Home > Notizie > i nostri articoli > Cop29, la mercificazione della natura non risolve la crisi climatica

Il sostanziale fallimento della Cop29 di Baku è la conferma che non si può raggiungere un risultato soddisfacente partendo da premesse sbagliate. L’agenda dell’ultima edizione della Conferenza dell’Onu sui Cambiamenti Climatici, ancora una volta, si è sviluppata attorno ai meccanismi finanziari, alle tecnologie digitali e agli impegni di neutralità climatica. La Cop29 non ha registrato progressi poiché perpetua un paradigma di azione climatica basato sulla mercificazione della natura e sulle soluzioni tecnologiche senza prendere in considerazione cambiamenti sistemici significativi. Il nuovo piano di investimenti sul fallimentare mercato internazionale del carbonio è la prova di una visione miope e alterata da conflitti di interessi.

Parallelamente, il mancato accordo sulle risorse economiche da destinare ai paesi in via di sviluppo, e in particolare l’aspetto debitorio dei fondi promessi, acuisce quel distacco fra Global North e Global South perpetrando meccanismi di matrice post coloniale. La Cop29 non ha dunque interrotto il pericoloso processo di finanziarizzazione della natura in atto. Anzi lo ha rilanciato rafforzando le stesse strutture di potere che hanno creato la crisi climatica attuale. La natura non può essere ridotta a crediti di carbonio o algoritmi digitali, né il collasso ecologico può essere «risolto» con strumenti finanziari. e politiche climatiche devono andare oltre le emissioni di gas serra per affrontare i danni più ampi causati da agricoltura industriale, deforestazione ed economie estrattive.

Concentrarsi esclusivamente sulle emissioni, ignorando la natura cumulativa del carbonio che persiste nell’atmosfera per secoli, impedisce di inquadrare la questione climatica nella sua completezza e complessità. Bilanciare le emissioni di gas serra con compensazioni è un concetto fondamentalmente sbagliato.

Le compensazioni, elemento chiave delle strategie net-zero, non riducono il CO2 atmosferico e spesso si rivelano speculative o inefficaci, come è il caso delle piantagioni monoculturali di alberi. Le cosiddette soluzioni basate sulla natura (Nature-Based Solutions, NBS) pretendono di affrontare le crisi climatiche e della biodiversità utilizzando la natura, ridotta a unità di scambio, per compensare le emissioni.

Tuttavia, le NBS spesso nascondono pratiche di sfruttamento sotto le sembianze di soluzioni ecologiche. Radicate in meccanismi di mercato, queste strategie trattano gli ecosistemi come risorse transazionali piuttosto che come sistemi viventi con un valore intrinseco. Questi schemi consentono alle aziende inquinanti di continuare con il business as usual, mentre affermano di «sequestrare» carbonio altrove, e innescano meccanismi di land grabbing con conseguente appropriazione di terre, dislocazioni di comunità, violazione dei diritti umani e minacce alla biodiversità. Invece di affrontare le radici sistemiche del caos climatico, il net-zero si rivela un elaborato meccanismo di greenwashing che aggrava il danno ecologico sotto la maschera della sostenibilità.

I progetti di compensazione del carbonio e il mercato emergente dei crediti di biodiversità esemplificano questa mercificazione. Riducendo la crisi climatica a un problema di contabilità del carbonio, la narrativa del net-zero oscura questioni ecologiche più ampie, come la destabilizzazione dei cicli dell’acqua, la salute del suolo e la biodiversità. Senza affrontare questi sistemi interconnessi, il caos climatico continuerà a peggiorare. Le risposte non si trovano nella mercificazione, nelle compensazioni o nei rimedi tecnologici. Risiedono invece nelle pratiche rigenerative delle comunità locali e degli ecosistemi. L’agroecologia, il ripristino della biodiversità e l’agricoltura rigenerativa offrono soluzioni radicate nell’armonia con la natura, non nel dominio su di essa. Una transizione verso sistemi agricoli organici e rigenerativi deve diventare una priorità assoluta.

Le politiche dovrebbero sostenere attivamente il lavoro delle comunità locali, che stanno già dimostrando come ricostruire la resilienza ecologica. Ponendo biodiversità, agroecologia ed economie di cura al centro dell’azione climatica, possiamo tracciare un percorso verso una vera rigenerazione ecologica e sociale. È tempo di smettere di affidarci ciecamente alla finanziarizzazione della natura e alle soluzioni tecnologiche per risolvere la crisi del clima. Dobbiamo invece sostenere i sistemi viventi e le comunità che già lavorano per guarire la Terra.

Di Ruchi Shroff, Direttrice di Navdanya International – L’Extraterrestre, settimanale ecologista de Il Manifesto, 28 novembre 2024 | Fonte