Home > Notizie > i nostri articoli > L’acqua non si vende: l’alternativa delle Blue Communities

Intervista a Maude Barlow, esperta mondiale in questioni idriche: «Aumentano comunità e istituzioni che tutelano l’acqua con apposite norme. L’auspicio è che presto aderisca anche l’Italia».

di Manlio Masucci, Navdanya International –  articolo tratto dal mensile Terra Nuova di marzo 2021

È possibile pensare di privatizzare un bene primario, essenziale per la stessa vita sulla Terra, come l’acqua e farne addirittura oggetto di speculazione sui mercati finanziari? La risposta a questo quesito apparentemente surreale ci arriva, come spesso accade in questi casi, dagli Stati Uniti e, neanche a dirlo, è affermativa.

L’entrata dell’acqua nel mercato dei futures, il cosiddetto mercato a termine, segna probabilmente un passaggio storico nella storia dell’umanità. La notizia proveniente dagli Stati Uniti si affianca ad altri recenti sviluppi che non possono non far suonare un campanello d’allarme, soprattutto per il nostro paese. Fra queste l’ultimo rapporto dell’Ispra che documenta lo stato di degrado dei flussi d’acqua italiani e la stessa osservazione dello stato di salute dei laghi nostrani minacciati dal fenomeno dell’eutrofizzazione, causato, a sua volta, dall’eccessivo uso di fertilizzanti in agricoltura che vengono spesso smaltiti proprio nei bacini lacustri.

Nel settembre del 2020, in particolare, la Commissione Europea ha aperto una procedura d’infrazione in relazione allo stato delle acque del lago di Vico, nell’alto Lazio. A questi dati va aggiunto il consueto dato sull’acqua in bottiglia di cui il nostro paese continua a essere il primo consumatore in Europa.

Insomma, ce ne è abbastanza per chiedere un’opinione a Maude Barlow la cui fama internazionale è dovuta primariamente ad aver ottenuto, in veste di relatrice speciale delle Nazioni Unite, il riconoscimento dell’acqua come diritto umano.

Maude Barlow, membro fondatore del Forum internazionale sulla globalizzazione e del Council of Canadians, è stata insignita, nel 2005, del Nobel alternativo Right Livelihood Award ed è considerata una delle voci più autorevoli al mondo su tutte le tematiche relative all’acqua. L’abbiamo intervistata per comprendere cosa sta avvenendo a livello internazionale e cosa fare per proteggere una risorsa vitale per il presente e il futuro dell’umanità.

Maude Barlow, partiamo dall’attualità. Il CME Group, la più grande società di scambio di derivati finanziari al mondo, ha lanciato il primo mercato di futures sull’acqua, aprendo alla speculazione di finanziatori e investitori. Quali sono le conseguenze immediate e i potenziali pericoli di questo atto?

C’è una poderosa gara tra coloro che vedono le fonti d’acqua pulita del mondo, che sono in diminuzione, come una merce da immettere sul mercato, al pari del petrolio e del gas, e coloro che credono che l’acqua sia un diritto umano, un bene comune e un servizio pubblico essenziale. Ci sono molti modi in cui l’acqua viene mercificata: la privatizzazione dei servizi idrici; la crescente industria dell’acqua in bottiglia; il commercio dell’acqua e il pollution trading (scambio di quote fra soggetti contaminatori); l’accaparramento della terra e dell’acqua nei paesi in via di sviluppo; e ora la creazione di un mercato a termine dell’acqua dove ricchi speculatori faranno offerte e trarranno profitto dalla siccità e dalla sofferenza, spingendo il prezzo dell’acqua ancora più in alto in un mondo dove miliardi di persone soffrono per la sola mancanza di accesso. Si tratta di un nuovo terribile sviluppo ma non sono affatto disposta a vederlo come una fase finale. Stiamo recuperando molti Comuni dagli esperimenti di privatizzazione, ottenendo di vietare la vendita di acqua in bottiglia nei Comuni e nelle Università che fanno parte delle cosiddette Comunità Blu. Dobbiamo proteggere il diritto umano all’acqua, continuare ad affermare che la natura ha diritti e comprendere che abbiamo bisogno di un quadro giuridico di protezione per l’acqua stessa. Stiamo già costruendo un movimento per fermare la creazione del mercato a termine dell’acqua.

Il suo ruolo è stato fondamentale per far dichiarare alle Nazioni Unite che l’accesso all’acqua pulita e ai servizi igienici è un diritto umano. Pensa che questo diritto sia stato violato? E se questo è il caso, c’è qualche passo da fare a livello delle Nazioni Unite?

Ci sono stati molti sviluppi positivi da quando l’Onu ha riconosciuto il diritto all’acqua. Quasi quattro dozzine di paesi hanno modificato le loro costituzioni o adottato una nuova legge per proteggere il diritto umano all’acqua. La risoluzione delle Nazioni Unite è stata usata in una serie di casi legali in tutto il mondo ed è ampiamente citata nei circoli legali e politici. Gli obiettivi per l’adempimento di questo obbligo sono stati fissati da molti governi e inclusi negli obiettivi di sviluppo sostenibile.
Non c’è dubbio che la creazione di un mercato a termine dell’acqua è una violazione dell’impegno per il diritto umano all’acqua e varrebbe sicuramente la pena provare a portare la questione all’Assemblea Generale, anche se, naturalmente, il «libero» mercato insisterebbe a dichiararsi esente da qualsiasi regola stabilita da quell’organismo. Penso che la pressione politica sui governi per fermare questa pratica e dichiarare l’acqua come un bene pubblico sia probabilmente il miglior passo successivo.

Lei ha sottolineato che la crisi dell’acqua è particolarmente pericolosa oggi che stiamo vivendo una pandemia di Covid. Quali sono le connessioni tra la pandemia e la crisi ambientale?

Il Covid ha acceso un riflettore sulla crisi idrica umana. Almeno la metà della popolazione del mondo non ha un posto dove lavarsi le mani con acqua calda e sapone che è la prima cosa che ci hanno consigliato di fare quando il virus è emerso l’anno scorso. Tre quarti delle famiglie e quasi la metà delle strutture sanitarie nel Sud del mondo non hanno accesso all’acqua pulita in loco. Ma la crisi non è limitata ai paesi in via di sviluppo. L’Organizzazione mondiale della sanità riferisce che 57 milioni di persone in Europa non hanno l’acqua in casa e 21 milioni non hanno ancora accesso ai servizi di base di acqua potabile. L’aspetto positivo, tuttavia, può essere legato al fatto che il denaro degli aiuti e i finanziamenti, provenienti dai paesi ricchi per assistere nella lotta al Covid nei paesi poveri, vada a finanziare strutture sanitarie permanenti. Dobbiamo proteggere l’acqua del Pianeta e, più semplicemente, l’accesso ad essa se vogliamo affrontare tali pandemie in futuro.

Lei ha pubblicato una lettera congiunta con l’ambientalista Vandana Shiva, sottolineando che il modello di agricoltura industriale ad alta intensità chimica e idrica è uno dei principali motori della crisi idrica. Secondo i dati della Fao, l’agricoltura (compresa l’irrigazione, l’allevamento e l’acquacoltura) è di gran lunga il maggior consumatore d’acqua, con il 69% dei prelievi annuali a livello globale. Come possiamo superare questo modello di produzione insostenibile?

Questo è un punto molto importante. In tutto il mondo, i metodi tradizionali di coltivazione sono stati sostituiti da grandi operazioni corporative di agricoltura industriale. Queste imprese non solo immettono nell’ambiente massicce scorie chimiche pericolose per i nostri corsi d’acqua, ma usano l’acqua in modo indiscriminato non praticando le tecniche di risparmio idrico radicate nella conoscenza degli indigeni, dei contadini e dei piccoli agricoltori di tutto il mondo.
Poche multinazionali possiedono e controllano quasi tutti gli aspetti della produzione alimentare, dalla carne di manzo al grano, e hanno grande influenza sui funzionari eletti per quanto riguarda la politica agricola. Per affrontare la prossima scarsità d’acqua che ci attende, dobbiamo affrontare il modo in cui coltiviamo il nostro cibo e fermare la contaminazione delle fonti di acqua causata dall’agricoltura industriale.

Un recente rapporto dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), ha riscontrato la presenza di 299 diverse sostanze inquinanti nelle acque superficiali italiane. I pesticidi e gli erbicidi sono i più presenti, ma anche i fertilizzanti che contribuiscono al processo di eutrofizzazione di molti laghi nazionali. In molti paesi intorno ad alcuni di questi laghi l’acqua non è più potabile. È un problema solo italiano?

L’eutrificazione (l’eccessivo arricchimento di laghi, fiumi e oceani a causa dei nutrienti) è dilagante in tutto il mondo. Il conseguente impoverimento di ossigeno può creare fioriture di alghe e persino zone morte dove la vita si estingue. Molti paesi, anche nel cosiddetto mondo sviluppato, non hanno norme adeguate per affrontare il deflusso dalle fattorie e dalla produzione industriale di cibo. Qui nel mio paese, il Canada, uno studio ha scoperto che 246 grandi laghi sono seriamente compromessi dall’eutrofizzazione, compreso il lago Winnipeg, il 10° lago più grande del mondo, che soffre molto a causa dell’allevamento di maiali sulle sue rive. In alcuni paesi poveri, dove si produce gran parte dei beni di consumo del mondo, i bacini idrici locali sono completamente contaminati.
Cambiare queste pratiche deve essere al primo posto nel nostro piano per la protezione dell’acqua.

Con una produzione di 14 miliardi di litri all’anno e un consumo annuo pro capite di 206 litri, l’Italia è il maggior consumatore europeo di acqua in bottiglia (29 litri pro capite in più rispetto alla Germania, +16,4%; 84 litri in più rispetto alla Francia, +68,9%). Cosa ne pensa?

L’acqua in bottiglia è nata in Europa e si è diffusa nel resto del mondo. Una volta era confezionata in vetro ma oramai è sempre di più in plastica. Siamo un Pianeta che affoga nella plastica e noi umani la stiamo ingerendo attraverso il cibo. Dobbiamo abbandonare la nostra abitudine di bere acqua in bottiglia e abbiamo bisogno che gli italiani ci aiutino a farlo. L’Italia è il maggior consumatore di acqua imbottigliata in Europa e potrebbe fare da apripista per cambiare questa pratica e per salvare il Pianeta.

Quali sono i passi che la società civile, gli agricoltori e i consumatori possono fare per proteggere il loro diritto all’acqua come bene comune?

Dobbiamo tutti esigere che tutto ciò che i nostri governi fanno – ogni politica, ogni azione – tenga conto del suo effetto sull’acqua. Se questo effetto è dannoso per l’acqua, dobbiamo tornare al tavolo da lavoro. Gli accordi commerciali che proteggono l’abuso e lo sfruttamento eccessivo dell’acqua da parte delle aziende devono essere messi in discussione. I governi devono legiferare per proteggere le riserve d’acqua del Pianeta che sono in difficoltà e l’accesso umano ad esse. L’acqua pulita, sicura e pubblica per tutti, ovunque, deve essere il nostro obiettivo e l’unico modo per arrivarci è iniziare a proteggere veramente i nostri preziosi bacini idrici e smettere di vedere l’acqua come una risorsa per il nostro profitto e la nostra convenienza.

Ci può spiegare il progetto delle Blue Communities?

Abbiamo introdotto il concetto di Comunità Blu laddove un Comune, un’Università o anche una comunità religiosa si impegna a proteggere l’acqua come bene comune. L’impegno di una Blue Community è triplice, anche se non c’è motivo per cui non si possano aggiungere altri impegni: proteggere l’acqua come un diritto umano; promettere di mantenere pubblici i servizi idrici; eliminare gradualmente l’acqua imbottigliata nei locali pubblici e negli eventi.
Molte città europee ne hanno aggiunta una quarta: promuovere partenariati pubblico/pubblico piuttosto che pubblico/privato nei loro rapporti con il Sud globale.
L’intero concetto è nato in Canada quando avevamo un governo di destra che promuoveva la privatizzazione dei servizi idrici. Noi volevamo raggiungere i Comuni prima che lo facesse il governo per convincerli a promuovere i servizi pubblici. Questa iniziativa ha avuto molto successo in Canada e, con mia sorpresa, il concetto è stato ripreso in altri luoghi, specialmente in Europa. Fra le città aderenti ci sono già Parigi, Berlino, Bruxelles, Monaco di Baviera, Montreal, Vancouver e Los Angeles. Mi piacerebbe vedere l’Italia abbracciare il progetto. Abbiamo lavorato con la coalizione che ha intrapreso con successo il referendum contro la privatizzazione nel 2011 e siamo ancora in stretto contatto con i movimenti per la giustizia dell’acqua.