Di Elisabetta Ambrosi – Il Fatto Quotidiano, 11 aprile 2023 | Fonte
Con la sua associazione “Navdanya”, l’attivista indiana ha contribuito alla creazione di 150 banche di semi che stanno liberando gli agricoltori dalla dipendenza dalle costose sementi commerciali e dagli ogm: “La verità vince nel lungo periodo”.
“From oil to soil, dal petrolio al suolo”: è uno slogan tanto semplice quanto illuminante di Vandana Shiva. Nel suo ultimo libro autobiografico La vita è maestra. La mia storia di rivoluzione (a cura di Manlio Masucci e Cinzia Chitra Piloni, Piemme), l’attivista ambientale e fisica indiana racconta i suoi quarant’anni di lotta a favore della biodiversità agricola e, insieme, contro “ogni monocoltura della mente”. Anche attraverso la sua associazione Navdanya, che “ha contribuito alla creazione di circa 150 banche di semi locali decentralizzate che stanno liberando gli agricoltori dalla dipendenza dalle costose sementi commerciali e li aiutano a passare dalla vulnerabilità alla resilienza nel contesto del cambiamento climatico”.
Alla base della sua visione dell’agricoltura c’è la visione quantica del mondo, in cui non c’è separazione tra le cose. Tutto comincia dalla sua riflessione come fisica?
Per gran parte della storia, la maggior parte delle culture vedeva il mondo come interconnesso. Circa 300 anni fa, si è registrato un cambio di paradigma. Una nuova visione meccanicistica e riduzionista, che postula che il mondo funzioni e possa funzionare esattamente come una macchina. Ma è attraverso la teoria quantistica che è possibile capire i limiti della visione del mondo meccanicistica, poiché postula che tutto è in evoluzione, tutto è dinamico e interconnesso. Il seme, la pianta, il terreno, la nostra salute e la società sono un tutt’uno. Il mondo non si costruisce sulle entità in loro stesse ma sulle interconnessioni e sulle relazioni.
Lei sostiene che la distruzione della diversità naturale derivi da una monocoltura che è anzitutto culturale. Può spiegare meglio?
La “monocultura della mente” tratta la diversità come una malattia e crea strutture coercitive per rimodellare questo nostro mondo biologicamente e culturalmente diverso sui concetti di classe, di razza e di genere. Quando la “monocultura della mente” ha preso il sopravvento, la biodiversità è scomparsa dalle nostre fattorie e dal nostro cibo. Dobbiamo anche essere consapevoli che le monocolture si diffondono non perché producono di più, ma perché permettono un maggior controllo. L’espansione delle monocolture ha sempre avuto più a che fare con la politica che con l’arricchimento e il potenziamento dei sistemi di produzione.
Buona parte della sua vita è stata dedicata alla difesa della sovranità dei semi, contro gli ogm e la volontà delle multinazionali di imporre le loro monocolture intensive. È una battaglia che possiamo realisticamente vincere?
Nel breve periodo, questi furfanti sembrano molto potenti. Ma lavorano con un potere vuoto, perché il potere distruttivo non è vero potere. La verità vince nel lungo periodo. E noi lavoriamo nel lungo periodo, in linea con la biodiversità, con la vita sulla Terra e con i diritti di tutti gli esseri umani. La solidarietà creativa non violenta, la cooperazione, la mutualità: questa è la nostra forza. La maggior parte dei semi non è OGM. Le banche dei semi sono in crescita. Per evitare il collasso del nostro sistema alimentare a tutti i livelli, la transizione verso l’agroecologia è diventata un imperativo di sopravvivenza, per rigenerare il pianeta e i mezzi di sostentamento degli agricoltori e creare sistemi alimentari resilienti basati sulla ricchezza reale, non sulla finanza speculativa.
Può spiegare cosa fa la sua associazione Navdanya?
Negli ultimi 30 anni, Navdanya ha cercato di proteggere la biodiversità attraverso il supporto a una rete di custodi di sementi e produttori biologici distribuiti in 22 stati dell’India e del Bhutan. Oltre alle 150 banche dei semi locali, Navdanya ha raccolto, salvato e conservato più di 4.000 varietà di riso. Abbiamo promosso colture alimentari dimenticate come miglio, molti tipi di cereali e legumi, che erano state eliminate dalla rivoluzione verde. E continuiamo a raccogliere e conservare semi resistenti ai cambiamenti climatici. Nel 2016-2017 un totale di oltre 15.000 agricoltori ha ricevuto semi da diverse banche dei semi di Navdanya.
Fate anche formazione.
Sì. Oltre a conservare e distribuire semi indigeni, Navdanya ha lavorato con i piccoli agricoltori e le comunità per favorire la transizione verso un sistema alimentare agroecologico. La formazione degli agricoltori si svolge sia presso il centro di apprendimento di Navdanya e si basa sull’esperienza, la ricerca e lo scambio di conoscenze sviluppate nel corso degli anni e in continua evoluzione. Il programma fornisce competenze pratiche sulla conservazione delle sementi, sul miglioramento della fertilità del suolo, sulla gestione naturale dei parassiti e delle erbe infestanti. Ci impegniamo inoltre a sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza delle sementi e della sovranità alimentare, nonché a smascherare le strategie messe in atto dalle grandi aziende agricole in accordo con i governi, che costringono gli agricoltori a dipendere dalle sementi commerciali, dai prodotti chimici e dagli strozzini.
In Italia c’è stata molta discussione sulla carne sintetica. Cosa ne pensa?
Si tratta dello stesso approccio che si basa sulla vecchia e fallimentare retorica secondo cui l’agricoltura industriale è essenziale per nutrire il mondo. Il cibo vero e ricco di nutrienti sta gradualmente scomparendo, mentre il modello agricolo industriale dominante sta causando un aumento delle malattie croniche e aggravando il cambiamento climatico. L’idea che il cibo di laboratorio high-tech e “senza fattorie” sia una soluzione praticabile alla crisi alimentare non è altro che la continuazione della stessa mentalità meccanicistica che ci ha portato al punto in cui siamo oggi: l’idea che siamo separati dalla natura e al di fuori di essa. La carne sintetica sottrae potere politico agli agricoltori rigenerativi e alle comunità locali.
La sua è una critica ai sistemi industriali in generale.
I sistemi alimentari industriali hanno ridotto il cibo a una merce, a una “roba” che può essere creata in laboratorio. In questo processo, la salute del pianeta e la nostra salute sono state quasi distrutte. Queste modalità negano le relazioni simbiotiche essenziali tra esseri umani, piante, animali e microrganismi e, a loro volta, negano il potenziale di mantenimento e rigenerazione della rete della vita.
Un’ultima domanda sul drammatico tema del cambiamento climatico. Secondo lei abbiamo ancora tempo per invertire la rotta?
Il cambiamento climatico è l’interruzione dei processi di autoregolazione della Terra attraverso l’uso di energia fossile spazzatura – carbone, petrolio, gas – che la Terra ha fossilizzato in 600 milioni di anni e messo sottoterra. L’emergenza climatica e le emergenze correlate sono radicate nella colonizzazione della Terra, delle sue risorse ecosistemiche e delle sue diverse culture. Si tratta di uno spostamento della visione del mondo da Terra Madre, la Terra vivente, a Terra Nullius, la Terra morta e vuota. La visione del mondo che crea gerarchie tra le persone e divide l’umanità sulla base della razza, del genere, della religione, della classe, crea anche la falsa gerarchia dell’antropocentrismo che tratta i nostri parenti terrestri come inferiori, semplici oggetti da possedere e manipolare. Il falso assunto che la Terra sia materia morta e inerte intende far scomparire la vibrante e biodiversa Terra vivente, riducendola a una miniera di “materie prime” per un sistema industriale inefficiente e dispendioso, e a un pozzo di inquinamento industriale. Le vere soluzioni climatiche consistono nel lavorare in modo non violento con la Terra, con la sua biodiversità di piante e organismi del suolo, con le sue tecnologie ecologiche, con le sue economie viventi.