Di Manlio Masucci – Comune-info, 1 settembre 2018 | Fonte
L’avvelenamento dell’acqua denunciato dalle mamme di Vicenza non è certo un fatto episodico. Nell’Unione Europea, il 38% dei corpi idrici è sotto forte pressione a causa dell’inquinamento agricolo e, secondo le stime dell’Oms e dell’Unep, ogni anno sarebbero almeno 26 milioni i casi di avvelenamento da pesticidi nel mondo, 200 mila i decessi.
Le notizie provenienti da Vicenza, dove le Mamme No Pfas continuano la loro mobilitazione contro la contaminazione delle acque, sono allarmanti ma non sono, purtroppo, sorprendenti. Al contrario, confermano che anche in Italia l’inquinamento ambientale continua a mietere vittime innocenti. In questo contesto è essenziale esprimere solidarietà e garantire supporto alle iniziative ma è anche utile inquadrare questo fenomeno in una prospettiva più ampia, nazionale e internazionale. Quanto avviene a Vicenza non è infatti un incidente, ma piuttosto il logico risultato di un sistema produttivo criminale che guarda solo agli interessi del breve periodo senza curarsi degli impatti sull’ambiente, e quindi sulle persone, che avvengono nel medio e lungo periodo.
Il prossimo 9 settembre, sarà presentato al Sana di Bologna il Manifesto “Food for Health”, un documento programmatico, curato da Navdanya international ed edito da Terra Nuova edizioni, in cui i maggiori esperti internazionali nei settori dell’alimentazione e dell’ambiente mettono a confronto i risultati di anni di ricerca per chiedere ai governi di tutto il mondo un cambio immediato di paradigma. L’evidenza scientifica, empirica, epidemiologica è oramai indiscutibile. Leggendo i dati del Manifesto, risulta evidente come il tempo delle analisi e delle discussioni sia terminato. E’ il momento di passare all’azione per evitare che casi come quelli di Vicenza si possano ripetere in Italia e nel resto del mondo.
Ed è proprio dall’evidenza scientifica che è utile partire in questa fase di profonda crisi. Non è moralmente accettabile leggere i dati della Fao sull’inquinamento provocato dall’agricoltura industriale (che nel frattempo ha fallito il suo principale obiettivo, quello di sfamare la popolazione mondiale), idati dell’Isprasull’inquinamento delle acque in Italia, le notizie provenienti dagli Stati Uniti rispetto alle compensazioni milionarie a carico della Monsanto, in relazione ai danni provocati dal suo principale erbicida a base di glifosato, dopo solo nove mesi dalla decisione dell’Unione Europea di prolungare l’autorizzazione all’uso dello stesso glifosato per ulteriori cinque anni e di approvare trattati commerciali come il Ceta, che intendono spalancare le porte a prodotti dalla qualità dall’origine incerta, o in molti casi tristemente certa (come il caso del grano canadese al glifosato), capaci di soffocare la piccola e media produzione locale di qualità.
Politiche che non sembrano tener conto, appunto, dei dati che ci dicono invece che, nell’Unione Europea, il 38% dei corpi idrici è sotto forte pressione a causa dell’inquinamento agricolo e che secondo le stime dell’Oms e dell’Unep sarebbero almeno 26 milioni i casi di avvelenamento da pesticidi nel mondo ogni anno che, in molti casi, conducono alla morte: si contano in oltre 200 mila i decessi causati dai pesticidi ogni anno. Vi è inoltre ormai evidenza di una forte correlazione fra esposizione a pesticidi e patologie in costante aumento, quali: cancro, malattie respiratorie, Parkinson, Alzheimer, sclerosi laterale amiotrofica (Sla), autismo, deficit di attenzione e iperattività, diabete, infertilità, disordini riproduttivi, malformazioni fetali, disfunzioni metaboliche e tiroidee. Le malattie non trasmissibili (Mnt) causano il 70% dei decessi a livello mondiale, per un totale di 40 milioni di morti all’anno, di cui circa 15 milioni di età inferiore ai 70 anni. Le principali Mnt comprendono le malattie cardiovascolari, il diabete, i tumori e le malattie respiratorie croniche. Gran parte delle Mnt sono legate alla dieta e causate da fattori biologici di rischio quali: pressione sanguigna, zucchero nel sangue, lipidi nel sangue e grasso corporeo, aterosclerosi dei vasi sanguigni, trombosi.
Non è accettabile, neanche anche da un punto di vista strettamente economico, continuare a fare affidamento su un sistema produttivo a filiera lunga, altamente dispendioso dal punto di vista dei consumi energetici, altamente inquinante e altamente irrispettoso dei diritti dei lavoratori. L’agricoltura locale può rappresentare una concreta alternativa anche in termini di produttività. I piccoli agricoltori sono, in proporzione, più produttivi delle grandi aziende industriali: pur avendo a disposizione solo il 25% della terra arabile riescono a fornire il 70% del cibo a livello mondiale.
Sul versante opposto, quello della grande industria, la Fao ha calcolato che i costi del “capitale naturale” associati alla produzione di prodotti vegetali ammontano a quasi 1.150 miliardi di dollari, vale a dire oltre il 170% del valore della sua produzione, mentre la produzione animale produce costi di capitale naturale di oltre 1.180 miliardi di dollari, cioè il 134% del valore della sua produzione. L’esempio degli interferenti endocrini appare particolarmente interessante: i costi dell’esposizione agli interferenti endocrini nella sola Europa ammontano a 209 miliardi di dollari l’anno; negli Stati Uniti sono di 340 miliardi di dollari all’anno. I sistemi sanitari nazionali sono allo stremo ma la risposta che viene dalla politica non è quella di rimuovere le cause del disastro quanto piuttosto quella di privatizzare il settore.
Sono questi alcuni dei dati riportati sul Manifesto “Food for Health” che non lasciano spazio a ulteriori dubbi: il sistema produttivo basato sugli interessi dei grandi conglomerati industriali, chiamiamoli Agribusiness, chiamiamoli Big Food, non è sostenibile da alcun punto di vista. Se la prospettiva da cui si parte è quella dell’interesse comune, ovvero l’obiettivo che dovrebbe perseguire ogni governo democratico, è necessario cominciare a risalire alle cause che rendono possibile tutto ciò e proporre alternative.
La conoscenza esiste, la tecnologia esiste, le alternative sono state sperimentate e anche i grandi organismi internazionali, a partire dalle Nazioni Unite, non sono più in grado di negare l’evidenza. In questo contesto ogni battaglia può essere paradigmatica, da quella internazionale sui trattati di libero commercio a quella delle Mamme No Pfas a quelle degli agricoltori americani contro la Monsanto, nella consapevolezza che i problemi sono comuni quanto sistemici e affondano le radici in una visione neoliberista dell’esistente che ha oramai palesato tutte le sue insostenibili contraddizioni.
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