli animali e come sistematicamente avrebbero violato le direttive e le raccomandazioni delle stesse OCSE (Organizzazione di cooperazione e sviluppo economico) ed ECHA (Agenzia Europea per le Sostanze Chimiche), che in realtà dovrebbero guidare il loro lavoro. Nel suo nuovo rapporto, Clausing conferma dunque l’accusa di frode scientifica e distorsione dei dati nei confronti dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) e dell’Istituto tedesco per la Sicurezza e Salute Occupazionale (BfR), che già aveva lanciato lo scorso anno in occasione della sua testimonianza presso il Tribunale Monsanto e nel rapporto “Agenzie regolatrici (BfR, EFSA) usano argomenti parziali per negare la carcinogenicità del Glifosato”.

Nel recente Rapporto “Il Veleno è servito: glifosato e altri veleni, dai campi alla tavola” si analizza la testimonianza di Peter Clausing che ha dichiarato come i risultati ottenuti dall’EFSA siano in contraddizione rispetto alle evidenze riportate nel report presentato all’ECHA da parte del BfR. Clausing ha spiegato che i topi maschi di tutti e cinque gli studi sulla cancerogenicità presi in considerazione da EFSA e BfR, e da loro considerati di qualità accettabile, mostrano un aumento statisticamente significativo dell’incidenza di molti tipi di tumori; ben tre di questi cinque studi mostrano un incremento significativo di un particolare tipo di cancro, il linfoma maligno. I ricercatori sottolineano inoltre come i risultati sperimentali siano riproducibili. Clausing ha inoltre sottolineato come – nella stessa legislazione europea – già solo questi risultati sperimentali superino i limiti per la classificazione del glifosato in classe 1B  (sostanze con presunto potenziale cancerogeno per gli esseri umani basate su risultati ottenuti da sperimentazione animale). Questa e altre contraddizioni contenute nella valutazione dell’autorità tedesca sono particolarmente significative se si considera che la regolamentazione europea sui pesticidi dovrebbe vietare l’autorizzazione di una sostanza attiva non appena emergano risultati di laboratorio che ne indichino la potenziale cancerogenità.

Clausing non è però il solo a criticare l’impianto normativo. Durante la Conferenza: Il Veleno alle Porte: a rischio salute e occupazione,  la Dott.sa Patrizia Gentilini, medico oncologo ed ematologo dell’Isde Italia, ci ha infatti fatto notare come “nelle valutazioni tossicologiche delle agenzie incaricate siamo ancora al punto in cui si testa solo il principio attivo, non la formulazione commerciale, non il cocktail, l’insieme delle molecole e come se non bastasse ci si basa sostanzialmente sui dati forniti dalle stesse aziende produttrici”. Di fronte all’aumento costante di malattie correlate all’inquinamento da agro tossici, alla contaminazione del suolo, dell’aria, dell’acqua e alla progressiva estinzione delle api, le procedure attuali consentono troppe deroghe e tendono sempre di più ad escludere il principio di precauzione, come evidenziato nel recente rapporto redatto dal relatore speciale delle Nazioni Unite per il diritto al cibo, Hilal Elver, in cui si evidenziano diverse carenze nel quadro normativo internazionale in materia di regolamentazione dei pesticidi, in special modo l’inadeguatezza dei parametri in vigore rispetto alla concreta entità delle sostanze tossiche pericolose attualmente commercializzate e diffuse nell’ambiente.

Il rapporto inoltre sollecita la necessità che le autorità competenti osservino più attentamente le ingerenze e le pressioni dell’industria agrochimica sia in campo scientifico che istituzionale e che mettano in atto strumenti adeguati per garantire maggiore trasparenza nelle procedure di valutazione del rischio per la salute e per l’ambiente. Ne fornisce un esempio l’inchiesta di Corporate Europe Observatory, nel 2013 sui i conflitti di interesse all’interno delle agenzie europee, in cui è emerso che quasi il 60 per cento degli esperti di EFSA aveva legami e interessi finanziari diretti o indiretti con le stesse aziende per le quali effettuava le valutazioni di rischio. I responsabili della politica non devono stare al gioco delle grandi aziende agrochimiche, bensì applicare il principio della precauzione e impegnarsi a garantire che le evidenze scientifiche esistenti vengano valutate in maniera corretta. Ne va della salute dei 500 milioni di cittadini dell’Unione europea.