L’Italia che cambia, 17 dicembre 2021 | Fonte
Le campagne italiane sono ostaggio delle multinazionali e delle loro monocolture intensive finalizzate alla massimizzazione dei profitti e fonte di gravi minacce alla biodiversità. Ecco la denuncia dell’attivista e saggista indiano Satish Kumar, fondatore della storica rivista The Ecologist.
«Si fa un gran parlare di ridurre il nostro impatto sulla terra e di ridurre le emissioni climalteranti. È dal modello di agricoltura che dobbiamo ripartire. La terra non può essere utilizzata per fare profitti perché ci sono impatti per tutto il pianeta e i suoi abitanti. L’agricoltura si deve basare sui bisogni reali non sull’ingordigia delle multinazionali. Gli italiani dovrebbero ribellarsi a questo utilizzo del loro territorio».
È questo il giudizio sulla questione dell’espansione delle monocolture di nocciole in Italia di Satish Kumar, editore emerito e fondatore di riviste ecologiste come The Ecologist e Resurgence. Intervistato da Manlio Masucci per il numero di dicembre della rivista Terra Nuova, Satish Kumar, attivista in grado di ispirare generazioni di ambientalisti, ha detto così la sua su una questione che sta suscitando sempre più interesse nei media nazionali e internazionali, a partire dagli stessi articoli di The Ecologist, per passare dall’ultimo approfondimento di Report e per finire con lo stesso reportage pubblicato da Terra Nuova e intitolato, per l’appunto, “Noccioland”.
L’attacco di Kumar alle multinazionali della nocciola, ree di impedire lo sviluppo di un modello di agricoltura sostenibile nell’area, è forte e diretto. Parlando in particolare della Tuscia, Kumar ha detto: «Le multinazionali sono interessate a investire in quest’area non per nutrire le persone ma per ricavarne profitti. Un vasto impero che si basa sulla coltivazione intensiva della nocciola per produrre beni di consumo che non sono essenziali, non sono nutrienti. La terra non è un semplice contenitore dove piantare monocolture ma un suolo vivente, con una biodiversità. Questo modello di business non è compatibile con la biodiversità. E tutto ciò per raggiungere quale obiettivo? Fare più soldi».
Secondo Satish Kumar, esperto di comunicazione ambientale, la causa del dissesto ambientale è dovuta primariamente proprio alle campagne ingannevoli delle multinazionali: «Molte persone che vivono in città, lontane dalle zone di produzione, sono indotte a pensare che abbiamo bisogno di produrre sempre più cibo e che gli agrochimici sono essenziali per assicurare questa abbondanza. Questa della necessità di aumentare la produzione è una propaganda alimentata dalla stessa industria che lucra sulle vendite. L’industria punta alla maggiore quantità non alla qualità».
«Questo sistema produttivo intensivo basato sugli agrochimici non solo non è benefico per la salute delle persone ma neanche per quella del suolo», prosegue Satish Kumar. «Ma questa confusione non è colpa delle persone, perché l’industria alimenta campagne di comunicazione miliardarie. È importante allora fare più informazione e comunicazione, raggiungere più persone per spiegare come funziona l’economia della natura, spiegare i concetti di mutualità e reciprocità. Produrre cibo organico con metodi rigenerativi è possibile. Dobbiamo costruire una cultura della rigenerazione».
Satish Kumar non lesina critiche anche quando viene informato dei reiterati tentativi del Governo italiano di dare il via libera agli Ogm di nuova generazione nel nostro paese: «Dobbiamo comprendere la natura, non manipolarla. Gli Ogm e le nuove tecniche di manipolazione genetica non rispettano l’integrità della natura che viene piegata a interessi particolari. Queste manipolazioni e questa corsa ai brevetti non nascono da reali bisogni ma, ancora una volta, da un modello di business che pensa solo al profitto».
«Non c’è alcuna necessità di modificare geneticamente gli organismi vegetali se non per acquisire la proprietà delle stesse varietà modificate e trarne profitto. Non abbiamo alcun bisogno di organismi geneticamente modificati. Pensare il contrario è semplicemente stupido», conclude il fondatore dell’Ecologist.