Home > Notizie > i nostri articoli > Ecocidio: verso il riconoscimento del crimine contro la natura

Di Manlio Masucci, Navdanya International – Terra Nuova di giugno 2021

Una campagna internazionale per far riconoscere il reato di devastazione ambientale. Deforestazioni, contaminazione di aria, suoli e falde acquifere, inquinamento dei mari e pesca selvaggia possono essere fermati dalla Corte penale internazionale. Un appello che riguarda anche l’Italia.

Una fondazione da 19 mila membri con sede nel Regno Unito e nei Paesi Bassi. Una squadra di avvocati, un team di comunicazione in quindici paesi e in sei continenti, siti web in nove lingue. La campagna internazionale Stop Ecocide punta in alto, direttamente alla Corte penale internazionale (Cpi). E’ in questo contesto che i ripetuti episodi di devastazione ambientale potrebbero essere dichiarati crimini perseguibili penalmente a livello internazionale, al pari del genocidio.

Basterebbe questo, secondo i promotori della campagna, a creare quel deterrente essenziale a porre un freno all’avidità delle aziende che, al momento, trovano ben poche barriere legali sul loro percorso. Fino al punto che, in molti casi, sono gli attivisti e le popolazioni locali a dover infrangere la legge nel tentativo di fermare i tentativi di aggressione ai territori.

Vi è dunque un’evidente vuoto legislativo nella sfera del diritto internazionale. Un “crimine senza nome”, come il primo ministro britannico Winston Churchill definì, nel 1941, gli eccidi commessi dal regime nazista. Da allora ci sarebbero voluti altri cinque anni per la prima definizione ufficiale del termine genocidio da parte dell’Onu e oltre cinquanta per allestire una Corte transnazionale permanente. E’ infatti solo nel 1998, con lo Statuto di Roma, che la Cpi viene istituita per perseguire i crimini internazionali. La Corte, con sede all’Aia, in Olanda, è operativa dal 2002 ed ha attualmente competenza sui crimini contro l’umanità, di genocidio, di guerra, di aggressione. L’inserimento del reato di ecocidio nella lista dei crimini perseguibili dalla Cpi appare di fondamentale importanza in un momento storico in cui affrontare la crisi climatica e ambientale con i giusti strumenti rappresenta un’esigenza della massima importanza. Ne abbiamo parlato con Jojo Mehta, fondatrice e direttrice esecutiva di Stop Ecocide.

Direttrice Mehta, partiamo dalla definizione di ecocidio: come lo si definisce e su quali basi?

Nel corso degli anni si sono susseguite varie definizioni del termine ecocidio. Quella che noi utilizziamo fa riferimento a un danno rilevante degli ecosistemi. Un’azione con un impatto negativo, grave, diffuso, sistematico e commessa con la conoscenza delle possibili conseguenze catastrofiche. Insomma, non un incidente ma un’azione condotta in maniera cosciente. Il perpetratore di un ecocidio è a conoscenza dei rischi ma, nonostante ciò, continua la sua azione.

Proporremo presto una definizione ufficiale da sottoporre agli Stati e alla Cpi. Un gruppo di dodici avvocati internazionali sta lavorando alla creazione di una definizione con l’obiettivo di presentarla e inserirla nello Statuto di Roma, che è il documento di governo della Cpi. Il prossimo 21 giugno la definizione di ecocidio verrà resa pubblica.


La definizione giuridica di ecocidio
La proposta della Stop Ecocide Foundation diffusa nel giugno 2021 attende ora di venire discussa e migliorata


E’ però importante sottolineare che, al di là della definizione ufficiale, è il concetto di ecocidio a essere molto forte. Sempre più persone sono consapevoli dei gravi danni inflitti alla natura e che l’ecocidio comprende molte tipologie di crimini ambientali. Una volta che se ne comprende la portata, si comprende anche che l’ecocidio è sbagliato e deve essere fermato. Quindi c’è una sorta di potere intrinseco nel concetto, e questo ha la sua trazione, al di là della definizione legale.

Anche la definizione del crimine di genocidio ha avuto un percorso simile. Quali sono le  similarità? E perché il crimine di ecocidio non è stato inserito prima nella lista della Cpi?

Il lavoro intorno al concetto e alla definizione di genocidio inizia negli anni ’40. L’approccio di Raphael Lemkin, che ha coniato quel termine, non è dissimile dal nostro, nel senso che ha promosso questo concetto lungo un periodo di molti anni. I genocidi perpetrati in Jugoslavia e in Ruanda  hanno condotto direttamente alla creazione della Cpi, con oltre 120 paesi che hanno firmato lo Statuto di Roma nel 1998. La Cpi è poi entrata in vigore nel 2002.

Sul perché il crimine di ecocidio non sia già riconosciuto posso raccontare un aneddoto interessante: Polly Higgins, cofondatrice di Stop Ecocide, ha scoperto che originariamente c’era una clausola nella bozza di quello che è poi diventato lo Statuto di Roma che avrebbe coperto anche i gravi crimini ambientali. Questa clausola non è mai arrivata alla versione finale dello Statuto, stralciata da paesi che avevano grossi interessi nell’estrazione petrolifera e nella proliferazione dell’energia nucleare. Higgins ha scoperto questo colpo di mano e ha pensato che la nostra missione fosse quella di ripristinare quella clausola.

Quali sono gli eventi contemporanei che potrebbero rientrare nella definizione di ecocidio?

Stiamo assistendo da tempo a una sequenza di eventi che potrebbero rientrare nella definizione di ecocidio. Nel 2019, il presidente francese Emmanuel Macron ha parlato degli incendi dell’Amazzonia come di un ecocidio. Nel 2020, Harry e Meghan Windsor hanno parlato di ecocidio in riferimento agli incendi australiani. Insomma, questa tipologia di eventi inizia ad essere associata quasi naturalmente al concetto di ecocidio. Pensiamo anche alla situazione in Nigeria con decenni di inquinamento grave e tuttora in corso presso il Delta del Niger.

Riguardo alla deforestazione, l’Amazzonia è molto interessante da un punto di vista legale anche perché, all’inizio di quest’anno, il presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, è stato denunciato  alla Cpi per crimini contro l’umanità in riferimento alle violenze perpetrate contro le comunità indigene locali. L’intenzione originale era di presentare un caso di ecocidio, ma ciò non era possibile perché non esiste ancora tale crimine. Questo è un chiaro caso in cui si riscontra l’assenza di una legge necessaria. Ed è molto importante anche a livello di percezione perché se l’attività di deforestazione può essere scrutinata come potenzialmente criminale, allora i difensori dell’ambiente possono essere definiti come coloro che stanno sostenendo la legge o che almeno ne stanno invocando l’applicazione. In mancanza di questa legge, gli attivisti possono essere invece facilmente additati come dei fuorilegge che cercano di impedire attività considerate legali fino a prova contraria.

Le casistiche quindi sono molte. C’è naturalmente anche la questione della crisi climatica che dipende da molti comportamenti non propriamente ecologici. Anche la pesca in alto mare potrebbe rientrare nel concetto di ecocidio, perché si utilizzano tecniche che distruggono letteralmente intere fasce di fondali, la flora e la fauna ittica. Anche l’inquinamento di un intero sistema idrico potrebbe rientrare nella definizione.

Perché i quadri giuridici che abbiamo ora non sono sufficienti a proteggere l’ambiente?

Perché la maggior parte del diritto ambientale rientra nella sfera della regolamentazione. Esistono già alcuni crimini ambientali, ma la grande maggioranza del diritto ambientale è sotto forma di regolamentazione e non rientra quindi nel diritto penale. Consideriamo inoltre che i danni ambientali più gravi  hanno per lo più a che fare con le pratiche aziendali. E le aziende tendono a pensare ai danni ambientali come al costo necessario per fare affari. Le aziende più grandi si possono permettere di ingaggiare squadre di costosi avvocati per aggirare i  regolamenti. E spesso, se parliamo di aziende transnazionali, sono anche in grado di cambiare semplicemente la giurisdizione, a seconda di dove le normative e le leggi sono meno restrittive.

Questo è un aspetto, ma parte del problema è che non siamo abituati a trattare i danni alla natura come crimini seri. Il sistema legale è infatti incentrato sulle persone e sui diritti di proprietà. A livello della Cpi ci sono quattro crimini che sono elencati come i più gravi agli occhi della comunità internazionale. Stiamo iniziando a percepire come la distruzione degli ecosistemi sia un crimine abbastanza serio per essere a quel livello, perché non sta solo minacciando un popolo o una parte di esso come nel caso del genocidio, ma sta potenzialmente minacciando l’intero futuro della civiltà umana.

Abbiamo effettivamente la possibilità di cambiare questo tipo di mentalità e dire che danneggiare gli ecosistemi è altrettanto serio che danneggiare le persone o la proprietà. E facendo questo, stiamo cambiando l’intero panorama di come la legge ambientale è potenzialmente applicata. Perché al momento, uno dei grandi problemi, è che anche dove ci sono regolamenti in atto, non sono ben applicati. I giudici e gli avvocati non sono ben preparati a trattare i casi ambientali. E parte di questo risale a questa mentalità incredibilmente radicata per cui i danni inflitti alla natura non sono così gravi come quelli inflitti alle persone o alle cose. Stiamo parlando di diritto penale, dobbiamo essere in grado di identificare individui specifici, perché la responsabilità penale è individuale.

Quello che stiamo cercando di dire è che l’ecocidio è un crimine serio. Vogliamo cambiare la mentalità in modo che la distruzione ambientale venga messa sulla stessa linea rossa che riguarda i danni alle persone. Perché nessuno si sognerebbe mai di chiedere il permesso a un governo per uccidere qualche centinaio di persone per fare affari. E’ completamente inaccettabile da un punto di vista morale. Ecco, questa linea rossa, invalicabile, viene tracciata dal diritto penale.

Il crimine di ecocidio sembra essere strettamente legato al comportamento di tante aziende poco responsabili. Come pensa che affronteranno questo potenziale cambiamento? Lo interpreteranno come una minaccia o una necessaria evoluzione del modo di fare business?

Andiamo incontro a un periodo di transizione. Un esempio molto rilevante è l’agricoltura. L’Onu ha detto che se vogliamo nutrire la popolazione mondiale dobbiamo farlo localmente, tenendo in conto le caratteristiche dei territori e i metodi locali. Quindi dobbiamo abbandonare l’idea della monocoltura pesante a base di pesticidi e muoverci verso pratiche rigenerative. In cinque anni, anche le politiche dei sovvenzionamenti inizieranno a cambiare. Avere queste indicazioni è importante per le aziende. Coloro che vogliono muoversi nella giusta direzione sanno che saranno meglio sostenuti se si adegueranno. Prevediamo che l’introduzione del crimine di ecocidio avrà un effetto simile. Porterà le aziende potenzialmente implicate a ipotizzare un cambio di direzione.

Le aziende interessate alla sostenibilità stanno già chiedendo ai governi di dare loro linee guida, indicazioni legali, in modo che sappiano come possono e non possono muoversi. E molti amministratori delegati sarebbero felici di avere una legge sull’ecocidio in vigore, perché sarebbero in grado di dire ai loro azionisti che ci sono cose che non si possono fare entro i parametri della legge e che è necessario trovare altre soluzioni.

Ma fino a che non troveranno questo ostacolo legale, continueranno, quasi automaticamente, con i vecchi metodi che stanno causando tanti danni. Penso che questa logica sia radicata nella finanza, nel senso che il denaro è come l’acqua, scorre ovunque gli sia permesso di scorrere. E così, a meno che non si tappi quella falla, il flusso di denaro continuerà a scorrere in quel modo, semplicemente perché può farlo. Ma non appena quella porta viene chiusa si dovranno prendere necessariamente nuove direzioni. Le cause ambientali attualmente in corso cercano sostanzialmente qualche forma di compensazione, privilegiando l’aspetto riparativo. Mentre quello a cui miriamo veramente con il riferimento al penale è creare un deterrente, una sorta di guardrail.

Può parlarci dei prossimi passi verso il riconoscimento definitivo dell’ecocidio come crimine internazionale?

Il primo passo è quello di diffondere le informazioni sulla campagna, coinvolgere i politici,  discuterne nei parlamenti e fare una proposta al governo per prendere una posizione in merito. Ottenuta l’adesione di un certo numero di governi, è possibile fare una petizione alla Cpi. Ogni  membro della Cpi può proporre un emendamento. Il nostro team di avvocati sta redigendo ora il potenziale emendamento che potrebbe essere proposto alla Cpi mentre la nostra fondazione sta lavorando per assemblare un gruppo di Stati interessati a farsene promotori.

La seconda fase prevede l’accettazione della petizione da parte dell’assemblea della Cpi. Questo passaggio richiede una maggioranza semplice. Dopo questa fase, sono necessari almeno due terzi degli Stati membri per poterla effettivamente approvare e farla adottare. In questo momento, ci sono 123 stati membri. Questo significa che c’è bisogno di 83 voti per approvare l’emendamento. Non è un processo immediato, può richiedere alcuni anni.

La fase finale è la ratifica. Una volta approvato l’emendamento, ogni Stato membro può ratificarlo e  applicarlo nella sua giurisdizione. Questo procedimento riguarda anche i paesi che non hanno sottoscritto lo Statuto di Roma o che sono membri ma non intendono ratificare il nuovo emendamento. Gli indiziati di crimini ambientali possono infatti essere arrestati anche fuori dal loro paese. E’ ciò che il Regno Unito ha fatto in passato nel caso del generale Pinochet che fu arrestato a Londra con l’accusa di crimini contro l’umanità.

La questione del riconoscimento del crimine di ecocidio ha animato senz’altro un esteso dibattito politico. Avete già registrato il sostegno da parte di alcuni Stati?

La Finlandia, la Spagna, la Francia, il Belgio, le Maldive e la piccola Repubblica di Vanuatu hanno espresso interesse pubblicamente. La Francia è in realtà quasi un caso pilota visto che stanno cercando di legiferare anche a livello nazionale. Il Belgio è stato il primo paese europeo a chiedere ufficialmente di discuterne alla Cpi. In Svezia, i verdi hanno presentato una proposta di legge l’anno scorso. In Portogallo c’è stata una mozione presentata in parlamento l’anno scorso. In Canada, abbiamo parlato con tutti i partiti politici e c’è una conversazione attiva in corso. Anche Lussemburgo, Cipro e Grecia hanno dato segnali di interesse. Nel rapporto sui diritti umani e la democrazia nel mondo 2019, il Parlamento europeo ha votato per sollecitare “l’Ue e gli Stati membri a promuovere il riconoscimento dell’ecocidio come crimine internazionale ai sensi dello Statuto di Roma della Cpi”.

Quindi c’è un numero crescente di iniziative a livello parlamentare. L’alleanza internazionale “Ecocide Alliance” è costituita dai parlamentari di sedici paesi impegnati per il riconoscimento del reato di ecocidio. Una volta che la definizione di ecocidio emergerà a giugno, comunicheremo con gli Stati interessati per far crescere il dialogo a livello politico e nel contesto della Cpi.


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