Di Manlio Masucci
Intervista alla Relatrice Speciale Onu sul diritto all’alimentazione, che oltre a sottolineare l’importanza di garantire a tutti cibo adeguato e di qualità, invita il nostro Paese ad aprire un’inchiesta sui pesticidi, a tutelare il principio di precauzione e a promuovere il biologico.
È molto pericoloso tenere separati i concetti di salubrità del cibo e diritti umani. Sì, perché secondo Hilal Elver, Relatrice Speciale Onu sul diritto all’alimentazione, mancare di individuare il nesso fra il modo in cui produciamo e consumiamo il nostro cibo e la salute umana significa di fatto rinunciare a un nostro diritto fondamentale. Ma chi non riconosce questo diritto nella propria Costituzione? Non bisogna andare a cercare nella solita lista dei paesi in via di sviluppo. Proprio l’Italia, il Bel Paese delle tradizioni alimentari e del buon vivere, non riconosce questo diritto nella propria costituzione privando i propri cittadini di un cruciale strumento legale di tutela.
È questa solo la prima delle contraddizioni che la Elver ha sottolineato nel suo rapporto dedicato al nostro Paese. Nella sua recente missione in Italia, la Relatrice ha sperimentato molte buone pratiche ma anche criticità e contraddizioni: è il caso delle linee guida sulle mense scolastiche, che minimizzano il ruolo del biologico, e quello dei pesticidi, «un problema serio nel sistema agricolo italiano» a cui si legano fenomeni come il traffico e la produzione illegale di fitofarmaci gestito dalla criminalità organizzata.
Oltre a porre rimedio a queste questioni, la Elver raccomanda al nostro governo di tutelare e incentivare i piccoli produttori agricoli e i giovani che intendono entrare nel settore puntando sull’agroecologia e sul biologico. Quanto le raccomandazioni del commissario saranno ascoltate è tutto da vedere. Per il momento, l’incontro con la ministra Bellanova è stato infruttuoso, come ci conferma la stessa Elver, che avverte Italia e Europa: gli Usa puntano alla rimozione del principio di precauzione ma questo è un principio fondamentale; gli europei dovrebbero difenderlo con fermezza se vogliono veramente tutelare il loro ambiente e la loro salute.
Relatrice Speciale, nel suo rapporto lei non parla di un diritto generico al cibo, ma specifica che il diritto è al «cibo adeguato e sano». Può spiegare nel dettaglio questo concetto che, come sottolinea, non è incluso nella Costituzione italiana?
Il «diritto a un’alimentazione adeguata» è un concetto che deriva direttamente dall’articolo 11 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali. Ciò significa che non solo la quantità ma anche la qualità del cibo, che include ogni tipo di malnutrizione, fa parte dei diritti umani a un’alimentazione adeguata. Questo concetto è stato ulteriormente articolato e interpretato nel 1999 dal Comitato dei diritti economici, sociali e culturali e con le Linee guida volontarie del diritto all’alimentazione del 2004.
Nella Costituzione italiana non esiste un articolo esplicitamente dedicato al diritto a un’alimentazione adeguata. Certo, il diritto alla vita, il diritto alla salute e il diritto al lavoro potrebbero essere utilizzati per tutelare il diritto a un’alimentazione adeguata. Tuttavia, questa protezione indiretta impedisce una comprensione globale dell’approccio alla sicurezza alimentare basato sui diritti umani da parte dei titolari dei diritti. Il diritto a un’alimentazione adeguata non è totalmente compreso dall’opinione pubblica italiana.
Ad esempio, in Italia le mense per i poveri e i banchi alimentari sono ampiamente presentati come espressione del diritto all’alimentazione. Non si tratta di un’attuazione del diritto all’alimentazione, ma di un esempio di carità. C’è un’enorme differenza tra la carità e il diritto all’alimentazione adeguata. Quest’ultimo è il diritto legale dato ai cittadini di mettere in discussione le politiche del governo in relazione alla sicurezza alimentare, alla partecipazione al processo decisionale e all’accesso alla giustizia, quando si verifica una violazione del diritto all’alimentazione.
Il concetto di «cibo adeguato e sano» è incluso anche nel Manifesto Food for Health, di cui lei è co-autrice. Può dirci la genesi e la rilevanza di questo documento?
Si parla di accesso al «cibo adeguato e sano» che è la combinazione di due importanti diritti, ovvero il diritto a un’alimentazione adeguata e il diritto alla salute. Il cibo non sano è la più significativa condizione di base della malnutrizione che è la causa del 60% delle malattie non trasmissibili. Questo è solo un semplice collegamento che spiega perché il diritto a un’alimentazione adeguata dovrebbe essere collegato alla salute. Il modo in cui funziona il nostro attuale sistema alimentare, purtroppo, è alla base di una società non in salute. Malnutrizione, denutrizione (deperimento e spreco), carenze di micronutrienti, sovrappeso e obesità sono minacce per la salute universale del nostro tempo fondamentalmente connesse con il cibo non sano a buon mercato (junk food) e ampiamente disponibile ovunque. È molto redditizio per le grandi imprese, e molto pericoloso specialmente per i bambini piccoli.
Quindi è una questione di diritti umani.
Ha appena terminato una missione in Italia dove è stata testimone di buone e cattive pratiche. Anche in questo caso, lei parla del diritto a un’alimentazione adeguata e sana per gli studenti delle mense scolastiche. Tuttavia, le recenti linee guida del Ministero della salute minimizzano il ruolo degli alimenti biologici equiparandoli a quelli non biologici e includendo i vantaggi del biologico nella categoria dei «falsi miti». Cosa ne pensa di questo approccio?
Non ho visto le recenti linee guida del Ministero della salute, ma ne ho sentito parlare. Ho anche visto che molti volantini si concentravano sull’attività fisica piuttosto che su un’alimentazione sana. Non riesco a immaginare che il Ministero minimizzi il ruolo del cibo biologico e che parli di «falsi miti». So solo che il governo italiano non ama parlare di cibo malsano o di cibo spazzatura. So anche che gli italiani sono molto orgogliosi dei loro sofisticati sistemi alimentari. È vero che l’Italia è la migliore produttrice di molti cibi di lusso preferiti dai consumatori dei paesi sviluppati. Tuttavia, dobbiamo chiederci se le famiglie italiane della classe media possono permettersi un cibo di così grande qualità frequentemente con i loro stipendi. Ne dubito. Durante i miei incontri con il governo ho chiesto ai funzionari pubblici se possono permettersi un buon cibo. Tutti confessano che non possono mangiare sempre cibo biologico perché è molto costoso, figuriamoci cibi di lusso.
Lei ha descritto il sistema alimentare italiano come frammentato, sottolineando la «disuguale distribuzione del mercato contadino e dei negozi biologici». Allo stesso tempo ha elogiato alcune iniziative locali, come la Politica alimentare per la città di Milano. La fase di transizione sembra al momento molto più animata da iniziative locali. Questo è l’unico modo in cui la transizione può avvenire? Secondo lei, quale direzione dovrebbe seguire il nostro Paese?
Il sistema agroalimentare italiano si basa su piccoli produttori agricoli, che sono la maggioranza su tutto il territorio nazionale, e su grandi aziende agroalimentari industriali. Questo sistema duale è stato molto visibile durante la mia visita da Nord a Sud. Quello che ho visto è che i piccoli agricoltori sono schiacciati dalle forze del mercato alimentare globale, abbandonano le loro aziende agricole e i mercati locali di quartiere non sono in grado di competere con le grandi catene di supermercati. Questo è vero per molti paesi sviluppati, ma non dovrebbe essere così in Italia, perché il potere dei sistemi alimentari italiani si basa sulla qualità della produzione e non sulla quantità. Per questo motivo c’è bisogno di una tutela e di incentivi sempre maggiori per i piccoli produttori agricoli per mantenere viva questa tradizione che è molto sana e sostenibile.
Allo stesso tempo, l’Italia è ben conosciuta con i suoi sistemi e le sue varietà regionali. Le città e le regioni hanno una sovranità sufficiente per stabilire i propri sistemi progressivi che aiutino a migliorare il sistema nazionale. Milano, Torino e la regione Lombardia sono ricche di buoni esempi. Quindi, questo mosaico di iniziative è molto buono e dovrebbe essere sostenuto.
In Italia stiamo assistendo a un nuovo impulso spontaneo alle pratiche agroecologiche e a un crescente interesse dei giovani per l’agricoltura. L’agroecologia, come dichiarato anche dalla Fao, può rappresentare una vera alternativa all’espansione delle monocolture industriali, all’aggressività sui mercati da parte della grande distribuzione, ai fenomeni di land grabbing, allo sfruttamento dei lavoratori migranti e alla concentrazione del potere?
Sì, rispetto a tutte queste questioni che lei cita, l’agroecologia è un’alternativa e, a livello globale, c’è una tendenza, anche se lenta, a sostenerla. Questo sta accadendo anche in Italia e le giovani generazioni si affidano maggiormente a questi metodi di produzione alternativi, considerando anche l’impatto ambientale. Questa tendenza ha bisogno di essere sostenuta finanziariamente dal governo.
Ci stiamo muovendo verso una riforma della Pac. Oltre ai casi di abusi ed estorsioni per ottenere fondi europei, che avete documentato, va sottolineato che in Italia i finanziamenti vanno per quasi il 98% all’agricoltura convenzionale su larga scala. Per i piccoli e medi agricoltori biologici rimangono solo briciole, meno del 3%, anche se quasi il 15% della superficie italiana è coltivata con metodo biologico.
Il tentativo di approvare una nuova legge d’impulso all’agricoltura biologica e ai biodistretti è in fase di stallo al Senato da oltre un anno, un percorso in cui è diventata evidente l’influenza delle lobby industriali sui nostri politici e sul nostro sistema mediatico.
Lei ha incontrato diversi rappresentanti del governo italiano. Ha qualche raccomandazione per un uso più lungimirante dei fondi europei?
Sì, ho discusso con i parlamentari sul prossimo disegno di legge che rende i piccoli agricoltori più competitivi sul mercato globale, in particolare per proteggerli dall’abbassamento dei prezzi dei prodotti agricoli. Di tanto in tanto abbiamo discusso con il governo su questo tema, ma per quanto mi ricordo non ricordo nulla di molto specifico.
Non c’è dubbio che l’Ue dovrebbe prendere in considerazione, quando discutono di una nuova Pac, tutte queste questioni e come proteggere i piccoli agricoltori, promuovere l’agricoltura biologica e l’agroecologia, così come la protezione dell’ambiente. Come sappiamo, uno dei problemi è che gli inquinamenti ambientali aumentano nelle aree che ricevono sussidi dall’Ue.
Capitolo pesticidi. Lei ha già denunciato l’immenso tributo in termini di vite umane – circa 200.000 morti all’anno in tutto il mondo. Nel suo rapporto, sottolinea che l’Italia è uno dei maggiori consumatori di pesticidi in Europa e che non tiene adeguatamente conto del problema del multiresiduo. Ha inoltre evidenziato fenomeni inquietanti come usi impropri e sproporzionati di sostanze nocive che non vengono rilevate nelle statistiche ufficiali e persino l’esistenza di un mercato nero di pesticidi contraffatti. Può parlarci di questa esperienza? Come proteggere gli agricoltori e i consumatori?
I pesticidi sono stati uno dei principali argomenti quando ho discusso la questione con gli agricoltori e i lavoratori agricoli durante la mia visita. Gli agricoltori biologici sono stati molto sensibili e protettivi su ciò che hanno fatto e su come sono stati attenti all’uso dei pesticidi. Il resto degli agricoltori era molto sulla difensiva. Ricordo che durante una delle riunioni, quando ho menzionato la parola pesticidi, la sala è diventata improvvisamente molto rumorosa e tutti avevano idee diverse al riguardo, con un chiaro disaccordo tra i lavoratori e i titolari delle aziende agricole.
Questo incontro mi ha fatto credere che i pesticidi sono un problema serio nel sistema agricolo italiano, soprattutto tra le unità produttive intensive. È impossibile per me dire esattamente, con i pochi dati a mia disposizione, quanto questo problema sia esteso e pericoloso. Ma sono sicura che bisogna indagare subito e con molta attenzione.
Non c’è dubbio che nell’agricoltura convenzionale si fa un uso significativo di pesticidi, e i lavoratori agricoli senza documenti sono le vittime principali. Inoltre, il traffico illegale e la produzione illegale di pesticidi sono un business molto redditizio considerata l’alta richiesta.
Le organizzazioni fuorilegge stanno penetrando in ogni fase della catena del valore agricolo. E non si tratta di una casualità ma di una strategia precisa di tali organizzazioni che deve essere smascherata. Naturalmente, questo influenzerà la commercializzazione dei prodotti italiani. Si tratta quindi di una questione delicata.
Nell’ambito della sua missione, lei ha incontrato il ministro Bellanova, che è stato recentemente al centro della polemica sulla sua apertura agli Ogm. Recentemente il segretario di Stato americano all’agricoltura, Sonny Perdue, è venuto in Italia per perorare la causa di un nuovo Ttip, un accordo commerciale particolarmente incentrato sul settore agricolo. Secondo gli Stati Uniti, l’Nbt, la nuova biotecnologia, è il futuro dell’agricoltura e il principio di precauzione europeo è antiscientifico. Ha avuto modo di discutere di questi temi con Bellanova? Qual è la sua opinione al riguardo?
Non ho avuto l’opportunità di discutere quasi nulla, quindi neanche di Ogm e Ttip. L’incontro è stato molto breve. Ha lasciato la sala subito dopo aver letto il suo discorso, che riguardava soprattutto la nuova legge contro il «caporolato». Lei è molto appassionata, e deve esserlo, ma quell’incontro non è stato molto fruttuoso dal mio punto di vista per entrare nei dettagli delle attuali politiche agricole italiane. Ho sentito della visita del segretario all’agricoltura degli Stati Uniti. Gli sforzi per istituire il Ttip con l’Italia avranno un impatto significativo sull’agricoltura. Il governo americano non si fa scrupoli a promuovere gli Ogm, e negli Stati Uniti c’è una chiara politica contro il principio di precauzione ma questo è un principio fondamentale di tutta la legge ambientale. Se lo respingiamo, non ci sarà alcuna misura preventiva contro l’impatto negativo delle nuove tecnologie sull’ambiente e sulla salute umana. Penso che gli europei dovrebbero difendere con fermezza questo principio.
Non sono sicura che questo punto importante fosse sotto lo schermo radar della ministra Bellanova, ma certamente gli esperti del Ministero dell’agricoltura dovrebbero saperlo e dovrebbero proteggerlo. Anche l’intera Unione europea dovrebbe decidere su quanto saldamente debba essere tutelato il principio di precauzione, se davvero si preoccupano delle conseguenze, in particolare di quelle involontarie, di tali tecnologie.
Terra Nuova Edizioni, 18 aprile 2020 | Fonte
Articolo tratto dal mensile Terra Nuova Aprile 2020
Altre Pubblicazioni di Navdanya a cura di Terra Nuova Edizioni