Donne e uomini coltivano la terra da millenni.
La cura delle sementi, la coltivazione, la cura e il raccolto dei prodotti con cui nutrirsi hanno una tradizione millenaria ed hanno una connotazione culturale molto variegata.
Dopo decenni di sempre maggiore industrializzazione dell’agricoltura con tutte le conseguenze ecologiche, sociali ed economiche che questa ha comportato, l‘orticultura sta acquisendo oggi un nuovo significato, che va oltre il semplice bisogno di nutrimento.L‘uso di ortaggi autoprodotti rappresenta già un elemento di grande valore, ma gli orti sono molto importanti anche per l‘economia, per la salute e per l‘integrazione sociale. Permettono e promuovono una gestione sostenibile del suolo, delle risorse e delle sementi. Nonostante tutto ciò, al momento gli orti non sono ancora un diritto per tutti e tutte.
Una buona parte delle persone al mondo non possiede un pezzo di terra e/o vive in città, dove le abitazioni non hanno spazi adeguati alla coltivazione di ortaggi.
Se ci fosse un diritto fondamentale per tutte e tutti a coltivare un orto, i Comuni, le Regioni, gli Stati e le Istituzioni sovrastatali dovrebbero porre le condizioni affinché questo possa essere garantito.
A questo seguirebbe una presa di responsabilità delle persone nei confronti della natura e delle sue ricchezze e una più giusta distribuzione delle stesse.
In questo senso, il diritto a coltivare un orto rientra pienamente nello spirito della Dichiarazione dei diritti dell‘uomo sanciti dall‘ONU.
Chiediamo così alle Nazioni Unite di inserire questo diritto fondamentale nel Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali.
Tra le prime firmatarie la presidente di Navdanya International, Vandana Shiva
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