Di Manlio Masucci – L’Extraterrestre, settimanale ecologista de Il Manifesto, 15 luglio 2021 | Fonte
Intervista. Il professor Piccolo, uno dei massimi esperti internazionali di chimica agraria. Ecco cosa si cela dietro la crociata della senatrice Cattaneo
Nell’ambito del dibattito in corso sull’agricoltura biodinamica, ha destato molto scalpore l’intervento della senatrice Elena Cattaneo pronta a riaprire i tribunali dell’inquisizione con tanto di clichet seicenteschi inneggianti alla stregoneria, all’alchimia e all’esoteria. Una narrazione pittoresca che ha però avuto il merito di destare l’attenzione su alcuni aspetti specifici della biodinamica. Quali sono le basi scientifiche su cui poggiano la ricerca e la pratica biodinamica? Quali sono gli interessi economici delle lobby dell’agribusiness che aizzano i nostri politici contro il biologico e il biodinamico nonostante le chiare indicazioni provenienti dai mercati e dalla Commissione europea? Cosa è più dannoso per ambiente e salute umana, un preparato naturale biodinamico o un erbicida chimico come il glifosato, strenuamente difeso proprio dalla senatrice Cattaneo, nonostante lo IARC lo abbia definito come “probabile cancerogeno”? L’Extraterrestre ha intervistato Alessandro Piccolo, professore di Chimica agraria ed ecologia presso l’università Federico II di Napoli, considerato uno dei massimi esperti internazionali in materia. Il professor Piccolo è stato insignito del premio per la chimica dalla prestigiosa fondazione tedesca Alexander von Humboldt per le ricerche sulla chimica dell’Humus, è fra i fondatori della Società Italiana di Scienze Biodinamiche (SISB) ed è Chief Editor della rivista “Chemical and Biological Technologies in Agriculture”.
Professor Piccolo, cosa risponde a chi accusa la biodinamica di non avere basi scientifiche ma essere piuttosto assimilabile alla stregoneria?
E’ sorprendente constatare che illustri scienziati italiani debbano ricorrere a termini così anacronistici per attaccare il settore dell’agricoltura biodinamica. Le pratiche biodinamiche sono sì legate a conoscenze ancestrali sulla trasformazione della sostanza organica naturale, ma hanno dato un riscontro obiettivo in quanto migliorano la qualità dei suoli agricoli e quella dei relativi prodotti agroalimentari. Accuse che fanno sospettare che non si conosca la storia della Scienza o che la si voglia nascondere. Senza ricorrere all’immagine degli uomini primitivi che ritenevano magici o stregoneschi i fenomeni naturali che non sapevano spiegare razionalmente, molti grandissimi scienziati hanno dovuto subire l’accusa di praticare la stregoneria o la magia quando hanno infranto il paradigma precedente con nuove ed alternative interpretazioni degli eventi naturali. Basti pensare a Galileo che per poco non ha fatto la fine di Giordano Bruno, a Newton che si è portato in vita la fama di essere uno stregone per i suoi interessi esoterici, a Einstein le cui speculazioni contrarie alla consolidata meccanica classica hanno fatto dubitare della sua salute mentale. Le pratiche biodinamiche dovrebbero essere valutate nel contesto del sistema complesso multifasico del suolo agrario in cui la dimensione molecolare organica dell’humus si accompagna alla composizione minerale del suolo, alla biomassa microbica, e agli apparati radicali delle piante. Invece di affrontare razionalmente un problema di interazioni sistemiche complesse che sfuggono ad una descrizione scientifica cartesiana riduzionistica, si preferisce semplificare e gridare alla stregoneria. E’ sorprendente che alcuni rappresentanti della Scienza “ufficiale”, che dovrebbero già avere coscienza intellettuale della rottura epistemologica avvenuta con la fisica quantistica dei primi del XX secolo, non comprendano che ci troviamo di nuovo di fronte ad un nuovo sistema emergente che richiede di oltrepassare i limiti dello scientismo riduzionistico corrente e di sviluppare un approccio scientifico olistico da applicare a sistemi complessi multifasici, come quello agrario. Invece di emulare il cardinal Bellarmino, l’inquisitore di Galileo, in una nuova caccia alle streghe, si dovrebbero ricordare di essere scienziati e sostenere la ricerca innovativa invece di ostacolarla.
Lei ha recentemente fondato, insieme a Carlo Triarico presidente dell’associazione dei Biodinamici italiani, la Società scientifica di Scienze biodinamiche. Ci può spiegare le ragioni di questa iniziativa e su cosa effettivamente si lavora? Ci sono esperienze analoghe in Europa?
La giovane Società Italiana di Scienze Biodinamiche (SISB) ha un duplice scopo. In primis, vuole studiare con metodo scientifico il rapporto tra i materiali usati nella pratica biodinamica ed i loro effetti sulla qualità del suolo e dell’ambiente agrario in cui si applicano e sulle proprietà dei prodotti. Ciò significa prima di tutto impiegare le più avanzate e sofisticate strumentazioni analitiche per la caratterizzazione dei preparati biodinamici e poi impostare delle prove sperimentali rigorose per testarne la bioattività sulle proprietà chimiche e biologiche del suolo e delle colture agrarie. In secundis, la SISB vuole essere anche uno stimolo intellettuale e scientifico ad applicare il metodo fenomenologico steineriano ad altri settori dell’attività umana, come il biomedico, l’economico, il pedagogico, il sociologico. Rudolf Steiner, uno dei più riconosciuti scienziati e filosofi dei primi del XX secolo, stimato tra gli altri da Benedetto Croce, è stato senza dubbio inspirato, nella sua impostazione olistica di relazione tra natura e spirito, dalle rivoluzionarie innovazioni della fisica quantistica che hanno svelato l’equivalenza tra materia ed energia e l’interconnessione dei fenomeni nell’universo. Tale cesura paradigmatica, rispetto al positivismo scientista riduzionistico, ancora oggi fatica, evidentemente, a diventare patrimonio culturale di tutto il mondo scientifico italiano.
All’estero, invece, l’approccio steineriano è accettato e perseguito ufficialmente, specialmente nel Nord Europa e negli USA. Vi sono affermate scuole steineriane di diverso livello, numerosi dipartimenti universitari ed istituti di ricerca che studiano l’agricoltura biodinamica ed addirittura una intera Università ad Oslo intitolata a Rudolf Steiner. Non mi sembra che vi sia nulla di esoterico nelle ricerche portate avanti dai seri colleghi nord-europei ed americani, i quali giustamente intendono studiare con metodo scientifico l’obiettivo successo economico ed agroecologico delle pratiche biodinamiche in agricoltura. Non a caso anche la Commissione Europea si è resa conto dei concreti vantaggi che l’agricoltura biologica e biodinamica può apportare al raggiungimento dell’obiettivo di sostituzione del 25% dei prodotti agrochimici industriali entro il 2030, ed incentiva l’adozione di metodi e pratiche biologiche/biodinamiche attraverso poderosi programmi di investimento in ricerca come il “Farm to Fork”.
Lei è stato insignito del premio per la chimica nel 1999 dalla Fondazione Humboldt per le sue ricerche sulla chimica dell’humus. Ci può spiegare il ruolo dell’humus nell’agricoltura biodinamica?
Nonostante l’humus del suolo sia stato oggetto di investigazione scientifica sin dall’inizio del ‘700, a causa della sua importanza per la fertilità dei suoli e per i conseguenti profitti in agricoltura, la sua composizione complessa ed eterogenea ha eluso una dettagliata comprensione fino alla fine dello scorso secolo, quando alcuni innovativi esperimenti condotti nel mio gruppo di ricerca hanno infranto il precedente paradigma della sua natura macropolimerica, assimilabile a quelle dei grandi biopolimeri come proteine e polisaccaridi, per indicare una struttura alternativa in cui molecole organiche di massa relativamente piccola si autoassemblano per via di legami deboli in conformazioni supramolecolari.
E’ difficile sminuire l’importanza di questa nuova descrizione della struttura molecolare dell’humus che schiude alla possibilità di molteplici implementazioni tecnologiche che vanno dal controllo ambientale dei contaminanti che si legano naturalmente all’humus, al sequestro del carbonio organico nei suoli e la riduzione dell’emissione di gas serra con conseguente limitazione dei cambiamenti climatici, alla comprensione dei meccanismi biochimici e fisiologici di interazione tra l’humus e le piante, determinanti per una nuova agroecologia che mantenga le rese produttive agrarie ma senza più usare gli inquinanti composti agrochimici di sintesi. Naturalmente è una lunga strada che avrà bisogno non solo di necessari sostegni per la ricerca ma anche di un innovativo approccio intellettuale olistico e non riduzionistico per affrontare la complessità emergente dell’humus, le cui proprietà e funzioni sono dovute più al tutto che alle sue singole componenti.
Entriamo nel merito della questione e delle recenti polemiche. Ci può spiegare cosa sono e come funzionano i preparati biostimolanti e in particolare il cornoletame?
L’humus biodinamico (il preparato 500) si ottiene con un processo di umificazione del letame bovino rinchiuso in un corno bovino in condizioni di microssigenazione a temperatura costante come quelle che si ottengono sotterrandolo. Invece di gridare alla stregoneria, gli urlanti detrattori della biodinamica avrebbero facilmente trovato delle risposte scientifiche documentandosi sul processo di compostaggio, una vera e propria biotecnologia naturale, non una alchemia esoterica, per la quale il materiale organico e biologico presente nel letame viene trasformato da batteri e funghi più o meno rapidamente, in presenza di ossigeno, in parte in anidride carbonica (un gas serra) ed in parte in innumerevoli metaboliti dell’attività respiratoria della biomassa microbica.
L’humus del preparato 500, il famigerato e malamente denominato “cornoletame”, è quindi un humus compostato da batteri e ricco di metaboliti altamente bioattivi che sciolto/sospeso in acqua e distribuito ai suoli in quantità obiettivamente minime (200-400 g per ettaro) ha la proprietà di stimolare il microbioma del suolo rizosferico e innescare la produzione di altri metaboliti microbici che attivano la fisiologia e biochimica delle piante. Infatti, l’humus del preparato 500 aumenta l’assimilazione di nutrienti dal terreno e stimola non solo una più efficiente sintesi clorofilliana di CO2 dall’atmosfera, ma anche l’essudazione di acidi organici e peptidi dalle radici al suolo. Questi essudati, a loro volta, promuovono il rilascio di metaboliti ormono-simili dalla stessa sostanza organica del suolo, per rafforzare ulteriormente la biostimolazione vegetale.
Le moderne spettrometrie di massa ad ultra-alta risoluzione suggeriscono che i metaboliti nell’humus del suolo e da compost possono arrivare a decine di migliaia di masse molecolari diverse. Il preparato 500 e, con esso, gli altri preparati biodinamici, sono tutti generalmente umificati in un processo di compostaggio in carenza di ossigeno per via delle pareti semipermeabili dei tessuti proteici (cheratine di corno a diverso tenore di calcio o tessuti epiteliali di vescica e di intestino) in cui i preparati sono inseriti, e sottostanno perciò ad una lenta trasformazione chimica a carico principalmente della biomassa microbica anaerobica, i cui prodotti metabolici hanno proprietà molecolari specifiche che attengono sia al preparato stesso (le diverse essenze floreali), sia al metodo semianaerobico di umificazione.
Dunque, si tratta di un processo naturale di biotrasformazione di diversi materiali biologici in humus. Le differenti composizioni molecolari e microbiche dei diversi preparati biodinamici contribuiscono alla stimolazione della biodiversità del suolo e alla ulteriore trasformazione ed accumulazione in nuovo humus di altri tessuti vegetali e animali che fossero aggiunti al suolo. Mi sembra ovvio che i preparati umificati usati in biodinamica non abbiano alcuna pericolosità per l’ambiente e la salute umana, a differenza degli agrofarmaci industriali di sintesi che sono così cuore alla senatrice Cattaneo.
Molti procedimenti fanno parte della nostra tradizione alimentare, come è il caso di tanti insaccati, contenuti in involucri di origine animale. Quali sono gli effetti benefici dimostrabili di questa procedura?
Gli involucri in cui racchiudere i materiali freschi dei preparati biodinamici affinché umifichino, cioè affinché le biomolecole presenti nel letame e nelle essenze vegetali si trasformino in un insieme supramolecolare di nuovi metaboliti altamente bioattivi, hanno il ruolo di limitare la diffusione dell’ossigeno, esattamente come negli insaccati che lei ricordava così comuni sulle tavole italiane. La carenza di ossigeno favorisce non solo una lenta trasformazione chimica in metaboliti più o meno ossidati ma anche una predominanza dell’attività biotica dei batteri rispetto a quella fungina. La risultanza è un prodotto umificato, che non contiene muffe fungine, con i relativi suoi prodotti volatili sgradevoli all’olfatto, ed il cui materiale originale si è parzialmente trasformato in metaboliti più o meno ossidati ed è stata limitata la mineralizzazione a CO2 e dunque la perdita di carbonio organico.
Solo chi non conosce la ricca letteratura sui comprovati effetti strabilianti dell’humus di diversa origine (da suolo, da ligniti, da torbe) sull’attività fisiologica vegetale a dosi similari, può stupirsi che un tale fenomeno avvenga anche per i preparati biodinamici, o, peggio, invocare la stregoneria, come un semplice ”primitivo”. Occorre invece capirne le cause e comprenderne i meccanismi. Una ricerca del mio gruppo ha applicato la spettrometria di massa e la spettroscopia di Risonanza Magnetica Nucleare per confrontare la composizione molecolare di alcuni comuni compost aerobici da letame con quella di alcuni preparati 500 biodinamici. Abbiamo trovato invariabilmente che i preparati biodinamici contenevano una significativa maggiore quantità di polifenoli da lignina, che nelle condizioni anaerobiche (limitata ossigenazione) non era stata completamente mineralizzata a CO2, come invece avviene nel caso del compost aerobico in cui l’humus è più estesamente ossidato. Poiché è noto che i derivati fenolici della lignina (il polimero vegetale più abbondate sul pianeta dopo la cellulosa) sono dei forti biostimolanti vegetali, a causa della loro struttura simile agli ormoni auxinici, ecco che una seria ricerca scientifica sperimentale ha svelato uno dei meccanismi diretti dello “stregonesco” effetto dell’humus biodinamico sulla migliore crescita vegetale. Vi sono poi una serie di proprietà dei preparati biodinamici che hanno ruoli importanti nel rendere la produzione dell’azienda biodinamica indipendente dalla maggior parte dei prodotti agrochimici industriali.
Quali sono i costi di questi preparati? Non sarà che tutta la polemica possa essere anche letta alla luce dei costi maggiori dei preparati industriali? Ci sono forse conflitti di interesse in questa storia?
I costi dei preparati usati in agricoltura biodinamica sono molto contenuti e assolutamente non paragonabili a quelli dei prodotti agrochimici dell’agricoltura industriale, quali i pesticidi ed i fertilizzanti inorganici. Necessitano di materiali naturali facilmente reperibili (letame ed essenze floreali) e la loro trasformazione procede con una biotecnologia naturale che non ha bisogno di investimenti in capitali fissi. La loro produzione può facilmente avvenire nell’azienda biodinamica stessa se si seguono scrupolosamente le indicazioni per una corretta umificazione. Ciò risponde alla filosofia agroecologica che prevede che l’azienda agraria sia un ciclo di conversione interna per la trasformazione in azienda di scarti o di produzioni aziendali in humus utile al miglioramento della fertilità chimica e biologica dei suoli e della qualità dei prodotti agroalimentari. Tuttavia, vi sono ormai delle aziende specializzate che producono tutta la gamma dei prodotti biodinamici ed offrono il loro servizio a costi non elevati.
Le produzioni delle 4500 aziende biodinamiche certificate in Italia sono molte: dall’ortofrutta, ai settori viticoli-enologici ed olivicoli-oleari. La minore resa produttiva delle aziende biodinamiche è ben compensata sia dai maggiori ricavi dovuti alla migliore qualità e conseguente commerciabilità dei prodotti, sia dai risparmi ottenuti grazie alla sostituzione di pesticidi e fertilizzanti industriali con l’uso di humus biodinamico. Il successo economico dell’approccio biodinamico è infatti misurato dalla continua crescita del numero di aziende che vi si convertono e dalla loro remuneratività economica. E’ inutile sottolineare che questa situazione può non piacere all’industria chimica meno progressiva, che tenta di ritardare la transizione agroecologica dell’agricoltura italiana ed europea, ed alle lobbies scientifiche che hanno costruito il proprio status sulla base delle commesse di ricerca delle multinazionali agrochimiche. Così la visione scientifica riduzionistica pensa di resistere all’innovazione della ricerca olistica biodinamica nell’agricoltura ecologica ricorrendo alla semplificazione propagandistica della “stregoneria” e della “magia”!
Qual è la situazione legislativa in Italia e in Europa? Il biodinamico può rappresentare un’opportunità per il paese?
I preparati biodinamici sono autorizzati già da tempo dalla legislazione europea all’interno della agricoltura biologica, che l’Italia ha recepito concedendo l’autorizzazione all’uso come concimi da parte di una commissione composta da tre ministeri diversi. L’intenzione italiana è quindi la tutela dell’incipiente e già molto remunerativo comparto biodinamico, ed il consolidamento della tendenza all’aumento significativo del numero di aziende coinvolte. Inoltre, l’Unione europea ha stabilito che entro il 2030 il biologico dovrà occupare il 25 per cento di tutte le coltivazioni agricole. Un obiettivo che vede in vantaggio l’Italia con già un 15,8 per cento di biologico sul totale della produzione agricola, mentre la media UE è solo all’otto per cento. Per raggiungere gli obiettivi dettati dalla Commissione UE, la strada è ancora lunga e comporta la riallocazione di molte risorse, a cominciare dai fondi europei per l’agricoltura dell’intero decennio, la cui destinazione andrà decisa entro l’anno anche in Italia. Poiché le sfide del Green Deal europeo e le sue strategie imporranno necessariamente lo spostamento di parte dei finanziamenti dalle produzioni convenzionali a quelle biologiche, è cominciato il fuoco di sbarramento da parte dei detrattori della biodinamica che, lanciando accuse ridicole di stregoneria, sperano di bloccare l’allargamento alla biodinamica del finanziamento di ricerca in agricoltura ed accrescere quella del settore agrochimico industriale dannoso all’ambiente ed alla salute umana (vedi glifosato).
Tuttavia, comparti industriali più sensibili al mondo agricolo e più coscienti delle direttive europee, come Assofertilizzanti di Federchimica, si stanno già riposizionando, dichiarando il loro impegno nel settore dei biostimolanti di origine bio-organica, che, all’interno della strategia UE “Farm to Fork”, promette entro il 2025 un mercato raddoppiato di valore, già oggi pari a 2,6 miliardi di dollari. Ho fiducia perciò che, sulla scia delle esperienze europee e della legislazione UE e nonostante il polverone pregiudiziale sollevato dai soliti noti, l’Italia non defletterà dall’incentivare le pratiche agroecologiche e la ricerca collegata, innalzando ancora di più la qualità dei prodotti agroalimentari nazionali e la loro penetrazione sugli esigenti mercati nord-europei.
Professore, qual è la proposta della biodinamica per un futuro sostenibile?
La biodinamica sostiene un’agricoltura ecologica in cui la produzione agraria ha come obiettivo l’incremento non della quantità ma della qualità dei prodotti, il rispetto dell’ambiente e della salute umana, e l’armonia della comunità civile. Questo significa produrre con maggiore efficienza e minore impatto ambientale, ridurre la distanza tra luoghi di produzione e consumo, adottare diete più salutari, e favorire la ridistribuzione del cibo, per dare ad ognuno alimenti a sufficienza e di buona qualità. Si stima che l’adozione di pratiche agricole biologiche porti ad una diminuzione della produzione per ettaro che varia dall’8 al 25%. Ma questo relativamente piccolo svantaggio, sarebbe ampiamente colmato dal concomitante impatto che l’agricoltura ecologica avrebbe sulla riduzione dell’attuale spreco alimentare, che nel mondo occidentale arriva fino ad un terzo del cibo prodotto dall’agricoltura industriale e con enorme impatto sull’impronta ecologica CO2-equivalente. L’agricoltura industriale non si preoccupa dello spreco e, follemente tende invece ad aumentare la produzione agroalimentare, sfruttando al massimo le risorse naturali ed immettendo nell’ecosistema agrario sempre maggiori quantità di fertilizzanti e pesticidi di sintesi. L’agroecologia, paradigma emergente delle agricolture biologiche, è il sistema più promettente per avviare l’ecosistema agrario alla piena sostenibilità. Agroecologia significa utilizzare pratiche che valorizzano e proteggono le risorse naturali e la biodiversità e le sinergie tra microrganismi, piante e animali, riducendo fortemente gli input esterni industriali ottenendo al contempo produzioni stabili e di elevata qualità. L’agricoltura biodinamica mette in pratica tutto ciò e diventa un pilastro del concetto di economia circolare in quanto ogni forma organica in azienda è trasformata in humus, il materiale primigenio necessario a mantenere la fertilità del suolo, la sua biodiversità, il suo tenore in carbonio organico, e la sua stabilità fisica. Il suolo arricchito di Humus non solo è altamente bioattivo verso la crescita vegetale, ma offre una naturale resistenza alla erosione, al contrario dell’agricoltura industriale intensiva dove la progressiva degradazione della sostanza organica nei suoli immette gas serra in atmosfera e li rende fragili all’impatto della pioggia innescando perdita di suolo e catastrofi idrogeologiche. L’agricoltura biodinamica, centrata sulla forza rigeneratrice e protettrice dell’humus, è anche una risposta alla richiesta ancestrale dello spirito dell’uomo di vivere in equilibrio con la natura. La sfida è comprendere i fenomeni sistemici naturali attraverso una ricerca scientifica rigorosa con approccio olistico e utilizzarli per un maggiore benessere della comunità umana e del pianeta.
«La guerra al biodinamico è contronatura»
Di Manlio Masucci – L’Extraterrestre, settimanale ecologista de Il Manifesto, 8 luglio 2021 | Fonte
Nel dibattito in corso sull’agricoltura biodinamica, ha destato scalpore l’intervento della senatrice a vita Elena Cattaneo, pronta a riaprire i tribunali dell’inquisizione con tanto di clichet seicenteschi inneggianti alla stregoneria, all’alchimia e all’esoterismo. Una narrazione pittoresca che ha però avuto il merito di accendere l’attenzione su alcuni aspetti specifici della biodinamica. Quali sono le basi scientifiche su cui poggiano la ricerca e la pratica biodinamica? Quali sono gli interessi economici delle lobby dell’agribusiness che fomentano i nostri politici contro il biologico e il biodinamico nonostante le chiare indicazioni dei mercati e dalla Commissione europea? Cosa è più dannoso per ambiente e salute umana, un preparato naturale biodinamico o un erbicida chimico come il glifosato, strenuamente difeso proprio dalla senatrice Cattaneo, nonostante lo Iarc (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) lo abbia definito come «probabile cancerogeno»?
Ne parliamo con Alessandro Piccolo, professore di Chimica agraria ed ecologia presso l’università Federico II di Napoli, considerato uno dei massimi esperti internazionali in materia. Insignito del premio per la chimica dalla prestigiosa fondazione tedesca Alexander von Humboldt per le ricerche sulla chimica dell’Humus, è fra i fondatori della Società Italiana di Scienze Biodinamiche (Sisb) ed è Chief Editor della rivista Chemical and Biological Technologies in Agriculture.
Professor Piccolo, cosa risponde a chi accusa la biodinamica di non avere basi scientifiche ma essere piuttosto assimilabile alla stregoneria?
È sorprendente constatare che illustri scienziati italiani debbano ricorrere a termini così anacronistici per attaccare il settore. Le pratiche biodinamiche sono sì legate a conoscenze ancestrali sulla trasformazione della sostanza organica naturale, ma hanno dato un riscontro obiettivo in quanto migliorano la qualità dei suoli agricoli e quella dei relativi prodotti agroalimentari. Ci troviamo di fronte a un nuovo sistema emergente che richiede di oltrepassare i limiti dello scientismo riduzionistico corrente e di sviluppare un approccio scientifico olistico da applicare a sistemi complessi multifasici, come quello agrario. Invece di invocare una nuova caccia alle streghe, si dovrebbero ricordare di essere scienziati e sostenere la ricerca innovativa invece di ostacolarla.
Cosa mi risponde se le dico la parola cornoletame?
Si tratta di un processo naturale di biotrasformazione di diversi materiali biologici in humus. Gli involucri in cui racchiudere i preparati biodinamici affinché umifichino, cioè affinché le biomolecole presenti nel letame e nelle essenze vegetali si trasformino in un insieme supramolecolare di nuovi metaboliti altamente bioattivi, hanno il ruolo di limitare la diffusione dell’ossigeno, esattamente come negli insaccati così comuni sulle tavole italiane. L’humus del preparato 500, il famigerato e malamente denominato cornoletame, è quindi un humus compostato da batteri e ricco di metaboliti altamente bioattivi che, sciolto/sospeso in acqua e distribuito ai suoli in quantità minime (200-400 g per ettaro), stimola il microbioma del suolo rizosferico e innesca la produzione di altri metaboliti microbici che attivano la fisiologia e biochimica delle piante. I preparati umificati usati in biodinamica non hanno alcuna pericolosità per l’ambiente e la salute umana, a differenza degli agrofarmaci industriali di sintesi che stanno così a cuore alla senatrice Cattaneo. Invece di gridare alla stregoneria, gli urlanti detrattori della biodinamica avrebbero facilmente trovato delle risposte scientifiche documentandosi sul processo di compostaggio, una vera e propria biotecnologia naturale, non un’alchimia esoterica.
Quali sono i costi di questi preparati? Non sarà che tutta la polemica possa essere anche letta alla luce dei costi maggiori dei preparati industriali?
Ci sono forse conflitti di interesse in questa storia?
I costi dei preparati biodinamici sono molto contenuti e assolutamente non paragonabili a quelli dei prodotti agrochimici dell’agricoltura industriale, quali i pesticidi e fertilizzanti inorganici. Necessitano di materiali naturali facilmente reperibili (letame ed essenze floreali) e la loro trasformazione procede con una biotecnologia naturale che non ha bisogno di investimenti in capitali fissi. La loro produzione può facilmente avvenire nell’azienda biodinamica stessa. Tuttavia, vi sono delle aziende specializzate che producono tutta la gamma dei prodotti biodinamici a costi non elevati. Le produzioni delle 4500 aziende biodinamiche certificate in Italia sono molte: dall’ortofrutta, ai settori viticoli-enologici ed olivicoli-oleari. La minore resa produttiva è ben compensata sia dai maggiori ricavi dovuti alla migliore qualità e conseguente commerciabilità dei prodotti, sia dai risparmi ottenuti grazie alla sostituzione di pesticidi e fertilizzanti industriali con l’uso di humus biodinamico. Il successo economico dell’approccio biodinamico è misurato dalla continua crescita del numero di aziende che vi si convertono. I preparati biodinamici rendono la produzione dell’azienda indipendente dalla maggior parte dei prodotti agrochimici industriali. Questa situazione può non piacere all’industria chimica meno progressiva, che tenta di ritardare la transizione agroecologica dell’agricoltura, e alle lobbies che hanno costruito il proprio status sulla base delle commesse di ricerca delle multinazionali agrochimiche.
Qual è la situazione legislativa in Italia e in Europa? Il biodinamico può rappresentare un’opportunità per il paese?
I preparati biodinamici sono autorizzati già da tempo, all’interno dell’agricoltura biologica, dalla legislazione europea che l’Italia ha recepito concedendo l’autorizzazione all’uso come concimi da parte di una commissione composta da tre ministeri diversi. Poiché le sfide del Green Deal europeo imporranno lo spostamento di parte dei finanziamenti dalle produzioni convenzionali a quelle biologiche, è cominciato il fuoco di sbarramento con accuse ridicole di stregoneria. In questo modo sperano di bloccare l’allargamento alla biodinamica del finanziamento di ricerca in agricoltura ed accrescere quella del settore agrochimico industriale dannoso all’ambiente ed alla salute umana (vedi glifosato). Tuttavia, comparti industriali come Assofertilizzanti di Federchimica, si stanno già riposizionando, dichiarando il loro impegno nel settore dei biostimolanti di origine bio-organica, che promette entro il 2025 un mercato raddoppiato di valore, già oggi pari a 2,6 miliardi di dollari. Ho fiducia perciò che, nonostante il polverone pregiudiziale sollevato dai soliti noti, l’Italia non defletterà dall’incentivare le pratiche agroecologiche e la ricerca collegata, innalzando ancora di più la qualità dei prodotti agroalimentari nazionali e la loro penetrazione sugli esigenti mercati nord-europei.
Professore, qual è la proposta della biodinamica per un futuro sostenibile?
La biodinamica sostiene un’agricoltura ecologica in cui la produzione agraria ha come obiettivo l’incremento non della quantità ma della qualità dei prodotti, il rispetto dell’ambiente e della salute umana, e l’armonia della comunità civile. Questo significa produrre con maggiore efficienza e minore impatto ambientale, ridurre la distanza tra luoghi di produzione e consumo, adottare diete più salutari, e favorire la ridistribuzione del cibo, per dare ad ognuno alimenti a sufficienza e di buona qualità. L’agroecologia, paradigma emergente delle agricolture biologiche, è il sistema più promettente per avviare l’ecosistema agrario alla piena sostenibilità. Agroecologia significa utilizzare pratiche che valorizzano e proteggono le risorse naturali e la biodiversità e le sinergie tra microrganismi, piante e animali, riducendo fortemente gli input esterni industriali ottenendo al contempo produzioni stabili e di elevata qualità. L’agricoltura biodinamica mette in pratica tutto ciò e diventa un pilastro del concetto di economia circolare.