Home > Notizie > Interviste > Vandana Shiva: “Il cibo a basso costo è dispendioso per la Terra”

Di Francesco Paniè – La Nuova Ecologia, 28 marzo 2019 | Fonte

L’agricoltura intensiva e l’industria alimentare hanno peggiorato la qualità dei prodotti e della nostra salute. Da questa premessa, e sulle soluzioni al problema, si concentra “Cibo per la salute”, il nuovo manifesto curato da Navdanya International, organizzazione guidata da Vandana Shiva. Il documento si pone come strumento di mobilitazione per rivendicare una transizione verso sistemi alimentari locali, ecologici e diversificati. Ne abbiamo parlato con la promotrice.

Come nasce il manifesto “Cibo per la salute” e qual è la tesi che sostiene?

In risposta al moltiplicarsi di malattie croniche legate a pesticidi e sostanze tossiche negli alimenti, imposti dall’agricoltura industriale, la nostra organizzazione ha convocato un gruppo di esperti leader nei settori alimentare, sanitario e agricolo. Medici, agronomi, produttori biologici, attivisti, giuristi e decisori politici hanno contribuito alla stesura del manifesto. Questo documento sostiene la necessità di un nuovo paradigma, un nuovo modo di pensare alla salute centrato sull’ecologia, basato sul pensiero sistemico e non sul riduzionismo meccanicistico, riconoscendo che la salute della terra e quella delle persone sono inestricabilmente collegate.

Un gran numero di persone, anche in Italia, è indotto dalla povertà a risparmiare sugli acquisti alimentari. Ma quali sono le conseguenze del comprare cibo a basso costo?

“Il cibo a basso costo” non è realmente economico. Anzi, è molto dispendioso per la Terra, i piccoli agricoltori e la nostra salute. Viene venduto a buon mercato perché prodotto grazie a sussidi, oligopoli e benefici fiscali. Agli agricoltori arriva una cifra tra l’1 e il 5% del prezzo pagato dal consumatore. Per questo dobbiamo capire che quando acquistiamo cibo “fintamente economico”, stiamo giocando un ruolo nella distruzione dei contadini, dell’ambiente e della nostra salute. Il cibo è un problema politico. La scelta è tra una dittatura alimentare e il seguente collasso delle nostre società, o la costruzione di robuste democrazie alimentari, rette da ecosistemi e comunità resilienti.

Quale dev’essere il ruolo delle sementi per rendere l’agricoltura meno vincolata ai grandi interessi?

Le attuali normative sui semi sono contrarie all’imperativo di una dieta basata su biodiversità, cibo biologico e locale per un microbioma sano e alimenti nutrienti. C’è un’evidente contraddizione tra uniformità e stabilità richiesta dal sistema industriale e la necessità di adattamento delle colture ai cambiamenti climatici e agli ecosistemi locali. Come possiamo avere una dieta diversificata se l’agricoltura che produce il nostro cibo si basa sull’omogeneità? Quando i soggetti che devono essere sottoposti a regolamentazione arrivano a scrivere le leggi per ottenere un potere assoluto e la piena proprietà delle sementi, liberandosi di ogni responsabilità ecologica e sociale, non abbiamo solo una crisi del cibo e dell’agricoltura, abbiamo una crisi di democrazia.

Articolo tratto dal mensile La Nuova Ecologia marzo 2019